venerdì 23 maggio 2014

Le regole del gioco

Questa “digressione” mi serve come premessa per meglio introdurre quello che vorrei trattare poi nel prossimo post.

Le discussioni sull’essenza di investimento vs. trading vs. speculazione sono vecchie come il mondo. Questa distinzione di Alfred Berkeley, all’epoca presidente del Nasdaq, riassume molto bene quelle che è anche la mia visione:

"There are always three games going on in the market at any time: a game of chance, a game of skill and a game of strategy. Games of chance are gambling; games of skill are speculating; and games of strategy are investing. The best way to understand this is to look at the definitions. Investors, like Warren Buffett, want to find the underlying value of a company. The time horizon is the same time horizon it takes to work out the company’s strategic plan, usually years and decades. The speculator doesn’t care about the underlying value of the company. He cares about the underlying demand of buyers and sellers in the stock. He is looking at the beauty-contest aspect – will people like the stock and bid it up or not. And the gambler is just a more speculative speculator, making a bet because he’s got a hunch that he knows what’s going on."

Senza voler dare nessun giudizio etico, vediamo quali sono le regole del gioco per investimenti, trading, speculazione e gioco d’azzardo.

Investire è in primo luogo un’attività orientata al lungo periodo, e non perché lo dicono i promotori per giustificare i loro errori, ma perché questo è proprio l’elemento essenziale che la differenzia dalle altre. In secondo luogo, i fondamentali dell’attività sottostante giocano un ruolo importante, sia che si tratti di valutare l’attività stessa o di stimarne i profitti futuri. Infine, la vendita dell’investimento ad un prezzo superiore è solo uno dei possibili modi per realizzare il valore intrinseco: nel corso del tempo questo potrà essere realizzato attraverso dividendi, buyback, M&A, spin-off, … Quanto appena detto vale sia per le strategie value che per quelle growth, ed anche per le obbligazioni, non solo per le azioni.

Di contro, il trading è più orientato al breve periodo ed in generale implica di essere in grado di rivendere la posizione in guadagno a qualcun altro dopo un certo tempo. Inoltre, i fondamentali non sono così importanti, in quanto le news o il sentimento del mercato hanno spesso preponderanza.

Infine vi è il gioco d’azzardo, che può essere definito come una scommessa di una certa quantità di denaro che risulta in un singolo flusso di cassa, che può essere zero o un ammontare predefinito superiore alla scommessa iniziale. Il “sottostante” della scommessa è tipicamente un evento (partita di calcio, giro della roulette, carte, …) ed il payout in genere dipende unicamente dall’evento stesso.

Fin qui niente di nuovo o sorprendente. Quello che però le persone dimenticano è che ciascuna di queste attività dipende da una serie di assunzioni ed ipotesi che garantiscono che si possa effettivamente realizzare un profitto.

Nel caso del gioco d’azzardo queste ipotesi sono abbastanza semplici e chiare: ad esempio, non si deve perdere la ricevuta della scommessa ed il casino deve pagare la vincita. Tutti i giocatori conoscono queste regole, ed è per questo che scommettere con degli estranei in un vicolo buio non è mai una buona idea (è una scommessa con un valore atteso negativo…). A parte queste precauzioni, il gioco d’azzardo è un modo equo e trasparente di assumersi un rischio monetario.

Nel caso del trading, molte altre ipotesi devono essere fatte per poter realizzare il profitto atteso. Innanzitutto, i mercati devono essere funzionanti e liquidi; la controparte della transazione deve essere solvente; e l’attività sottostante non deve sparire improvvisamente per motivi ignoti. In condizioni normali si possono considerare queste assunzioni come scontate, ma come abbiamo visto nel 2007/2008, quando questi problemi emergono di solito lo fanno tutti assieme. Un trader può avere il miglior sistema di risk management al mondo, ma se aveva un conto con Lehman Brothers (Europe), che aveva ri-ipotecato le stesse attività prestandole ad altri, è rimasto fregato.

Più interessante è invece il fatto che investire è, tra queste tre attività, quella che si basa sul set più completo di assunzioni implicite: di nuovo, queste regole sono tipicamente date per scontate, ma non sempre è così. Chi compra un’azione diviene proprietario di una parte (piccola o grande) di un business operativo, e di una parte corrispondente dei suoi assets e dei profitti futuri. Implicitamente un investitore assume anche di essere protetto dalla legge e dalle sue istituzioni, ad esempio contro il rischio che il CEO dell’azienda scappi con la cassa. Oppure che i creditori si approprino di beni non di loro pertinenza. Oppure che… Si tratta di un complesso di regole societarie, civili, legali, internazionali, etc, che devono essere fatte rispettare dalle istituzioni (governi, legislatori, tribunali, autorità internazionali, polizia, …) affinché il gioco sia equo per tutti i partecipanti. 

Nel mondo reale, queste regole valgono davvero?

Il primo esempio che salta alla mente è quello dei bond greci: molti pensavano che queste obbligazioni fossero un investimento e che sarebbero state sicure finché la Grecia non fosse diventata insolvente, ed anche a quel punto sarebbe arrivata l’Unione Europea o il FMI a salvarla. Come sappiamo adesso, il governo greco ha semplicemente cambiato la legge domestica (tutto assolutamente legale, sia ben chiaro) introducendo un pesante haircut per la maggioranza degli obbligazionisti, mentre altri non sono stati toccati (le obbligazioni delle Repubblica Ellenica di diritto inglese sono state infatti ripagate in pieno). Quindi adesso sappiamo che i titoli di Atene di diritto greco non erano un investimento ma una speculazione sul fatto che la Grecia non avrebbe scelto questa strada.

