mercoledì 5 marzo 2014

Investire nei mercati emergenti: Ashmore Group

In un post precedente ho scritto: 
In perfetto stile contrarian, […] è l’ora di cominciare a guardare in maniera molto selettiva ad una maggiore esposizione agli EM. […] un investitore contrarian dovrebbe sempre essere ben conscio del rischio di essere in anticipo, sia nell’entrare che nell’uscire, ovvero l’esatto opposto degli investitori momentum.

[…] Tornando ai mercati emergenti, vi sono vari modi di accedervi: 1) fondi/ETF con un’esposizione diversificata per settore e/o paese; 2) società domiciliate in EM ma trattate su mercati occidentali (ADRs/GDRs); 3) aziende basate nei mercati sviluppati ma con significative operazioni in quelli emergenti.

La conclusione era che, per le mie caratteristiche, il miglior modo per accedere a questi paesi, oltre ad alcuni investment trust, è attraverso aziende con una significativa esposizione alle dinamiche specifiche dei mercati emergenti. [È bene ricordare che qualsiasi multinazionale ha oggi un’esposizione diretta ai mercati emergenti: aziende come Nestlè, Unilever, Diageo o Heineken ricavano dal 20% al 50% dei propri profitti operativi direttamente in questi mercati.]






Ashmore Group (ASHM:LN) rispecchia queste caratteristiche: si tratta infatti di un asset manager inglese specializzato nell’investire esclusivamente in EM, con uffici a Londra e New York ed una presenza locale in Colombia, Brasile, Turchia, Russia, India, Cina, Indonesia e Singapore.

La storia dell’azienda è ben spiegata nel sito:
Based in London, the business was founded in 1992 as part of the Australia and New Zealand Banking Group. In 1999, Ashmore became independent and today manages $75.3bn (as at 31 December 2013) across a range of investment themes in pooled funds, segregated accounts and structured products. Ashmore Group plc has been listed on the London Stock Exchange since 2006.
Il business degli asset manager è già stato discusso: si tratta di società asset-light (bastano un ufficio in affitto ed un PC), con enormi economie di scala e con eccellenti sinergie sia di costo che di ricavi. Inoltre, a differenza di molti altri settori, gli asset manager non devono competere più di tanto sul prezzo, in quanto la struttura delle commissioni (1%-2% delle masse gestite più 10%-20% sulla performance) è molto omogenea.

Tuttavia, le gestioni attive tradizionali sono oggi attaccate da più lati: da una parte, fondi passivi ed ETF; dall’altra, hedge funds ed alternative investments. Inoltre, con gli yield ai minimi storici è più difficile generare lo stesso livello di commissioni, perché queste rappresentano una maggiore proporzione dei rendimenti per i clienti.

Strategie ed operatività
Al 31 dicembre 2013, ASHM gestiva le seguenti strategie:
  • External debt (US$13,4 miliardi, 18% degli AuM): la prima asset class ad essere accettata a livello globale dagli investitori internazionali, comprende obbligazioni sovrane emesse in USD (in misura minore in EUR) da circa 60-80 paesi emergenti e di frontiera;
  • Local currency debt (US$16,9 miliardi, 22%): la nuova frontiera dei mercati emergenti, comprende obbligazioni emesse da stati sovrani e denominati in valuta locale, dando così accesso ad un più ampio spettro di esposizioni alle dinamiche economiche di questi paesi;
  • Corporate & blended debt (US$26,1 miliardi, 35%): un mix delle due precedenti strategie, incluse obbligazioni aziendali;
  • Equities (US$5,3 miliardi, 7%): i fondi azionari, tutti a gestione attiva, includono investimenti focalizzati su: mercati emergenti globali; small-caps; di frontiera; America Latina; medio oriente; sud-est asiatico;
  • Alternatives (US$2,5 miliardi, 3%): tre temi principali: special situations (distressed debt & private equity); real estate; ed infrastrutture;
  • Overlay/liquidity (US$8,3 miliardi, 11%): offre agli investitori la possibilità di gestire, in maniera attiva o passiva, l’esposizione valutaria ai mercati emergenti;
  • Multi-strategy (US$2,8 miliardi, 11%).
Questi investimenti sono gestiti attraverso i seguenti veicoli:
  • Fondi comuni/SICAV: US$22,7 miliardi (30%)
  • Conti segregati: US$48,9 miliardi (65%)
  • Fondi gestiti per terze parti (dual/white label): US$3,7 miliardi (5%)
Dal punto di vista delle masse gestite, la storia di ASHM mostra un enorme successo:
Fonte: Ashmore Group.

