Si tratta di una società di private equity quotata, e più precisamente di una business development company dedicata al finanziamento di aziende medio-piccole. Dal punto di vista legale JZCP è strutturata come fondo chiuso (closed-end investment company) quotato sulla borsa londinese da giugno 2009. Le attività di investimento sono delegate a Jordan/Zalaznick Advisers, Inc. (“JZAI”), specializzata in micro-caps attraverso investimenti diretti, buyout e prestiti mezzanine/second-lien. JZAI è stata fondata nel 1986 da Jay Jordan e David Zalaznick, ai quali si è aggiunto oltre 20 anni fa il Chief Investment Officer Gordon Nelson. [*]
Portafoglio investimenti
JZCP si caratterizza per un uso prudente della leva finanziaria, ma soprattutto per la disciplina mostrata nel prezzo pagato per gli investimenti fatti. Rispetto a molte altre società di private equity/LBO, le aziende in cui investe non sono infatti caricate di debito eccessivo, ma solo di un piccolo ammontare per migliorare i rendimenti: a livello aggregato il debito totale è infatti inferiore a 2x EBITDA, ed il recente ri-finanziamento di un prestito di JZCP ad una società controllata - sostituito da debito bancario - dimostra come molte delle aziende in portafoglio hanno ampia capacità di supportare maggiore leva.
I principi fondamentali della strategia di JZCP possono essere riassunti in:
- Focus su micro-cap (tipicamente un enterprise value inferiore a US$ 200 milioni) acquistate in partnership con il management e spesso co-investendo con altri fondi di private equity specializzati.
- Gli investimenti sono trovati attraverso il network di contatti, soprattutto aziende alla ricerca di un partner per pianificare, finanziare ed attuare una strategia di crescita.
- Un approccio molto disciplinato di tipo value: gli acquisti sono fatti solo a prezzi ragionevoli e non partecipando mai ad aste. A dimostrazione di questa disciplina, negli ultimi 18 mesi (caratterizzati da generale euforia nei mercati azionari) gli investimenti in US sono stati fatti ad un multiplo EBITDA di 5,5x, che per quelli in Europa scende addirittura a 3,1x EBITDA.
Il focus (soprattutto in US) è su aziende che appartengono a 5 specifici verticals, ognuno dei quali è supervisionato da un team interno di esperti nel settore e costituisce una piattaforma per il consolidamento di più aziende ed il loro sviluppo. Questi business sono caratterizzati da elevati margini operativi e bassa intensità di capitale ma alta intensità tecnologica in modo da meglio sfruttare le economie di scala.
Alla semestrale di agosto 2014, il portafoglio era così composto:
Pur rimanendo all’interno del proprio circolo di competenza, l’attività di JZCP si è evoluta nel corso del tempo: gli investimenti nelle tradizionali micro-cap americane sono oggi completati da investimenti in aziende simili in Europa e dal real estate, come evidenziato dall'evoluzione della composizione del portafoglio riportata qui sotto.
Gli ultimi mesi hanno visto un significativo livello di attività, con oltre US$ 150 milioni investiti, soprattutto in Europa nel settore dell’outsourcing di servizi finanziari, ad esempio l’investimento fatto nel mese corrente di €2 milioni nell’italiana finContinuo, una piattaforma che offre soluzioni finanziarie come cessione del quinto, mutui e carte prepagate.
Azionisti
I principali azionisti di JZCP sono:
- Edgewater Growth Capital Partners: 21%
- John “Jay” Jordan: 12%
- David Zalaznick: 12%
- Rothschild Wealth Management: 8,5%
- Third Avenue: 7,8%
- Abrams Capital Management: 7,6%
- Leucadia Financial Corp.: 7%
Situazione di mercato
In termini generali, il mercato dei buyout non sta attraversando uno dei suoi momenti migliori: Apollo, KKR e Carlyle hanno tutti annunciato risultati in calo nell’ultimo trimestre. Con il ritorno dell’avversione al rischio e della volatilità nei mercati, negli ultimi due mesi abbiamo assistito ad un significativo numero di aziende costrette a ritirare l’IPO pochi giorni prima di concluderle, ed i fondi di private equity in particolare stanno facendo fatica ad uscire dai loro investimenti. Questo avrà indubbiamente un impatto anche su JZCP, ed è lecito assumere che un’eventuale prolungata instabilità nei mercati azionari difficilmente risulterà in un boom nei multipli di uscita: nell’ultima operazione conclusa pochi giorni fa, JZCP ha ceduto Milestone Aviation Group realizzando ad un multiplo di 2,6x il capitale investito, un risultato di tutto rispetto ma lontano dagli exploit che spesso ci si aspetta dal private equity.
