martedì 28 ottobre 2014

Analisi macroeconomica (II): Equity Risk Premium

Il premio per il rischio azionario (equity risk premium - ERP) è “il rendimento aggiuntivo che il mercato azionario offre rispetto ad un investimento privo di rischio”, ovvero il premio che un investitore riceve (o per lo meno vorrebbe ricevere) come compenso per assumersi maggiori rischi. Fin qui tutto facile: nei corsi di finanza di base viene infatti insegnato che “maggior rischio = maggior rendimento (atteso)”.

Un recente report di Goldman Sachs è tornato sul concetto di ERP, partendo dalla seguente constatazione: i tassi delle obbligazioni in continua discesa indicano che le aspettative di inflazione e di crescita da parte degli investitori obbligazionari sono diminuite drasticamente, e quindi sarebbe logico attendersi considerazioni simili anche nel mercato azionario. Tuttavia per quest’ultimo la risposta non è così diretta, perché è complicato disaggregare il cambiamento nelle attese di crescita da quello nel premio al rischio.

Utilizzando un semplice Dividend Discount Model (DDM) e fissando il tasso di crescita di lungo periodo, al variare dei tassi sottostanti possiamo determinare l’ERP implicito per ognuno di essi. Alternativamente, possiamo assumere che ERP non cambi nel corso del tempo e che quello che varia siano invece le aspettative sugli utili aziendali. Questa seconda opzione è quella scelta da GS: partendo da ipotesi su ROE e convergenza, ha calcolato il livello di crescita attesa implicito nelle valutazioni, in particolare per quello che riguarda i mercati europei (utilizzando come proxy l’indice EuroStoxx 600). Al valore storico di ERP di 3,5%, il grafico seguente mostra come le attese di crescita reale in Europa per i prossimi 20 anni siano non solo basse ma addirittura negative (circa -4%). Secondo gli strategist di GS questa assunzione è troppo estrema: se anche ERP richiesto fosse piuttosto 5%, i valori attuali implicherebbero comunque una crescita reale nulla.



L’analisi è ulteriormente raffinata considerando i movimenti nei tassi risk-free. Da inizio anno i tassi sul bund sono scesi di circa 100 bp, mentre l’indice è rimasto allo stesso livello a cui aveva cominciato il 2014. Questo può essere spiegato in due modi: 1) ERP è aumento di circa 90 bp, compensando quindi la diminuzione dei tassi risk-free, oppure 2) gli investitori hanno abbassato le attese sulla crescita. Qualsiasi sia la combinazione di queste due variabili, la conclusione di GS è che i mercati stanno oggi prezzando uno scenario economico molto negativo (lunga fase di stagnazione, in particolare in Europa), che equivale a dire che richiedono un ERP superiore a quanto “giustificato” dai fondamentali per compensare per questo rischio.

Il passo successivo di molti è di utilizzare l’andamento di ERP implicito (come nel grafico sottostante di Barclays Capital) per le concludere che le opportunità nei mercati azionari rimangono buone: le condizioni economiche non devono migliorare di molto perché i rendimenti delle azioni siano superiori a quelli delle altre asset class. [Tuttavia, come giustamente sottolinea anche GS, questo non significa che i mercati azionari siano particolarmente a buon mercato: parte dell’anomalia dipende dai tassi d’interesse estremamente bassi, come discusso in seguito.] 


Queste analisi sono sempre molto dettagliate, matematicamente eleganti e perfette dal punto di vista teorico. Il problema rimane che quando si discute di ERP non tutti sono concordi sul suo significato. Ad esempio, per The Economist
“Equity risk premium and term premium sound like sophisticated economic concepts, but in reality they are statistical junk yards into which economists toss stuff they can’t explain with fundamentals. In essence they are amalgams of all the murky, unquantifiable factors traders study in their perpetual search for mispriced markets.”
Oppure Andrew Smithers:
“In practice, comments on the ERP seem to me to have been a source of confusion and error rather than illumination.”
L’incertezza nasce dal fatto che gli investitori tendono ad utilizzare espressioni come: “ERP è tra 4% e 5%”, una definizione che suggerisce che ERP sia qualcosa di stabile e fisso sul quale contare con certezza in futuro. Sarebbe invece più corretto dire: “ERP è stato nel passato tra 4% e 5%”, che rende questo premio un fatto storico ma anche meno certo per il futuro.

