martedì 22 marzo 2016

Growth vs. value

“Growth and value investing are joined at the hip (Warren Buffett)”

Gli ultimi due post mi hanno portato per l’ennesima volta a riflettere su come vengono descritte le strategie di value e growth investing.

La definizione “pigra” di value (growth) è infatti: “Comprare azioni che hanno bassi (alti) P/E o P/BV.” Anche se spesso utilizzata da vari database (assieme al dividend yield) per classificare un’azienda in un gruppo o nell’altro, è troppo semplicistica, ed occorre qualcosa di più preciso.


Value è tipicamente considerato l’acquisto di azioni “cheap”: l’idea è di comprare qualcosa ad un prezzo inferiore al suo valore intrinseco ed aspettare che questo sia riconosciuto dal mercato. Si parla infatti di margine di sicurezza, la differenza tra prezzo e valore intrinseco: per avere successo, occorre che questo margine sia sufficiente a compensare per l’innata incertezza nella stima del valore intrinseco.

Growth è invece considerato l’acquisto di aziende con fatturati ed utili in rapida crescita: l’idea è di ricercare società con futuri radiosi e lasciare che il prezzo aumenti seguendo questa traiettoria. Per avere successo occorre essere in grado di stimare accuratamente la redditività futura, oltre a determinare se l’azienda sarà in grado di battere le aspettative del mercato.

Anche queste definizioni, tuttavia, sono alquanto vaghe: dire che value equivale a comprare qualcosa che vale più del prezzo di mercato è non solo ridondante, ma inutile, perché questo è quello che fanno tutti gli investitori attivi. Nessuno compra scientemente qualcosa che ritiene sopravvalutato: anche gli investitori growth vogliono comprare qualcosa per meno di quello che vale!

Warren Buffett ha ben spiegato questa dicotomia nella lettera agli azionisti del 1992:

“In answering this question, most analysts feel they must choose between two approaches customarily thought to be in opposition: value and growth. […] In our opinion, the two approaches are joined at the hip: growth is always a component in the calculation of value, constituting a variable whose importance can range from negligible to enormous and whose impact can be negative as well as positive.

[…] Whether appropriate or not, the term “value investing” is widely used. Typically, it connotes the purchase of stocks having attributes such as a low ratio of price to book, a low price-earnings ratio, or a high dividend yield. Unfortunately, such characteristics, even if they appear in combination, are far from determinative as to whether an investor is indeed buying something for what it is worth and is therefore truly operating on the principle of obtaining value in his investment.

Correspondingly, opposite characteristics - a high ratio of price to book value, a high price-earnings ratio, and a low dividend yield - are in no way inconsistent with a “value” purchase. Similarly, business growth, per se, tells us little about value. It’s true that growth often has a positive impact on value, sometimes one of spectacular proportions. But such an effect is far from certain.
Growth benefits investors only when the business in point can invest at incremental returns that are enticing - in other words, only when each dollar used to finance the growth creates over a dollar of long-term market value. In the case of a low-return business requiring incremental funds, growth hurts investors.”

Ed ancora nella lettera del 2000:
“Common yardsticks such as dividend yield, the ratio of price to earnings or to book value, and even growth rates have nothing to do with valuation except to the extent they provide clues to the amount and timing of cash flows into and from the business. Indeed, growth can destroy value if it requires cash inputs in the early years of a project or enterprise that exceed the discounted value of the cash that those assets will generate in later years. Market commentators and investment managers who glibly refer to “growth” and “value” styles as contrasting approaches to investment are displaying their ignorance, not their sophistication. Growth is simply a component - usually a plus, sometimes a minus - in the value equation.”
Per arrivare ad una migliore definizione, conviene focalizzarsi sulla struttura del capitale di un’azienda, riscrivendo il lato sinistro (assets) in maniera “meno contabile”.
Possiamo così arrivare ad una migliore descrizione:
  • Value: le decisioni sono prese sulla base degli assets esistenti, poiché il valore di quelli futuri è considerato troppo aleatorio ed indeterminato. Non ignora l’effetto della crescita (che è vista come un bonus ulteriore), tuttavia è interessato ad un business solo se le aspettative correnti sono basse e se il fattore che le causa è temporaneo.
  • Growth: si ritiene che il vantaggio competitivo sia nello stimare il valore degli assets futuri con maggior accuratezza del mercato. Anche un investitore growth reputa che le aspettative siano al momento sottostimate dal mercato, e che l’azienda creerà più valore di quanto implicito nel prezzo corrente via via che i suoi fondamentali saranno rivisti al rialzo. 
In altre parole, sia gli investitori growth che quelli value vogliono comprare aziende sottovalutate, ed entrambi ritengono che le aspettative di crescita siano sottostimate (anche se per motivi differenti). La riprova che growth e value sono due facce della stessa medaglia: alla fine, dipende da quali riteniamo essere i nostri punti di forza come analisti e da dove pensiamo di trovare le migliori opportunità.

