giovedì 27 agosto 2015

Bolla tech (parte III): Rocket Internet

Tra i compiti che avevo per le vacanze, mi ero ripromesso di analizzare Rocket Internet (RKET:GR) per vedere se l’euforia per il settore tecnologico non fosse limitata alla Silicon Valley ma si fosse estesa anche all’Europa. Come spesso succede, il mercato è stato più veloce di me, nonché più brutale: da febbraio il titolo è crollato di oltre il 50%, e del 20% nel solo mese di agosto.

Fondata nel 2007, RKET è un incubatore di start-up valutato oggi €4,4 miliardi (rispetto ai €6,5 miliardi del picco). RKET è quotata dal novembre dello scorso anno, quando ha raccolto €1,4 miliardi nella maggiore IPO tedesca dal 2007; precedentemente aveva già ricevuto €330 milioni da Philippine Long Distance Telephone Company e €435 millioni da United Internet.

Quello che RKET fa è “imitare” i business model di aziende online in US ed Europa ed esportare l’idea in Asia, Europa dell’Est e Sud America. Nel prospetto per l’IPO si presentava infatti così:

We identify and build proven Internet business models and transfer them to new, underserved or untapped markets, mainly outside the United States and China, where we seek to scale them into market leading online companies.
I risultati del 2014 (oggi già poco significativi per i cambiamenti avvenuti) riportano una perdita netta di €20 milioni: tutto sommato niente male per un’azienda come questa. Il problema è la veridicità e trasparenza di questi numeri, perché molte partecipazioni non sono consolidate e la struttura del gruppo è alquanto complessa ed opaca (per una dettagliata discussione di questo punto vedere l’articolo Rocket from the shelf). 

La spiegazione di questa ragnatela di controllate ed affiliate potrebbe essere molto semplice: gestire in maniera più efficiente la tassazione in Germania, dove è domiciliata. Un cinico potrebbe pensare però a motivi meno “nobili”: moltiplicare il numero di contratti di consulenza che le controllate devono pagare alla holding (in questo modo gli azionisti originari riescono a rientrare degli investimenti iniziali in due anni e lasciano le perdite agli altri azionisti) e nascondere i reali flussi di cassa da uno scrutino meticoloso. È molto difficile se non impossibile per un azionista esterno ricostruire e verificare i bilanci.

Uno sguardo ai business operativi
Al 31 marzo 2015 il portafoglio di investimenti di RKET era così composto:

  • 12 “proven winners”, le società più grandi e mature (almeno due anni di fatturati superiori a €50 milioni), valutate complessivamente €6,5 miliardi (€2,1 miliardi la quota di competenza di RKET) [Nota: oggi questa classificazione è leggermente diversa, perché è stata aggiunta Delivery Hero e le società attive nella moda sono in fase di raggruppamento in un’unica entità.]
  • 8 “emerging stars”, aziende più piccole e giovani (ma che hanno fatto almeno un round di finanziamenti), valutate €630 milioni (€277 milioni la quota di RKET)
  • 8 “concepts”, aziende che sono ancora nella fase di lancio, valutate €157 milioni (€113 milioni la quota di RKET)
  • 4 “regional Internet groups” in Africa, Asia, Sud America e Medio Oriente, valutati €1,2 miliardi (€580 milioni la quota di RKET)

Nel 2014 i “proven winners” hanno generato – utilizzando i tassi di cambio medi dell’anno - vendite per €1,3 miliardi e perdite operative per €643 milioni. Nessuna di queste aziende ha profitti a livello operativo: il motivo principale è che, oltre a dover sostenere i costi di start-up, vendono sottocosto per generare interesse nel sito. Se queste sono le aziende migliori e più mature (e valutate €6,5 miliardi…), figuriamoci le altre.

Fonte: bilanci di Rocket Internet, in milioni di euro.

