giovedì 5 ottobre 2017

“Battle of the brands” (parte III): birra ed alcolici

Il successo negli ultimi anni delle birre artigianali (craft beer) non può essere definito che straordinario: in un mercato come quello US che vale oltre $100 miliardi annui ed è da tempo in fase di consolidamento, sono riuscite a crescere da una quota marginale del 3% nel 2006 ad oltre 12% nel 2016 (misurata in termini di volumi venduti). Oggi nei soli US ci sono oltre 5,500 birrerie artigianali.

I motivi dietro questa crescita sono principalmente:
  1. Cambiamenti nei gusti dei consumatori, in particolare il crescente interesse per tutto quello che è considerato “non prodotto in serie”. I trend di premiumization ed affordable luxury hanno inoltre spinto la fascia medio-alta della popolazione a spendere qualche dollaro in più alla ricerca di birre più sofisticate, mentre il debole di hipster e foodie per tutto quello che è locale ha spinto la domanda per prodotti meno conosciuti ma con un gusto ben distinto.
  2. Offerta “anonima” dei competitors. Viaggiando all’estero molto più dei loro genitori, i giovani americani hanno cominciato ad apprezzare la qualità della birra, così come è accaduto con il caffè. Ma i marchi onnipresenti come Budweiser, Miller e Coors, da tempo considerati come “senza carattere”, sono ancora focalizzati sulla tradizionale produzione di massa. Non a torto, comunque: Bud Light da sola vende ancora più di tutte le birre artigianali messe assieme.
  3. Situazione regolamentare più favorevole. Leggi che risalgono all’epoca post-Proibizionismo impongono, con poche eccezioni, che birrerie e distillerie debbano vendere i loro prodotti attraverso distributori e non direttamente a retailers o privati. Questo sistema a tre (produttori, distributori, retailers) favorisce i marchi esistenti, lasciando poco spazio sugli scaffali per i nuovi operatori. A partire dagli anni 1980, però, alcuni cambiamenti resero legale la distillazione artigianale non-commerciale, per portare poi negli anni 1990 all’esenzione per i ristoranti-birrerie dal sistema di distribuzione, permettendo a questi nuovi marchi di espandersi a livello regionale e nazionale.
  4. Facilità di produzione anche su scala ridotta. Rispetto ai liquori (“spirits”), una birra di qualità è più facile da produrre anche su scala ridotta, perché gli ingredienti principali (cereali, lievito, luppolo e acqua) sono sia poco costosi che facilmente reperibili, e l’equipaggiamento richiesto per la fermentazione è abbastanza facile da usare. In più, il tempo di produzione è misurato in giorni e settimane, non in mesi o anni come per vino ed alcolici, permettendo alle birrerie di scalare velocemente la produzione a fronte dell’aumento della domanda.
Nonostante l’indubbio exploit, ci sono oggi almeno tre motivi che portano a ritenere che la loro crescita futura sarà tuttavia più contenuta:
  • La “maledizione” del loro stesso successo: quelle che sono riuscite a guadagnare popolarità molto velocemente potrebbero avere altrettanto breve vita
  • I limiti alla loro base naturale di consumatori potenziali
  • Big beer è entrata di forza nel loro mercato
In primo luogo, con l’arrivo di sempre nuovi marchi il mercato si è molto frammentato, rendendo difficile creare un proprio brand unico: oggi è di moda ordinare una “birra artigianale”, ma spesso si sceglie quella disponibile al momento, senza particolari preferenze per un marchio rispetto ad un altro. Molti di quelli che prediligono la birra artigianale probabilmente non ricordano le marche preferite o nemmeno quella appena bevuta. Quindi, in aggregato le birre artigianali hanno conquistato quote di mercato, ma la percentuale per ogni singolo produttore è minuscola, perché il piatto è diviso tra molti partecipanti.

In aggiunta, quando la domanda cominciò ad esplodere i distributori avevano tutto l’interesse ad offrire ai retailers i nuovi marchi più promettenti, dando loro un modo diretto per arrivare dalla birreria ai bar. Nel mercato attuale non è più così, e la domanda che un distributore si fa è: “Oltre alle birre tradizionali, ho già 50 artigianali in stock: mi serve veramente la cinquantunesima?

Il mercato comincia infatti ad essere maturo. Le birre artigianali hanno incontrato i gusti della fascia medio-alta della popolazione, ma esiste un limite naturale al numero di persone disposte a pagare $18 per una confezione da 4 di Allagash Brett IPA. Si stima che il 75% della popolazione americana in età legale per bere risieda entro 10 miglia da una birreria: con una quota del 12%, è probabile che gran parte del mercato potenziale sia già stato intercettato. Aggiungete il fatto che le birre artigianali hanno beneficiato dall’essere considerate “alternative”, ma adesso che sono popolari e di moda non sono più contrarian. [Esattamente come è successo con i fondi alternativi: quando sono diventati di moda le loro performance sono calate drasticamente.]

