martedì 17 ottobre 2017

“Battle of the brands” (parte IV): Advertising agencies

Negli ultimi mesi, le tre principali agenzie pubblicitarie al mondo hanno tutte annunciato fatturati in calo: WPP, Omnicom, Publicis ed Interpublic. Leggere un trend nei risultati di uno o due trimestri è sempre azzardato, ma questi risultati non sono una sorpresa.

Più interessante è quello che ha detto Martin Sorrell, CEO di WPP, nella call con gli analisti:

“So what's our response to all this? Well, further focus on our 4 strategic priorities. Horizontality […] is our first critical priority. And it really means ensuring that our people work seamlessly. They're accustomed to working vertically and by agency brand, but they work seamlessly horizontally across the group together through client teams, and country managers and subregional managers to provide an integrated benefit for clients. And clients are pressurizing us for more effectiveness and more efficiency, this is the way, probably the most significant way that we can respond.”

Una buona azienda è infatti quella che riesce ad allineare la propria struttura organizzativa alle sfide che il mercato le pone davanti. Ma se un’azienda di successo deve cambiare completamente la sua organizzazione interna, per definizione significa che il mercato nel quale opera è profondamente differente da quello nel quale ha prosperato fino ad oggi.

La prima ad agency risale al 1850 (Volney B. Palmer a Philadelphia) e nacque con un’idea molto semplice: anziché dover trattare con differenti media (al tempo, solo giornali), il cliente può delegare questo compito all’agenzia, semplificando enormemente il lavoro e riducendo i costi, perché quest’ultima può far leva sul suo portafoglio di clienti nelle relazione con i giornali.

È il classico esempio di un mercato nel quale un intermediario può sfruttare la propria posizione per generare significativi profitti, e l’utilità delle agenzie è cresciuta esponenzialmente quando sono arrivati nuovi formati come radio e TV. In particolare, nel caso della TV i clienti non hanno solo bisogno di “piazzare” gli annunci, ma anche di idearli e produrli: le agenzie pubblicitarie hanno sfruttato questa ulteriore opportunità grazie alle loro economie di scala, integrando la creazione e la vendita degli annunci e diventando un one-stop shop per tutte le esigenze dei clienti. 

Problema: il compito principale delle agenzie pubblicitarie (quello per il quale sono pagate profumatamente) è di raggiungere i consumatori. Nell’era di Internet, dove la distribuzione è praticamente gratuita, più e più consumatori fanno affidamento su due soli “intermediari” per raggiungere contenuti personalizzati:

Quando ci sono solo due (o comunque pochi) posti dove un cliente può comprare spazi pubblicitari, le commissioni pagate alle agenzie diventano molto più difficili da giustificare.

E la questione non è soltanto economica, ma anche organizzativa: Google e Facebook sono i nuovi punti di integrazione (“aggregators”) nella catena del valore dell’advertising, e quindi tutti gli altri partecipanti si dovranno ri-organizzare attorno a loro (come ha detto Sorrell: orizzontalità). Questo crea due ulteriori incognite per le agenzie: 1) essendo da sempre organizzate in maniera verticale, non è facile passare ad un modello orizzontale, sia in termini di cultura aziendale che di profitti; 2) non sono più loro il centro dell’universo.

Prima c’era un numero ampio ma limitato di possibili media (giornali, radio e TV), ciascuno con forti barriere all’ingresso: i marchi che volevano raggiungere i consumatori finali non avevano altra scelta che pagare per essere presenti il più possibile. Oggi c’è a tutti gli effetti un numero illimitato di media disponibili (siti web, musica e film in streaming su YouTube, …) che offrono una quantità di contenuti inimmaginabile. Questo significa però che l’elemento che determina il successo è come questi contenuti vengono raggiunti (→ Google & Facebook).

L'aspetto positivo è che oggi le principali ad agencies trattano a valutazioni tutt’altro che pretenziose, oltre ad essere capital-light e trasformare gran parte degli utili in free cash flows (anche se alcune hanno debito non indifferente):

Tra le aziende di “qualità” sono senza dubbio quelle più a buon mercato: occorre però esser sicuri che tra 5 anni siano ancora di “qualità”.

PS: questo è l’ultimo post della serie sui brands, un tema che mi aveva interessato da questa estate. Adesso che ho più tempo a disposizione tornerò ad occuparmi di singoli titoli, soprattutto small-caps.

3 commenti:

  1. Buongiorno Matteo,
    ho recentemente investito in un'azienda appartenente al settore delle ordinazioni online di pasti a domicilio; credo che con il suo brand stia costruendo un discreto MOAT in quanto è riuscita ad arrivare ad una leadership in molti mercati ed opera in un settore che, per natura, tenderà ad essere diviso al massimo tra 2/3 competitors. I primi nella testa dei consumatori saranno quelli che riusciranno ad averla vinta.
    Si tratta di Just Eat, a mio parere uno dei brand più interessanti in quanto appartenente ad un settore che, a mio avviso, è destinato a diventare sempre più importante, richiede poco CAPEX e genera un sacco di cash flow.

    alcune presentazioni:
    https://www.justeatplc.com/download_file/force/275/197
    https://www.justeatplc.com/download_file/force/107/197

    Cosa ne pensi?

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    1. ciao, scusa il ritardo ma non mi era arrivata la notifica del messaggio. Conosco la app di Just Eat, non l'azienda di per sè, che adesso però guarderò. Il punto centrale è quello che dici tu: è possibile creare un moat in questi settori tecnologici/digitali nei quali le barriere all'ingresso sono molto basse?

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    2. io credo di sì perché, secondo quanto teorizzato dagli esperti di marketing Ries e Trout, aziende esclusivamente focalizzate su un servizio e prime nella mente dei consumatori, nel tempo deterranno la leadership del proprio settore.

      Un competitor è ad esempio Uber Eats, che però sta arrancando. Il semplice consumatore associa Uber al servizio di trasporto, non al cibo a domicilio.

      Sulle slides linkate è interessante notare che per loro è importantissimo essere i leader in una certa zona geografica. Dove non lo erano hanno venduto (in benelux hanno venduto a takeaway.com, e da loro hanno acquisito le attività in GB) mentre dove lo sono tendono a "mangiare" i competitors (recentemente hanno acquisito Hungry house da delivery hero in GB - in Italia hanno acquisito Pizzabo).

      p.s.
      alcunii competitors quotati:
      - Takeaway.com
      - Delivery Hero (foodora)
      - Grubhub

      Se riuscirai a verificare e farti un'idea, la potresti condividere?
      un saluto
      claudio

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