giovedì 25 giugno 2015

È l’ora di dire addio alle strategie attive?

Le discussioni se siano migliori le strategie attive o quelle passive sono vecchie ormai di oltre 30 anni, da quando negli anni 1970 furono introdotti i primi fondi passivi. E mai come oggi le gestioni attive sembrano essere sotto assedio: sono infatti numerosi gli studi che dimostrano come oltre 80% dei fondi comuni abbia ogni anno una performance peggiore del benchmark di riferimento, e questo succede da anni.

Guardando le statistiche sulle masse in gestione sembrerebbe che gli investitori abbiano deciso da che parte stare: miliardi di dollari sono spostati ogni mese dalle gestioni attive a quelle passive, un trend che non sembra subire rallentamenti. Gli assets degli ETF sono aumentati del 25% annuo dal 2000 al 2014, un successo dovuto non solo agli investitori retail: oggi il 60% degli ETF sono posseduti da investitori istituzionali, quindi la scelta non è solamente dovuta ai loro costi inferiori.

Per meglio inquadrare la questione, ecco alcuni numeri sulla performance relativa: 

Fonte: Manning & Napier.

Studiando questo grafico si può dire che le strategie attive hanno una performance migliore:

  • quando la correlazione tra le singole azioni è bassa
  • quando il rendimento dei mercati azionari è “ampio” e l’azione media ha una performance simile al benchmark
  • quando sono i fondamentali (valutazioni, utili, crescita, etc…) a determinare i risultati
  • nella prima parte di un mercato rialzista o appena all’inizio di una fase ribassista
Al contrario, le strategie passive sono superiori:
  • quando la correlazione tra le singole azioni è alta
  • quando il rendimento dei mercati azionari è “ristretto” e la maggioranza delle azioni ha una performance inferiore all’indice
  • quando sono le emozioni a prevalere
  • nella fase speculativa di un mercato bull o nella parte finale di un mercato bear
Dove siamo oggi? Utilizzando come riferimento l’indice S&P500, la correlazione tra le singole azioni è da alcuni anni elevata, a livelli simili a quelli del mercato speculativo di fine anni 1990 e del mercato ribassista del 2002: durante entrambi questi periodi sono state le emozioni (prima euforia, poi panico) a guidare i mercati. Come allora, non sorprende che da alcuni anni le strategie passive registrino in aggregato risultati migliori.
Le mie personalissime opinioni:

  • La performance relativa è molto ciclica, e con una marcata tendenza di mean reversion: la domanda da porsi è quando potrebbe invertirsi la tendenza attuale
  • Dalla fine della crisi economica, le “condizioni di mercato” prevalenti sono state di alte correlazioni e rendimenti non determinati dai fondamentali, quanto piuttosto dalle azioni delle banche centrali, dalla ricerca di yield più alti, dal sentimento di risk-on/risk-off, …. Questo è in sintesi quello che ha reso le strategie passive superiori
  • Stiamo tuttavia entrando in una fase nella quali i paesi (ed i settori) cominciano a “scollegarsi” in termini di posizione nel ciclo economico, politiche monetarie e valutazioni. Questo dovrebbe portare a maggiore differenziazione tra winners & losers, e quindi a ridurre la correlazione tra singole azioni. In questa situazione, le buone strategie attive dovrebbero ribaltare la classifica degli ultimi anni (ma occorre saper distinguere i gestori veramente attivi dai closet indexers)
  • Il vero rischio di una strategia passiva per un investitore di lungo periodo è di “bloccare” rendimenti attesi mediocri a causa delle valutazioni non certo economiche di molti mercati 

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