Lo stesso ragionamento si può applicare alle azioni: non è di molto tempo fa l’espropriazione e nazionalizzazione di YPF da parte del governo argentino, in quanto Cristina Kircher ha deciso che tutte le migliori aziende che operano nel paese devono essere di proprietà statale, e ci sono voluti quasi due anni per arrivare ad un accordo sulla compensazione per Repsol (che ha accettato un pacchetto di bond argentini a lunga scadenza…).

Si tratta di due situazioni non certo nuove in quanto si sono verificate più volte nel passato, e nelle quali le regole che assumiamo essere implicitamente valide non lo sono più. Tutti gli studi sull’andamento dei mercati e il funzionamento di questa o quell’altra strategia (inclusi quelli di Fama e French) sono essenzialmente basati sull’esperienza degli US, una nazione che non ha sperimentato nazionalizzazioni su larga scala, ridenominazioni della valuta o iperinflazione per oltre cento anni. Il fatto che le strategie value abbiano sovraperformato in questo contesto non deve dare l’illusione che possano essere applicate nello stesso modo ad altre nazioni. Paesi come la Russia (P/E 5x, P/BV 0,7x) o la Cina (P/E 9x, P/BV 1,4x) potrebbero essere un’ottima speculazione (che non è né illegale né immorale, e non ha nemmeno una connotazione negativa), ma probabilmente non sono un investimento. Questo perché non c’è un reale margine di sicurezza, in quanto il governo può semplicemente prendersi tutto se è quello che preferisce o se è sufficientemente disperato.

Il punto centrale non è se la Cina dominerà il mondo (politicamente ed economicamente) nel ventunesimo secolo, se ci sarà o meno il famoso hard-landing, o se il paese crescerà in futuro al 5%, al 7% o al 10%. Dal punto di vista di un investitore (rispetto ad un trader), tutti questi fattori hanno un’importanza marginale. Eppure gran parte del tempo delle SGR è speso a magnificare il loro nuovo fondo/ETF che investe nelle azioni trattate nelle borse domestiche come Shanghai invece che solo ad Hong Kong, e di come il mercato stia diventando più liquido, la valuta autorevole, etc…

La Cina è e rimarrà ancora a lungo un paese comunista: nonostante la necessità di aprirsi al capitalismo ed alle riforme finanziarie, la proprietà privata è ancora solo tollerata ed i controlli sui movimenti dei capitali sono elevati. Il governo cinese non ha nemmeno bisogno di cambiare le leggi, come ha fatto la Grecia, basta che decida di applicarle così che gli investitori occidentali non rivedano mai un centesimo del loro investimento. Si può studiare la storia cinese, visitare il paese e verificare che le proprietà esistano veramente (già di per se un fatto non da poco, considerando l’esperienza recente, vedere Sino-Forest o questo video), ma se la Cina decide che il renminbi non può più essere scambiato con euro/dollari o che la valuta non può lasciare il paese (risoluzioni che può attuare in qualsiasi momento), allora il valore intrinseco del mio investimento è zero. Qualcuno vuol provare a portare la Cina davanti alle Nazioni Unite o al Parlamento europeo?

Un altro aspetto, anche questo molto importante: nella realtà dei fatti non vi alcuna possibilità di adire per vie legali contro il management di un’azienda cinese, nemmeno quando questa è quotata su una borsa estera (molte aziende cinese negli ultimi anni hanno fatto la doppia quotazione a Wall Street, Londra o in Germania). A molti sembrerà una leggenda metropolitana, ma in Cina le frodi e gli abusi finanziari contro gli investitori esteri non sono considerati un reato (un altro esempio è l’Indonesia, dove non esiste il reato di insider trading). Non vi è alcun trattato di estradizione tra Hong Kong e la Cina, e se nemmeno le autorità di Hong Kong riescono a mettere le manette agli imbroglioni, buona fortuna a chi ha investito in Chaoda Modern Agricolture (CHA:GR), China Hongxing Sports (C1NA:GR), ABC Communications (ABM:GR), China Nickel Resources (FZH:GR), ….

Per molti partecipanti nei mercati dei capitali la differenziazione tra investimento e speculazione sembra essere una questione puramente accademica e semantica, ma nel lungo periodo una speculazione eccessiva aumenta drasticamente il rischio di una perdita permanente del capitale (un po’ come succede al casino: si può essere fortunati per una sera, ma tutto quello che il banco vuole è che continuiamo a giocare così da sfruttare l’house advantage).

Gli standard di corporate governance per le aziende cinesi (anche per quelle quotate in paesi occidentali) sono troppo bassi, se non inesistenti, per poter avere fiducia in un investimento.

2 commenti:

  1. anche l'Italia non scherza. Oltre i recentissimi casi Carige ed Unisai (mi riferisco ANCHE alla trattamento "truffaldino" riservato agli azionisti risparmiatori di classe A) molto aziende hanno letteralmente "fregato" gli azionisti con aumenti di capitale ultradiluitivi (Seat-Prelios-Unisai) dove veniva staccato un maxidiritto che veniva regolarmente quotato in fortissima discesa sin dal primo giorno: di fatto si l'operazione configurava come una pistola alla tempia ---> o aderisci all'aumento o perdi tutto!! E la consob?

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  2. non conosco queste operazioni nei dettagli, per quel poco che ne so Prelios e Seat erano in condizioni critiche ed in questi casi gli aumenti di capitale sono fatti con uno sconto elevato per avere una qualche certezza di portarli in porto.
    comunque è vero: l'Italia è agli ultimi posti (non solo tra i paesi sviluppati) per comportamento etico delle aziende, protezione degli azionisti di minoranza e regolamentazione dei mercati.

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