Crescita, crescita, crescita
Sorprendendo gli analisti, a febbraio (quando è iniziato il declino del prezzo di mercato) RKET ha fatto un ulteriore aumento di capitale da €600 milioni. Come mai questa necessità di nuove risorse? Dall’articolo del FT: 

“Its biggest recent investments have been in food delivery, including €496m for a 30 per cent stake in Delivery Hero, a Berlin-based online food takeaway service, and €150m on Kuwait-based food takeaway portal Talabat.”
Acquisizioni! Questo è quello che fa un incubatore! RKET ha pagato quasi €500 milioni per un’azienda, Delivery Hero, che opera nel business “altamente tecnologico e ad elevati margini” della consegna di pasti a casa. [Come detto in precedenza, la cosa più sorprendente di molte start-up come Uber e AirBnB è quanto poco “tecnologiche” siano in realtà.] Dal 2011 ad oggi Delivery Hero ha investito “solo” €1 miliardo per raggiungere il ragguardevole obiettivo di 10 milioni di ordini eseguiti ogni mese (tutti questi dati sono disponibili nella sezione “About” del sito). E come ha ottenuto questi risultati, forse con un’eccellente operatività? Secondo Wikipedia e lo stesso sito aziendale: 
Delivery Hero Holding was founded […] in May, 2011, with the goal of turning Delivery Hero into a global online food ordering platform. […] Delivery Hero first expanded to Australia, Russia and Mexico in 2011. In early 2012 the enterprise then acquired Lieferheld in Germany and hungryhouse.co.uk in the UK. Delivery Hero then raised €25 million in new funding to finance acquisitions in four European countries: Sweden, Finland, Austria and Poland. In August 2012 Delivery Hero started expanding in both South Korea and China through YoGiYo and Aimifan and the Asian expansion continued in 2013 when Delivery Hero increased investment in TastyKhana following a successful cooperation period. In 2014 Delivery Hero acquired a controlling stake in Latin American market leader PedidosYa  and in August 2014 the group acquired German market leader and rival, pizza.de. On April 2015 Delivery Hero acquired South Korean delivery service Baedaltong, one of the chief competitors of its own YoGiYo service.
Aha! Delivery Hero è cresciuta a sua volta attraverso acquisizioni: fondata nel 2011, e con capitali messi a disposizione da vari fondi di venture capital, si è subito data allo shopping sfrenato, visto che la noiosa e lenta crescita organica non eccita più di tanto i suoi finanziatori. Visto che funziona, lo ha fatto di nuovo: Delivery Hero, un’azienda nella quale RKET ha investito a caro prezzo valutandola €1,6 miliardi, a maggio ha acquistato una partecipazione nell’azienda turca Yemeksepeti per circa €600 milioni, un altro prezzo elevato.

Conclusioni
A mio avviso, la possibilità di successo nel lungo periodo di molti di questi business è bassa: non solo operano in settori ad elevata concorrenza senza un reale vantaggio competitivo ed è molto difficile integrare business così diversi a questa velocità, ma le decisioni sull’allocazione del capitale (acquisizioni, investimenti per la crescita, etc…) sono tra le scelte più difficili che ogni azienda debba prendere, ed anche manager esperti fanno spesso degli errori. Senza contare che molte delle giurisdizioni nelle quali RKET opera sono, per usare un eufemismo, “esotiche”.

È difficile comprendere come RKET possa valere un multiplo del valore delle partecipazioni nelle controllate che perdono soldi: utilizzando l’ultimo book value disponibile (determinato sulla base delle valutazioni fatte dalla stessa RKET), la capitalizzazione attuale – seppur ridotta – è comunque 170% del NAV.

The elephant in the room” è la risposta alla domanda: “Quale dimensione di vendite devono raggiungere queste aziende affinché generino profitti e possano essere valutate in maniera tradizionale?”. Il modello di RKET/UBER/altri unicorns è essenzialmente: “Non preoccuparti dei profitti, intanto eccoti una tonnellata di crescita (un po’ come è stato per Amazon).” Una crescita elevata è positiva, ma se hai bisogno di un mercato in continua espansione per generare profitti il tuo business prima o poi potrebbe incontrare un tetto e le valutazioni cominciare a diminuire. Non è che il modello non funzioni, è che generare fatturati è molto più semplice che generare profitti, ma prima o poi la gravità vale per tutte le aziende.