Nel 2011 ASHM ha acquistato Emerging Markets Management (EMM), un altro asset manager dedicato agli EM e fondata da Antoine Van Agtmael, che quando era capo economista del IMF negli anni 1980 fu il primo a coniare il termine emerging markets (considerato più rispettoso di “less developed countries” come erano conosciuti fino ad allora). Questa acquisizione, cha aggiunse oltre US$10 miliardi agli AuM, fu fatta ad un prezzo (per metà pagato nei tre anni successivi al raggiungimento di determinate condizioni) che era pari solo a 8x gli utili di EMM e 2,4% degli AuM.

Per quello che riguarda la redditività, i due grafici sottostanti mostrano la situazione dalla data di quotazione:

Fonte: Ashmore Group (l’anno fiscale termina il 30 giugno). Utili  e flussi di cassa per azione sono in sterline.

Il ROE è diminuito perché nel tempo gli utili non distribuiti (il dividend payout è attorno a 60%) sono andati ad accumulare l’equity, ma i margini di profitto sono straordinariamente stabili attorno al 55%: un business molto, molto attraente.

A fronte di questi rendimenti, la valutazione attuale è:
P/E (1 anno):       11x
P/E (5 anni):        13x
Dividend yield:     5,2%
EV/EBIT:              6,6x
P/TBV:                3,7x
Capitalizzazione: £2,2 miliardi

ASHM non ha debiti ma una liquidità netta di £515 milioni (cash + investimenti), equivalente ad oltre £0,7 per azione). Il rapporto tra capitalizzazione di mercato ed AuM - la metrica più utilizzata per valutare gli asset managers – è oggi pari a 4,8% (che scende a 3,7% se escludiamo la liquidità netta): più cara di molti gestori tradizionali, ma la metà degli hedge funds / private equity quotati.

Ci sono ovviamente delle valide ragioni per le quali la valutazione della società è così cheap:

  • Spaventati dalle prospettive economiche, gli investitori stanno uscendo da questi mercati: dai fondi di ASHM, nei 6 mesi al 31 dicembre 2013 sono stati ritirati circa US$3 miliardi
  • L’incidenza delle commissioni incassate è diminuita, quasi dimezzandosi da circa 100bp-120bp nel 2008-2009 ai 65bp attuali [Nota per me stesso: prima o poi dovrò fare un paragone con le commissioni medie incassate dai gestori italiani…]
  • Le commissioni di performance potrebbero essere molto ridotte nei prossimi anni
  • I ricavi sono una funzione diretta degli AuM, e questi potrebbero contrarsi a causa della riduzione delle valutazioni in EM; come spiegato nel post dedicato, gli asset managers sono un geared play sull’andamento dei mercati
Cosa mi piace di ASHM
1. È un modo diretto e semplice di “puntare” sui mercati emergenti, senza avere un’esposizione specifica ad alcun paese e/o settore, anzi avendo qualcuno con enorme esperienza che lo fa per me.
Nonostante le paure attuali, nel lungo periodo i mercati dei capitali in EM sono destinati a crescere. L’universo di obbligazioni ed azioni in questi paesi è stimato oggi attorno a US$14 trilioni ciascuno, ovvero più o meno la capitalizzazione dell’intero mercato azionario americano. Essendo specializzata in questi investimenti, ASHM ha una reputazione ed una credibilità superiore rispetto ad un gestore tradizionale con qualche fondo dedicato agli EM tra tutti quelli offerti, e quindi è destinata a trarne maggiori benefici.