Il contraltare di questa situazione è che il momento continua invece ad essere favorevole per gli investimenti di JZCP: la mancanza di liquidità e di credito per molte aziende rendono la sua offerta (mezzanine, second lien) ancora più interessante, soprattutto se le operazioni possono essere fatte a sconto. Inoltre il target di JZCP riguarda business molto più piccoli di quelli dei grandi fondi di private equity, che sono quindi più facili da rivendere ad altri fondi o ad acquirenti strategici anche in mercati stagnanti.
Valutazione
[Nota: JZCP è quotata in sterline ma tutti i dati di bilancio sono in dollari, quindi per omogeneità ho convertito i prezzi in US$].
Dopo aver toccato un massimo di £5,4, negli ultimi mesi il prezzo è sceso a £4,2: la capitalizzazione attuale di £275 milioni corrisponde a US$440 milioni, a fronte di un NAV stimato di US$660. È vero che nel passato lo sconto sul NAV è stato anche maggiore (vedi grafico), ma il valore attuale è in linea con la media storica.
JZCP ha inoltre uno stato patrimoniale molto lineare e semplice: la crescita del NAV è stata ottenuta con un limitato ricorso al debito (mai superiore al 20% degli assets) e presente solo nella forma di Zero Dividend Preference Shares. Le ZDP hanno una scadenza naturale a giugno 2016 e non rappresentano una vera uscita monetaria, in quanto l’interesse implicito di 8% sullo zero-coupon è accumulato mensilmente nello stato patrimoniale. Queste saranno progressivamente sostituite da due tranche di Convertible Unsecured Loan Stock (CULS), la prima per £40 milioni (US$ 65 milioni) già emessa a luglio. Il vantaggio dei CULS è non solo nel costo inferiore (cedola di 6% per una scadenza di 7 anni), ma soprattutto nel fatto che la loro eventuale conversione aiuterà la liquidità delle azioni ordinarie.
Conclusioni
JZCP sembra il classico biglietto da $1 in vendita per 60 centesimi.
Lo sconto sul NAV (33%) non è ai massimi, ma garantisce comunque un certo margine di sicurezza rispetto al rischio di pagare troppo per investimenti illiquidi in micro-cap. Se escludiamo dalla capitalizzazione di mercato US$150 di liquidità ed obbligazioni quotate, rimane un costo “di acquisto” di US$290 milioni tutti gli investimenti privati in portafoglio, a fronte di una loro valorizzazione teorica di US$510 milioni (US$660 milioni meno US$150 milioni), per uno sconto sul NAV aggiustato che sale a 43%. Escludendo gli investimenti liquidi, stiamo pagando meno di 60 centesimi per qualcosa che è valutato a $1.
Il margine di sicurezza è ulteriormente confortato considerando il track record dell’investment adviser nell’investire il capitale e l’ammontare di liquidità disponibile per fornire ulteriori finanziamenti (debito e/o equity) nel caso le aziende in portafoglio dovessero averne bisogno.
Last but not least: può sembrare una considerazione marginale ma è in realtà molto importante nel contesto degli investimenti in small cap con questo tipo di approccio: non vi è alcuna ricerca da parte del sell-side su JZCP! Questo è comprensibile, visto che JZCP non ha molto business da offrire alle investment banks tale da giustificarne la copertura, e la capitalizzazione contenuta non attira l’attenzione dei maggiori fondi internazionali che sono i clienti principali del sell-side. Ma queste sono esattamente le migliori situazioni per trovare qualcosa di mis-priced, in quanto soltanto investitori dedicati come gli azionisti prima citati fanno lo sforzo di andare a cercare queste opportunità.
[*] Per la sua attività di consulenza, JZAI riceve una commissione di 1,5% annuo sugli AuM, più una commissione di performance determinata sia dalla “net investment income” che dai “realised capital gains” generati, con hurdle rate calcolati sulle perdite pregresse e sulle commissioni di performance già pagate. La struttura è quindi simile a quella classica di “2&”20” usata dagli hedge funds, senza particolari clausole a svantaggio degli investitori o che favoriscano sfacciatamente l’investment adviser. Per l’ultimo anno fiscale questa struttura si è tradotta in un costo di 214 bp del NAV per le sole commissioni di base e di 354 bp includendo le commissioni di incentivo (il costo è misurato dalle cosiddette ongoing charges secondo la definizione della Association of Investment Companies, una forma più omnicomprensiva di calcolare il TER di un fondo). Se il costo può sembrare eccessivo, basta confrontarlo con un “normale” fondo azionario venduto in Italia che ha un TER che va mediamente da 2,5% a 3,5% (e nel TER non sono compresi tutti i costi a carico degli investitori), e non offre certo lo stesso livello di professionalità.
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