Inoltre, molte delle aziende nelle quali ha investito RKET crescono soprattutto attraverso ulteriori acquisizioni; tutte perdono soldi e tutte (comprese quelle “mature”, ed a maggior ragione quelle in fase di sviluppo) hanno bisogno di sempre maggiori finanziamenti esterni. Anche se strettamente non è uno schema di Ponzi (mi sembra che nessuno dei fondatori abbia per il momento ritirato i propri soldi), certamente ci assomiglia molto. Soprattutto: aspettatevi ulteriori aumenti di capitale (ed infatti a luglio RKET ha emesso un’obbligazione convertibile per €550 milioni).

Qualcuno pensa seriamente che possa continuare all’infinito? Ma in fondo, quello che gli investitori vogliono è la crescita, giusto?

4 commenti:

  1. Di bilanci non me ne intendo, quindi se dice che RI è una patacata non discuto.

    Mi permetto solo di dissentire quando giudica Airbnb o Uber come poco tecnologiche e quindi mi sembra di capire dal suo ragionamento prive di un vantaggio competitivo.

    "di molte start-up come Uber e AirBnB è quanto poco “tecnologiche” siano in realtà."

    Da ingegnere informatico le confermo che NON possiedono un vantaggio competitivo dal punto di vista tecnologico, ovvero per quanto il sito sia fatto bene è riproducibile in modo più che decente ed in tempi ragionevoli da un team di informatici ben organizzati.

    Però il grosso vantaggio competitivo di queste aziende (parlo almeno di Airbnb) è l'aver preso il mercato per prime.
    Essendo Airbnb un punto d'incontro tra due mercati (chi affitta casa e chi la cerca), anche facendo un sito come e migliore di Airbnb, è difficilissimo riuscire a riempirlo facendo incontrare le due parti del mercato. In altre parole chi affitta casa continuerà a mettere l'annuncio su Airbnb perchè sa che in molti lo contatteranno, e chi cerca casa in affitto andrà su Airbnb perché sa che ha molta scelta (oltre perché è già abituato e contento).

    Lo stesso discorso vale per booking.com (sito per prenotare hotel), oggi si vede tutta questa pubblicità di trivago (concorrente), ma gli hotel sanno che stando su booking.com arrivano le prenotazioni e i turisti sanno che su booking.com trovano una vasta scelta di hotel. Trivago dovrà spendere una montagna in pubblicità per scalfire il vantaggio competitivo di booking.com

    Non so se sono riuscito a spiegarmi.

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    1. Anche se l’ho definita un (quasi) schema di Ponzi, non è detto che RKET sia una patacca: per chi volesse investire la questione centrale rimane la differenza tra il prezzo di mercato ed il valore intrinseco degli asset che possiede.

      Per Uber e AirBnB, il “poco tecnologiche” non è riferito alla qualità del sito, quanto al fatto che il servizio/prodotto che offrono non è propriamente hi-tech: Uber ti fa prenotare un’auto, AirBnB trovare un letto. Non esattamente tecnologie rivoluzionarie, sono servizi che esistono da decenni anche se adesso sono più semplici e con maggior scelta.

      Comunque, ha ragione, essere “poco tecnologiche” non vuol dire che non ci sia un vantaggio competitivo: presumo che essere i primi/più grandi come booking.com sia sicuramente un vantaggio (se insormontabile o scalfibile non so dirlo, non sono un esperto). Il problema rimane sempre lo stesso: quale dimensione devi raggiungere per essere sufficientemente redditizio e giustificare la valutazione che ti viene assegnata?

      Grazie mille dei commenti: lo scopo del blog è proprio quello di stimolare le idee e trovare qualcuno che mi dice “stai sbagliando” oppure “non hai capito bene come funziona”.

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  2. Aggiungo che un giorno se ne ha voglia e tempo, potrebbe fare un znalusi proprio di Pricelune Group (PCLN sul Nasdaq) la proprietaria di booking.com

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  3. Mi scusi scrivo da telefono e faccio errori a scrivere.

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