L’ultimo fattore è la reazione di Big Beer. Inizialmente non ha risposto alla minaccia, sottostimando la domanda, credendo che la forza del loro advertising avrebbe comunque prevalso e non volendo “annacquare” i loro migliori marchi. Questa inazione è stata molto costosa, ma adesso hanno capito e lo slogan è diventato: “Se non puoi batterli, unisciti a loro!” Anche se su scala minore rispetto alle mega-operazioni di M&A (come questa e questa), nell’ultima decade molte delle birrerie artigianali sono state acquistate proprio dai giganti del settore: Blue Moon da MillerCoors; Goose Island da AB InBev; e Lagunitas da Heineken.

Dopo due anni di “corteggiamento”, nel 2015 Heineken ha acquisito il 50% di Lagunitas (portato a 100% lo scorso maggio), il cui CEO Tony Magee, da sempre critico nei confronti di big beer, ha tuttavia commentato che il “matrimonio” avrebbe permesso alla sua azienda di ampliare il mercato di riferimento e le dimensioni pur mantenendo la propria indipendenza:

“[…] We are now standing at the threshold of an historic opportunity to export the excitement and vibe of American-born Craft Brewing and meet beer-lovers all over the Planet Earth, our true homeland. […] We believe this is a win-win venture as Lagunitas will maintain its soul as an independent entity while gaining purchasing scale and access to lucrative global markets, and Heineken can add a unique brand and further knowledge in effective story-telling.”
Il “picco” del successo delle birre artigianali potrebbe essere già stato superato. Questa tesi sembra essere confermata dai dati di The Boston Beer Company (SAM US), produttrice del marchio Samuel Adams: dopo essere diventata una delle birre artigianali più popolari, le sue vendite hanno cominciato a diminuire già dal 2014.
Ed il prezzo dell’azione ha seguito da vicino la stessa traiettoria:
È anche vero che in altri mercati sembra esserci spazio maggiore per la crescita, perché la penetrazione di birra artigianale è molto più bassa. Ma anche in questi paesi - Europa, Asia, America Latina ed Africa -, per evitare l’errore commesso negli US big beer sta rapidamente comprando i marchi più promettenti (spesso privati e non quotati) per mantenere la propria quota di mercato. 
Fonte: Merrill Lynch, Global Data Consumer.
Mentre il mercato della birra artigianale sembra aver già raggiunto il suo massimo potenziale, whisky, gin, rum, vodka e tequila artigianali sembrano essere in ascesa, e più o meno nella stessa posizione nella quale era la birra 15-20 anni fa. È possibile che craft spirits possano avere lo stesso sviluppo e togliere quote di mercato ai giganti come Diageo, Pernod Ricard e Bacardi?

A differenza della birra artigianale, i craft spirits non godono di molti vantaggi rispetto alle multinazionali. Per cominciare, gli alcolici richiedono un più elevato livello di expertise, e soprattutto tempi più lunghi per la maturazione (soprattutto whisky e rum). Inoltre sugli scaffali non mancano le offerte di qualità, per tutti i gusti e tutte le tasche: non c’è un vero “buco” nel mercato da riempire come accaduto alla birra negli ultimi 20 anni.

Ed infine, le aziende più grandi hanno imparato la lezione per quanto riguarda i marchi più promettenti: basta vedere la tequila Casamigos, fondata da George Clooney ed acquistata dopo solo 4 anni per $1 miliardo da parte di Diageo!

Un elemento comune che sembra emergere è il progressivo spostamento dei palati verso prodotti di qualità superiore (“premiumisation”): questo vale sia per la birra che gli alcolici, e non soltanto negli US ma anche e soprattutto nei mercati emergenti. Ci sono sicuramente delle eccellenti opportunità di nicchia, ma da investitore personalmente continuo a preferire Heineken e Diageo.

2 commenti:

  1. Le faccio i miei complimenti per l'ottimo studio e capacità di analisi!!
    Da un paio di settimane (nel tempo libero) stavo guardando e iniziando a studiare il mercato degli spirits... questo suo articolo mi ha certamente dato degli spunti nuovi ed interessanti. Anche nelle mie letture il trend dei craft spirits viene dato come uno dei nuovi trend. Secondo me sarà interessante vedere anche l'evoluzione del trend della disciplina Mixoloy alimentata dai Millennials che tendono a voler sperimentare nuove vie di consumo delle bevande alcoliche e non. Tuttavia su questo trend sembra che già i leader del settore stiano presidiando la nicchia (anche con nuove varianti di prodotto ad hoc) per evitare che accada quanto fatto nel settore della birra con i produttori artigianali.

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    1. Grazie: Anche a me sembra di aver capito così, ma se conosce aziende nel segmento craft spirits è sempre interessante trovare nuovi titoli.

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