2. L’investimento è ovviamente esposto alle dinamiche economiche degli EM (in fondo è quello che cerco), ma non ai rischi estremi difficili da identificare e coprire. ASHM non ha attività che potrebbero essere bloccate in un qualche paese emergente (pensate ad esempio ad una fattoria in Ucraina in questi giorni…), perché gli assets sono di proprietà dei clienti e sono segregati.

3. Anche se i dati non riflettono ancora gli scossoni di gennaio, da quando si è cominciato a parlare di tapering gli AuM non hanno certo registrato un tracollo (e gran parte della riduzione è dovuta a tassi di cambio sfavorevoli, non a performance negative): 

Fonte: Ashmore Group.

Il rischio principale rimane proprio la volatilità degli AuM, che potrebbero non essere così stabili come desiderato, soprattutto in un settore come quello degli EM. ASHM farebbe certamente bene ad imparare dall’esperienza di Artio Global Investors, come ben descritto in questo articolo del Financial Times. Uno dei sui punti di forza, tuttavia, è proprio la ridotta percentuale di investimenti da parte di investitori retail/intermediari (circa il 12%), mentre la maggioranza è detenuta da investitori istituzionali, tipicamente più interessati al lungo periodo e meno “volubili”.

Fonte: Ashmore Group.

4. La riduzione delle commissioni medie incassate non è dovuta ad incapacità dei gestori, quanto piuttosto allo spostamento verso mandati istituzionali (come evidenziato nel grafico qui sopra), in particolare portafogli segregati che comandano fees più basse in quanto gli investitori istituzionali sono maggiormente sensibili ai costi. Ma per un asset manager è molto meglio avere un mandato da $200 milioni ad una fee di 70 bp da un fondo pensione, che un fondo retail da $50 milioni con fee di 150bp.

5. Nonostante quanto asserito da molti accademici e consulenti, i mercati emergenti sono difficili da replicare via ETF, in particolare quelli obbligazionari. Limitazioni locali all’operatività, liquidità, necessità di conoscere i mercati domestici, … costringono gli ETF ad investire nei titoli più liquidi e conosciuti, che però sono anche quelli dove c’è meno valore. Una strategia veramente attiva nei mercati emergenti dovrebbe essere ancora in grado di generare un significativo alpha.

6. La struttura dei costi è molto flessibile. La parte fissa dei salari ha un tetto di £100.000 anche per i migliori portfolio manager. La parte variabile dei compensi è la singola voce più significativa tra i costi, ma questa dipende da quanto bene fanno le strategie di investimento. Ed anche questa parte variabile è pagata solo per il 60% in cash, il restante 40% sono azioni con un periodo di conferimento di 5 anni.

7. Ashmore non ha una cultura di star fund managers che potrebbero cambiare società e portarsi dietro i clienti. Detto questo, uno dei fattori più importanti per qualsiasi gestore è sicuramente il track record storico: per molti consulenti ed asset allocators la performance relativa è (purtroppo) l’unica variabile da considerare. Da questo punto di vista, ASHM sembra avere importanti vantaggi competitivi: il 95% dei suoi fondi/mandati sta al momento battendo il benchmark di riferimento su un periodo di 3 anni ed il 96% su 5 anni.

Fonte: presentazione agli analisti.

9. Il CEO Mark Coombs possiede il 42% delle azioni ed avendo solo 54 anni non è vicino al pensionamento.

Il business ha un qualche “moat”?

La cosa più importante in qualsiasi investimento non è cosa l’azienda ha fatto fino ad oggi, ma cosa potrà fare da oggi in poi.

In teoria, creare un nuova società di asset management è relativamente semplice, e spesso assistiamo al lancio di  nuovi fondi da miliardi di dollari da parte di qualche famoso gestore uscito da un’altra società. Tuttavia, nel caso degli EM la situazione è più complicata: non ci vuole molto ad investire nelle obbligazioni dei paesi emergenti denominate in USD o EUR, ma ottenere l’accesso ai mercati locali è molto più difficile. L’esperienza e le conoscenze di ASHM in questo ambito non sono facilmente replicabili: ad esempio, ad inizio gennaio è stata la prima società occidentale ad ottenere la licenza per investire direttamente nel mercato onshore cinese. Inoltre, i problemi degli ultimi mesi hanno spinto molti gestori anche di rilievo ad uscire da questo segmento del mercato, tra gli ultimi anche l’eccellente hedge fund Brevan Howard.

