giovedì 6 novembre 2014

Commodities for the long-run?

Il crollo del prezzo del petrolio sotto $80 nonostante le tensioni geopolitiche e la continua discesa del prezzo dell’oro dai picchi del 2011 hanno spostato nuovamente l’attenzione degli investitori sul settore delle commodities.

Le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime hanno affascinato gli speculatori per secoli, ma perché gli investitori (che hanno obiettivi diversi) dovrebbero essere interessati? Poiché le materie prime non producono nessun reddito, perché dovrebbero offrire un premio per possederle?


Il grafico sottostante (fonte: Société Générale) mostra come nel (molto) lungo periodo il rendimento reale delle commodities sia stato praticamente nullo, perché i cicli rialzisti tipicamente finiscono allo stesso punto in cui erano cominciati. (Il grafico riporta il rendimento spot, mentre come spiegato in seguito gli investitori guardano al total return, che non è stato comunque molto migliore.)


A dispetto della convinzione di molti che “il prezzo delle commodities va sempre su”, in termini reali il loro prezzo dovrebbe piuttosto diminuire nel corso del tempo, perché i miglioramenti tecnologici riducono i costi di produzione senza modificare la loro utilità. Un sacco di grano ed un lingotto d’argento sono oggi esattamente uguali ad un sacco di grano ed un lingotto d’argento di mille anni fa. L’unica differenza è che sono meno costosi da produrre/estrarre perché l’ingegno umano ha migliorato i processi per ottenerli. Un aumento di prezzo può essere causato da problemi temporanei, ma la traiettoria di lunghissimo periodo del prezzo reale dovrebbe rimanere discendente, come dimostrato dal grano a seguito dei problemi in Russia nel 1972: inizialmente il prezzo triplicò, ma lo shock fu solo temporaneo perché poi i raccolti tornarono sufficienti e da allora non è riuscito a rimanere in linea nemmeno con l’inflazione.


Questo non è un caso isolato: oltre al grano, anche cotone, mais, cacao, zucchero (tra i prodotti agricoli), alluminio, rame e zinco (tra i metalli industriali) mostrano un andamento simile su periodi di due secoli. Ferro ed oro sono rimasti più stabili (l’argento si è invece comportato più come i metalli industriali), mentre petrolio e gas naturale sono aumentati in termini reali riflettendo l’incremento nel costo marginale di estrazione nel settore energetico.

Perché si investe in commodities
Una delle motivazioni principali è di poter sfruttare nel corso del tempo il premio per il rischio di una posizione long: gli investitori operano infatti nei mercati future, non in quelli spot, e guadagnano un premio facendo il rolling dei contratti in scadenza. L’analisi storica dei prezzi dei future dimostra che questo premio effettivamente esiste. Ma tra tutte le classi d’investimento, le materie prime sono proprio quella per la quale è necessario comprendere chi vi investe e perché.

Affinché un investitore long-only guadagni questo premio è necessario che il mercato di riferimento sia in situazione di backwardation, ovvero una curva invertita nella quale i prezzi spot sono superiori a quelli future. Storicamente i mercati delle materie prime sono stati proprio in questa situazione, che può essere spiegata dal fatto che i produttori preferiscono ridurre la volatilità dei prezzi molto più dei consumatori, creando uno squilibrio tra domanda ed offerta. Questo gap può essere bilanciato solo se la curva forward dei prezzi è tale per cui gli arbitraggisti ritengono che vi sia un rendimento atteso sufficiente per il rischio di prendere una posizione long opposta ai produttori che vogliono coprire la loro esposizione. Quando questa teoria fu per la prima volta descritta da J.M. Keynes negli anni 1930, era un’ottima approssimazione del mercato perché questo era all’epoca composto esclusivamente da produttori che volevano coprirsi (chiamiamoli hedgers) e da arbitraggisti. Assumendo una posizione long, un arbitraggista era in grado di catturare sia l’aumento del prezzo spot che il roll yield: l’arbitraggista incamera il premio ed offre la certezza del prezzo agli hedgers.

Due significativi cambiamenti sono però avvenuti in questi mercati. Il primo è stato l’ingresso di un nuovo gruppo di attori, con una strategia più ampia: chiamiamoli per semplicità hedge funds. Anche loro investono solo quando trovano un rapporto rischio/rendimento atteso positivo, ma poiché perseguono anche altre strategie ed investire in commodities è solo una parte della loro attività (e quindi poco correlata con gli altri investimenti), si possono accontentare di un rapporto rischio/rendimento inferiore rispetto a quello richiesto dagli arbitraggisti puri. La conseguenza dell’ingresso di questi nuovi attori nei mercati futures è che la situazione di backwardation si riduce, anche se non è eliminata del tutto perché gli hedge funds ricercano comunque un rendimento positivo. Tuttavia, è accaduta anche un’altra cosa: quando nel mercato vi erano solo hedgers ed arbitraggisti, i rendimenti delle materie prime non erano correlati con altre classi d’investimento, perché questi due attori non partecipano su altri mercati. Ma quando gli hedge funds diventano protagonisti si modificano anche le correlazioni con le altre classi: un investimento sbagliato potrebbe ad esempio costringerli a liquidare le loro posizioni in commodities, o viceversa. Quello che è successo è che gli hedge funds sono entrati in una strategia che era tradizionalmente non correlata con altri investimenti ed hanno introdotto dal nulla una correlazione. Questa correlazione non sarà presente in ogni momento, ma probabilmente tenderà a salire proprio in quei momenti in cui la diversificazione sarebbe più necessaria.

