Spoiler: senza il supporto dei governi, i dati empirici dimostrano che le grandi banche globali avrebbero un rating creditizio di tipo speculativo.
Una delle sfide principali per gli investitori in azioni ed obbligazioni bancarie negli ultimi anni è quella di determinare fino a che punto queste dipendono dal “supporto straordinario” (leggi: bailout) dei rispettivi governi. Per capire come la leva finanziaria, la volatilità e la qualità degli assets e le altre caratteristiche finanziarie, operative ed economiche influiscano sul rischio di default, gli investitori (soprattutto quelli obbligazionari) fanno spesso affidamento su complicati modelli quantitativi. Tuttavia, c’è una variabile fondamentale che è difficile da quantificare: qual è la probabilità che il governo intervenga a salvare i creditori in caso di fallimento di una banca?
Un report dell’agenzia Fitch Ratings offre alcuni interessanti spunti di discussione. [NB: il report del settembre 2013, intitolato “The evolving dynamics of support for banks”, è disponibile solo per i clienti di Fitch. Parte delle conclusioni e dei dati sono disponibili in un altro, più recente, report.] Per il periodo 1990-2012, Fitch ha analizzato sia il tasso di default che quello di fallimento per i creditori senior delle maggiori banche mondiali, quelle che oggi vengono definite SIFI (Systemically Important Financial Institution). Il tasso cumulato su 5 anni dei default effettivi per il periodo in esame è stato di 1,15%, mentre il tasso di fallimento è stato 6 volte maggiore e pari a 6,95% [Fitch definisce un fallimento come: “[…] ha fatto default o lo avrebbe fatto senza un intervento straordinario”]. Un analista che stesse costruendo il modello quantitativo di cui sopra sarebbe certamente soddisfatto: data la stima del possibile fallimento di una banca dai suoi fondamentali, basta moltiplicarla per un sesto (l’impatto dell’intervento dei governi secondo Fitch) per determinare l’effettiva probabilità di default.
Per tutti gli altri investitori, il tasso cumulato dei fallimenti su 5 anni è invece interessante per altri motivi. Utilizzando la tabella sottostante contenuta in un altro report di Fitch (“Fitch Ratings Global corporate finance 2012 transition and default study”), si può vedere come nello stesso periodo 1990-2012 il tasso di default cumulato per i titoli corporate con rating BB sia stato di 6,91%.
Quindi, se rimuovessimo il “supporto straordinario” dei governi, le obbligazioni delle maggiori banche mondiali si comporterebbero come titoli high yield (o, meglio, junk bonds) con rating BB. Ed il periodo di 23 anni è sufficientemente lungo ed indicativo della comportamento delle banche globali su diversi cicli economici. Non sono a conoscenza di studi simili che arrivino alle stesse conclusioni o anche al loro contrario: se qualcuno lo è, per favore fatemelo sapere.
Controllando i rating assegnati dalle tre maggiori agenzie (S&P, Moody’s e Fitch), sembrerebbe che queste non siano d’accordo con la precedente conclusione. Ma i risultati dell’analisi di Fitch sono importanti perché riflettono dati effettivi e reali, piuttosto che il loro giudizio, eccessivo ottimismo o altre considerazioni. Questa questione è fondamentale non solo per le agenzie di rating, ma anche per le autorità bancarie, gli investitori ed in ultima istanza per tutti i cittadini che sono chiamati a sostenere le banche in difficoltà con le loro tasse. La tendenza attuale è di avere una regolamentazione del sistema bancario più prudenziale, ad esempio aumentando il livello di capitale obbligatorio, introducendo dei controlli sulla liquidità degli investimenti ed imponendo un limite massimo all’uso della leva. Tutti buoni propositi che speriamo siano sufficienti a scongiurare la prossima crisi sistemica.
Il punto centrale, tuttavia, è che ora come ora chi investe in obbligazioni bancarie, anche senior, sta in realtà comprando qualcosa che in media non è nemmeno investment grade.
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