I vantaggi di ASHM risiedono principalmente nelle sue dimensioni, nella struttura distributiva e nelle relazioni con governi, SWFs e capital allocators che Mark Coombs ha costruito fin dagli anni 1980. Questi vantaggi sono assolutamente reali e rappresentano un’efficace barriera contro il proliferare di nuovi, piccoli fondi che fanno fatica a raggiungere le masse critiche.

Valutazione
L’ultima questione da affrontare rimane ovviamente quanto si è disposti a pagare per questo business.
Per un’azienda finanziaria con questi margini e rendimenti, un prezzo pieno potrebbe essere attorno ad un P/E di 15x. Meglio ancora se si potesse comprare ad un P/E (aggiustato per la liquidità) di 10x basato su utili depressi per i prossimi 2-3 anni.

La media degli utili negli ultimi 5 anni, includendo quindi il minimo del 2009, è di £0,24 (che salgono a £0,27 negli ultimi 3 anni). EPS di £0,24 è anche la stima per l’anno fiscale al 30 giugno 2014. Includendo £0,70 di liquidità netta per azione si traduce in una valutazione conservativa di £3,1 (£0,24 * 10x + £0,70), ovvero la conferma che il prezzo corrente già sconta attese prudenti per i prossimi 3-5 anni. Valutazioni più alte sono ovviamente possibili se si accettano multipli superiori.

Tuttavia, se prendiamo i risultati del I semestre 2014 pubblicati la scorsa settimana, gli utili per il 2014 potrebbero essere più vicini a £0,20 che a valori superiori, causati da una riduzione delle management & performance fees (vedi sopra) e da tassi di cambio avversi. Utilizzando questo numero come stima degli utili depressi per i prossimi 2-3 anni si ottiene un fair value di £2,7. Questo potrebbe essere visto come una sorta di floor al valore intrinseco, ed un possibile downside di -13% è un trade-off rischio/rendimento accettabile.

Come controprova, proviamo a valutare ASHM con un modello di economic profit, ovvero l’extra-rendimento generato rispetto al cost of equity. Ipotizzando un COE di 10% ed includendo nell’analisi anche il 2009 per essere prudenti, ASHM ha generato una media di £127 milioni di economic profit negli ultimi 5 anni. Capitalizzando questo valore a differenti tassi di crescita (ed aggiungendo il valore attuale del book value), si ottengono i prezzi per azione nella tabella sottostante: 


Come si può nuovamente vedere, il prezzo attuale sconta aspettative di crescita abbastanza conservative e modeste.

Infine, anche se non sono assolutamente un analista tecnico, è sempre utile guardare al grafico del prezzo:


Nel periodo di massimo pessimismo – quando ASHM aveva perso circa il 35% dei propri assets - il prezzo è sceso anche sotto £1,5, mentre negli ultimi 3 anni sembra che abbia trovato un supporto attorno a £3 (meno di un anno fa era a £4,4). Questo potrebbe voler dire che il prezzo di mercato potrebbe non scendere mai verso il mio fair value, ma anche che se le cose dovessero peggiorare (default di un paese emergente, hard landing in Cina, …) potrebbe esservi una rapida discesa a livelli ben inferiori.

Pertanto, senza fare alcuna previsione di market timing, preferisco per il momento attendere che il prezzo scenda attorno a £2,7-£2,8, se mai lo farà. Come discusso anche nei post precedenti, questo potrebbe succedere se la situazione in EM diventasse più complicata e confusa: se il sentimento di mercato dovesse volgere verso una tempesta, questo sarebbe positivo (non negativo) per ASHM nel lungo periodo.

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