Nel corso del tempo, inoltre, questi mercati sono stati soggetti anche ad un secondo cambiamento, perché un altro gruppo di investitori è entrato in modo massiccio: gli investitori istituzionali come fondi pensione ed assicurazioni. La differenza tra questi e gli hedge funds è che i secondi sono essenzialmente speculatori che cercano rendimenti positivi, mentre i primi devono gestire una determinata serie di passività, in maniera esplicita o meno. (Qualsiasi investitore che dica: “Voglio proteggere il valore reale del mio portafoglio dall’inflazione” si sta implicitamente preoccupando di una serie di passività che hanno una componente legata all’inflazione).

Questo nuovo gruppo di attori ridefinisce la definizione di rischio: non si tratta più di perdere soldi in termini assoluti, ma di perdere soldi rispetto alle passività (ad esempio non tenendo il passo dell’inflazione). Una classe di investimenti che protegge contro questa eventualità può avere un valore nel portafoglio anche se l’aspettativa di rendimento è nulla o addirittura negativa (pensate al ruolo ricoperto dalle assicurazioni). Gli hedge funds possono far diminuire il rapporto rischio/rendimento richiesto e far salire le correlazioni, ma non spingeranno il rendimento fino ad essere negativo. Gli investitori istituzionali, al contrario, hanno degli incentivi che possono spingere i rendimenti di una particolare classe fino ad essere anche negativi: se questa protegge il portafoglio contro un evento che li preoccupa, diventa razionale investire anche se il rendimento atteso è inferiore a quello della liquidità.

Quindi, dal momento in cui sono entrati questi investitori, abbiamo una strategia (posizione long su materie prime) che aveva una lunga storia di premi per il rischio positivi e bassa correlazione con altri investimenti, che si è trasformata in una in cui le correlazioni sono aumentate e l’extra-rendimento atteso è stato ridotto fino ad essere, potenzialmente, addirittura negativo. L’andamento storico del roll return è certamente coerente con questa teoria (fonte: GMO su dati della Federal Reserve).



Rendimenti reali nulli?
Negli ultimi anni l’allocazione di parte del portafoglio alle materie prime è stata giustificata sulla base di due elementi: 1) diversificazione dalle altre asset classes; 2) esistenza di un super-ciclo guidato dalla crescita della popolazione e della ricchezza nei paesi emergenti.

Per soddisfare la domanda degli investitori, banche ed asset manager sono stati ovviamente più che lieti di creare prodotti di tutti i tipi (per materia prima, liquidità, scadenza, sottogruppi, …). Come però dimostra il grafico sottostante con riferimento all’indice S&P/GSCI (spot return in blu e total return in arancione), anche se i prezzi delle commodities sono raddoppiati rispetto al 2003 gli investitori durante questo periodo hanno avuto un rendimento pari a zero. [I risultati cambiano se si considerano altre commodities, indici o sotto periodi.] Ancora peggio: il rendimento dell’indice total return rispetto a quello spot mostra per l’ultima decade uno sbalorditivo costo (roll yield) di -12% annualizzato.



Il rendimento complessivo di un investimento in commodities si può infatti scomporre in spot e roll yield. Supponiamo che il prezzo spot del petrolio sia $80, quello del contratto future per dicembre 2014 sia anch’esso $80 (manca poco alla scadenza) e quello di marzo 2015 sia $78 perché siamo in backwardation. Un investitore compra il contratto future dicembre 2014, ma prima che arrivi la scadenza e gli venga consegnato il petrolio, vende quel contratto e compra quello marzo 2015. Prima che questo scada lo venderà e comprerà quello giugno 2015, e così via. Quando l’investitore fa il rolling nel nuovo contratto, vende quello dicembre 2014 a $80 e compra marzo 2015 a $78. Se il prezzo spot del petrolio rimane invariato, il contratto future marzo 2015 salirà da $78 a $80 man mano che si avvicina la sua scadenza, per un profitto di $2 per l’investitore. Se continua a seguire la stessa strategia ogni trimestre avrà guadagnato in un anno $8 (per un rendimento del 10%) anche se il prezzo spot non cambia.