La differenza principale nei due approcci sta nel fatto che gli investitori value si concentrano sugli assets nello stimare il valore intrinseco (guardano principalmente al balance sheet), e preferiscono evitare di fare previsioni su quali saranno gli utili in futuro e basare le proprie decisioni su queste previsioni. Dall’altro lato, gli investitori growth preferiscono concentrarsi su fatturati/utili futuri (guardano principalmente all’income statement), confidando che la crescita dell’azienda ed il prezzo di mercato siano direttamente collegati.

La mia preferenza rimane per le strategie value, perché la correlazione tra prezzo e crescita futura è vera solo in specifiche circostanze, e certamente non in senso assoluto. Un’azione value incorpora basse aspettative (“il bicchiere è mezzo vuoto”), che sono più facili da battere. Al contrario, un’azione growth incorpora elevate aspettative (“il bicchiere è mezzo pieno”): affinché continui ad aumentare di prezzo i fondamentali sottostanti devono continuamente migliorare e superare le già notevoli previsioni. Non un risultato banale da ottenere…

3 commenti:

  1. Ciao. Ho scoperto il tuo blog da circa un mese e mi sono letto con piacere gli ultimi due articoli..
    Molto interessante lo spunto sul "bicchiere mezzo vuoto" e le basse aspettative legate alle azini value..

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  2. Belli articoli, mi piacerebbe un tuo focus sulla ciclicità di alcuni settori tipicamente popolati da società che dovrebbero essere value, e se queste forti ciclicità potrebbero essere accentuate da un loro comportamento da società growth che le fa continuare a fare investimenti con poca lungimiranza, investimenti che poi smontano i margini saturano il mercato e aumentano le ciclicità e se tutto questo potrebbe essere causato o catalizzato da una errata struttura di incentivi del management.

    Un altro tuo focus che mi piacerebbe leggere è su il rapporto che dovrebbe esistere tra, il tasso che ci si attende dalle società "value" e i tassi di riferimento e conseguentemente dei tassi dei titoli di debito, in concreto se quello che vale per i bond che svalutano il valore nominale alla risalita dei tassi possa valere anche per le società value

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    1. Per il primo punto, la risposta “generica” è: si, questo è un rischio ed è dovuto a tutti i fattori che hai elencato. È per questo che il focus dovrebbe essere su ROE/ROIC (anche e soprattutto per la remunerazione del management), piuttosto che su crescita del fatturato o di EPS

      Per il secondo, non sono sicuro di capire cosa sia “il tasso che ci si attende dalle società value": intendi dire una sorta di rendimento atteso, tipo IRR? Il rapporto tra tassi (in salita) e valore delle azioni è più complesso di come viene presentato: per chi usa modelli come CAPM, la risposta semplice è che “tassi su, costo del capitale su, valore dell’azione giù”. È più o meno così, ma il meccanismo di trasmissione è più complesso: ad esempio, maggior costo del debito (quindi utili giù); se i tassi salgono per maggior inflazione allora anche i salari ed il costo delle materie prime salirà (di nuovo, utili giù). Insomma, la relazione non è così lineare e soprattutto non è univoca in tutti i casi.

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