martedì 29 ottobre 2019

SoftBank: incentivi e credibilità

Ancora sulla saga di WeWork, sicuramente una delle storie più interessanti degli ultimi anni anche se si sta trasformando sempre più da una commedia buffa ad una farsa.

L’aspetto più importante è la relazione tra WeWork e SoftBank: fu proprio Masayoshi (“Masa”) Son a spingere Adam Neumann a rendere WeWork “ten times bigger than your original plan”, perché “WeWork wasn’t crazy enough”.

SoftBank Group Corp (9984 JP) è una holding quotata attiva nei settori telecom in Giappone ed US (attraverso Sprint) ed Internet (incluso Yahoo Japan). Tra gli investimenti principali ha una partecipazione in Alibaba (comprata nel 2000 per soli $20 milioni, è stata in parte ridotta da 26% nel corso dell’ultimo anno) e l’intera azienda di semiconduttori ARM Holdings, acquistata per $32 miliardi nel 2016.

C’è poi Vision Fund, un fondo di venture capital lanciato nel 2017 con circa $100 miliardi di capitale: una buona parte proviene dalla stessa SoftBank ($33 miliardi) ma ci sono anche grossi investimenti dai fondi sovrani di Arabia Saudita (Public Investment Fund, $45 miliardi) e Abu Dhabi (Mubadala, $15 miliardi). Altri investitori iniziali includono Apple, Qualcomm, Foxconn e Sharp. Mentre la partecipazione di SoftBank è tutta in equity, gli altri investitori hanno scelto una struttura più prudente, composta per circa un terzo da equity e per i restanti due terzi da preferred shares che pagano una cedola di 7%.
Vision Fund è di gran lunga il più grande nella sua categoria: tra gli investimenti che ha fatto ci sono Uber, WeWork, Oyo, Slack, Nvidia, Didi (la lista completa è disponibile qui).

Lo scorso luglio SoftBank ha annunciato il lancio di Vision Fund 2, con l’obiettivo di arrivare a $108 miliardi e commitments da Apple, Microsoft, Standard Chartered, varie banche giapponesi ed il fondo nazionale del Kazakhstan. Al momento sembra tuttavia essere in stand-by: per riempire i forzieri del secondo fondo deve infatti cominciare con i disinvestimenti dal primo e realizzare miliardi di profitti da restituire agli investitori, cosa che al momento sembra molto difficile (Abu Dhabi ed Arabia Saudita sono infatti assenti dalla lista di sottoscrittori del secondo fondo). Secondo le presentazioni, ad oggi Vision Fund avrebbe realizzato un internal rate of return di 29%, che salirebbe addirittura a 45% se si rimuovesse il 7% pagato sulle preferred shares: questi sono numeri eccellenti anche nel mondo di VC/PE. Purtroppo questi rendimenti sono basati sulle valutazioni interne della stessa SoftBank, spesso ai valori impliciti nell’ultimo round di finanziamento, ed abbiamo visto con WeWork come queste possano essere alquanto aleatorie. Gli unici due veri disinvestimenti sono stati Nvidia (che era comunque già quotata, ed il rendimento è stato aumentato dalla leva e dai derivati utilizzati) e l’azienda indiana di ecommerce Flipkart (che è stata acquistata da Walmart). Deve ancora incassare dalle aziende che si sono recentemente quotate (ad esempio Uber, Slack, Guardant Health), ma come abbiamo visto non tutte stanno facendo faville. 

La questione più controversa riguarda però la governance: sia SoftBank che Vision Fund hanno più o meno la stessa missione di detenere grosse partecipazioni in aziende tech, che ha portato a molte sovrapposizioni ed a SoftBank a “vendere” alcune partecipazioni a Vision Fund, essenzialmente negoziando da entrambi lati del tavolo. Ad esempio, parte della dotazione iniziale di SoftBank in Vision Fund è stato il 25% di ARM, valutato oltre $8 miliardi.

Quando si parla di conflitti d’interesse si pensa tipicamente ad una situazione dove gli interessi fiduciari sono in conflitto con quelli personali: gestisco un’azienda, per l’azienda e tutti i suoi azionisti è meglio fare X, ma è nel mio interesse personale fare Y e quindi decido per Y. Nel caso in questione la situazione è ancora più complicata: Masa Son, che è il principale decisore sia a SoftBank che a Vision Fund, ha due diversi “partiti” da accontentare - gli azionisti di SoftBank ed i principi arabi di Vision Fund -, e non è ovvio dove risiedano i suoi interessi personali a lungo termine. Mantenere tutti equamente felici è probabilmente meglio che favorire una parte rispetto all’altra, ma il conflitto non è così semplice come dire che ciò che va bene per Masa Son potrebbe non essere positivo per i suoi investitori.

Entra in gioco WeWork. Secondo il prospetto di pre-quotazione, l’investimento di circa $9 miliardi sembrerebbe essere stato fatto quasi interamente da Vision Fund, mentre il recente pacchetto di salvataggio (prestito di $5 miliardi ed offerta di acquisto di azioni esistenti di $3 miliardi) sembrerebbe venire da SoftBank. È possibile che stia cercando di salvare gli interessi dei grandi investitori in Vision Fund a spese degli azionisti di SoftBank? E cosa succede a seconda di come si evolve la situazione a WeWork?

Se fallisce, SoftBank finisce per perdere anche i soldi del nuovo investimento in aggiunta a quanto già messo da Vision Fund, ma soprattutto le accuse sull’aver distratto valore da SoftBank ad altri (più forti?) partiti saranno validate, in quanto avrà sprecato le sue risorse per salvare (in parte) i principi arabi.

E se invece WeWork funziona, e finisce per valere $50 o anche $100 miliardi come previsto? In questo caso sarà SoftBank a beneficiarne, perché avrà investito $3 miliardi per acquistare metà dell’azienda mentre Vision Fund ha messo $9 miliardi per comprarne solo un terzo ad una valutazione molto più alta. SoftBank farà molti più soldi con meno rischio di Vision Fund. E poiché Masa Son ha fatto entrambi gli investimenti e negoziato entrambe le valutazioni, la domanda è se SoftBank ha voluto di proposito “sabotare” la IPO di WeWork per poterne approfittarne e prenderla a prezzo di saldo. A meno che, nel caso funzioni, SoftBank non trasferisca le proprie azioni a prezzo di costo a Vision Fund, come ha fatto nel passato. Ma in questa situazione SoftBank avrebbe incorso tutto il rischio senza alcun beneficio, ed i suoi azionisti potrebbero giustamente lamentarsi, ad esempio del fatto che vedranno peggiorare il credit rating.

Per chi ha seguito la storia, sono gli stessi identici conflitti d’interesse che Adan Neumann aveva a WeWork: in quel caso ha estratto un sacco di valore per sé stesso (prestiti, possibilità di vendere fino a $1 miliardo delle sue azioni a SoftBank, contratto di consulenza per 4 anni a $185 milioni, …) mentre l’azienda implodeva e molti dipendenti venivano licenziati, oltre a veder svanire il valore delle loro opzioni che non possono vendere.

“Never, ever, think about something else when you should be thinking about the power of incentives.”  (Charlie Munger)

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