Il problema è che per avere un roll yield positivo come nell’esempio, occorre che il contratto future prossimo alla scadenza sia sistematicamente superiore a quelli seguenti. L'esplosione delle materie prime come classe d’investimento ha modificato i prezzi a causa della relazione tra domanda ed offerta, che oggi è sbilanciata dalla parte della domanda, e ha causato lo spostamento della curva da backwardation a contango, che è la situazione prevalente oggi (e lo è stata per gli ultimi 20 anni come mostrato nel grafico qui sotto). Con i prezzi dei contratti future più lontani nel tempo superiori a quelli più vicini, gli investitori hanno pagato un premio (anziché riceverlo) per fare il rolling!



Gli investimenti passivi in materie prime sono stati negli ultimi anni un incubo per gli investitori che non sono riusciti a guadagnare un sufficiente roll yield. Come detto, questi investimenti sono stati proposti “vendendo” tre storie:
  1. I mercati emergenti consumeranno presto tutte le materie prime disponibili
  2. I rendimenti delle commodities non sono correlati con le altre asset classes
  3. Le commodities tendono a tornare ad una situazione di backwardation
Tutte queste premesse si sono rivelate, nel migliore dei casi, approssimative: la crisi ha portato ad abbassare le aspettative i crescita anche per i paesi emergenti (e soprattutto smascherare l’idea che potessero fare de-coupling dai paesi occidentali); le materie prime si sono rivelate molto più correlate con le azioni di quanto si pensasse; ed invece di un ritorno a backwardation si è assistito alla continuazione del contango.

Il sell-off corrente potrebbe quindi essere parte di un effetto globale di de-financialisation: molti investitori si sono accorti di essere stati “fregati” e pertanto si rifiutano di continuare a perdere soldi. Si tratta infatti di uno zero-sum game: se gli investitori finali ci hanno rimesso, indovinate un po’ chi ci ha invece guadagnato…

Conclusioni
Per catturare il premio al rischio nelle materie prime non è più sufficiente una semplice posizione long, ma una combinazione di posizioni long e short. Se la forma della curva determina i possibili rendimenti futuri, sembrerebbe logico che gli investitori si limitino a comprare quelle commodities che sono in backwardation e vendere short quelle che sono in contango. Ignorando per un attimo la complessità di implementare questa strategia per un investitore passivo in indici (fondi pensione, assicurazioni), questa scelta sarebbe stata comunque controversa nell’ultima decade perché l’aumento medio del prezzo nominale di molte commodities ha annullato il roll yield negativo.

La storia suggerisce che nei mercati delle commodities ci saranno ancora periodi di up & down, anche molto marcati, ma che gli investitori buy & hold otterranno (nel caso più probabile) rendimenti reali pari a zero. Quelli che volessero sviluppare un processo che tiene conto della forma della curva nel determinare il momentum dei prezzi spot per identificare i cicli rialzisti e ribassisti di breve/medio periodo devono anche considerare che in questo modo si stanno sposando da un investimento passivo in un indice ad uno attivo (trading/speculazione). E che in questo secondo campo non hanno alcun vantaggio competitivo rispetto a chi lo fa da decenni, come i CTA – Commodity Trading Advisors, che sono tipicamente dei trend-followers.

Una strategia migliore (oltre a quella di dare i propri soldi in gestione ai CTA) sarebbe di costruire un portafoglio dei produttori di materie prime con i costi di produzione più bassi. La mia idea (ancora work-in-progress) di investire in agricoltura è basata proprio su investimenti azionari, non certo sui future (come descritto qualche tempo fa qui e qui).

3 commenti:

  1. Ottimo articolo, molto chiaro soprattutto. Le uniche materie prime che danno un poco più affidamneto, o che subiscono meno il passare del tempo, sono i metalli, che almeno non subiscono il deperimento della merce ed hanno costi di conservazione più bassi.
    Attendo lo sviluppo della tua idea. Un fattore è sempre esposto al prezzo del grano, ad esempio, ma già sa non solo come gestirlo, ma anche come utilizzarlo. Cioè si elimina dal processo di investimento la componente speculativa e si introduce in maniera significativa la componente produttiva.

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    1. grazie Massimo: se con "Attendo lo sviluppo della tua idea" intendi gli investimenti agricoli, purtroppo sono un po' bloccato, nel senso che ci sono poche aziende agricole quotate e le migliori opportunità sembrano essere in investimenti privati - che però al momento non so come fare.

      se qualcuno ha suggerimenti o idee sono più che ben volute!

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    2. In effetti ci speravo...era una idea che mi ronzava in mente da un po' ma non vi ho dato mai seguito, mi sono arenato ben prima di te insomma. Credo valga la pena rimetterci la testa su.

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