Il premio al rischio può infatti essere definito in almeno 4 differenti modi:

  1. Il rendimento storico dei mercati azionari rispetto ai rendimenti privi di rischio
  2. Il rendimento minimo aggiuntivo che gli investitori hanno richiesto nel passato per spostarsi dalla liquidità alle azioni
  3. Il rendimento minimo aggiuntivo che gli investitori richiedono oggi per spostarsi dalla liquidità alle azioni
  4. Il maggior rendimento che le azioni offriranno rispetto alla liquidità in futuro
Anche se all’apparenza possono sembrare simili, queste quattro definizioni sono in realtà molto diverse, e purtroppo sono spesso usate in maniera intercambiabile e confusa. Quella che veramente interessa gli investitori è la #4 (quale sarà il rendimento futuro di un investimento azionario), ma solo la #1 può essere calcolata con precisione. Ed è qui che la storia diventa ingarbugliata. Anche se possiamo calcolare l’extra-rendimento delle azioni su periodi più o meno lunghi, questo non equivale a dire che quello è stato il premio richiesto dagli investitori (definizione #2 qui sopra). Se le azioni rendono 5% più delle obbligazioni su un intervallo di 10 anni, questo non vuol dire che in quel periodo gli investitori hanno in media richiesto un premio del 5% per investirci, piuttosto che 5% è quello che hanno ottenuto. Magari volevano di più, forse si sarebbero accontentati di meno, ma questo è quello che hanno avuto ex-post. Per quanto riguarda la definizione #3 (il rendimento minimo aggiuntivo richiesto oggi) si potrebbe fare un sondaggio tra gli investitori, ma allo stesso modo qualsiasi sia il risultato conseguito la loro risposta misurerà quello che vorrebbero ricevere, non quello che effettivamente avranno.

Quello che conta è la performance dei mercati azionari in futuro, e questo non può essere determinato in anticipo: ERP infatti non è lo stesso del credit spread per un’obbligazione, che invece misura abbastanza bene l’extra-rendimento atteso rispetto ai titoli di stato.

ERP è la sintesi delle paure e delle speranza degli investitori: aumenta quando prevale la paura e tende a scendere quando invece domina l’ottimismo, perché gli investitori sono maggiormente propensi ad investire in attività rischiose. Il grafico sottostante mostra l’andamento di lungo periodo dell’ERP implicito per il mercato americano, calcolato sulla base dei dividendi attesi per l’indice S&P500 nei 5 anni seguenti.


Fonte: prof. Damodaran.

I valori minimi di ERP sono stati raggiunti alla fine degli anni 1990, quando erano attorno a 2%: in quegli anni le azioni offrivano un misero rendimento aggiuntivo rispetto al risk-free, e non c’e da stupirsi se negli anni seguenti abbiano fatto molto male rispetto alle obbligazioni.

La media su 50 anni è di 4%, mentre il valore odierno è superiore a 5%. È vero che la storia è dalla parte degli investitori, perché ERP ha una forte tendenza a tornare verso la media (anche se con una significativa volatilità), ma chi utilizza ERP implicito come un segnale positivo per i mercati azionari non considera che oggi, benché elevato, è molto diverso dal passato, ed estrapolare il futuro dal passato può essere molto pericoloso.

Il premio al rischio è infatti determinato con riferimento ai rendimenti privi di rischio: il grafico seguente mostra quali sono stati storicamente i rendimenti attesi dai mercati azionari suddivisi tra risk-free e ERP.


Fonte: prof. Damodaran

A partire dalla metà degli anni 1990 il rendimento atteso dalle azioni è rimasto sorprendentemente stabile, e tutta la variazione nel premio richiesto è venuta dai cambiamenti nei tassi d’interesse. In particolare, il rendimento implicito atteso dalle azioni a fine 2013 (8%) non era molto lontano dal minimo del 1998, quando era sceso fino a 7% nel pieno della bolla Internet.

Consideriamo due periodi in cui ERP è stato elevato. Nel 1981, ERP implicito era circa 6% e con i tassi su US Treasuries al 14% il rendimento desiderato dalle azioni era quasi 20%. Alla fine del 2013 ERP implicito era poco più basso (5%), ma il tasso risk-free era precipitato a 3% e quindi il rendimento atteso dalle azioni era solo 8%. Un investitore che nel 1981 avesse puntato sulla riduzione del premio richiesto aveva due elementi in suo favore: a) la normalizzazione di ERP verso la media storica, ed b) la riduzione dei rendimenti dei Treasuries verso le loro medie storiche. Un investitore che vuole implementare la stessa strategia oggi si trova invece ad affrontare la realtà che i rendimenti risk-free non hanno molto spazio di manovra per una ulteriore riduzione. Il fatto che ERP implicito sia oggi elevato non significa che i rendimenti attesi dalle azioni siano altrettanto elevati.

Se non è possibile sapere quale sarà il rendimento futuro dei mercati azionari, o almeno il premio rispetto alla liquidità, la considerazione più semplice da fare è la seguente: migliori sono stati i rendimenti recenti, più basse sono le probabilità – ceteris paribus – che saranno altrettanto buoni in futuro.

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