lunedì 26 gennaio 2015

Banche: cronaca di un disastro evitato (parte I)

“I bought stuff at 3.5 cents once and I thought it can’t go down to zero. It can.” (Peter Cundill)
 

Lo scorso anno avevo cominciato ad interessarmi alle banche greche dopo aver letto che alcuni famosi investitori erano entrati nel settore: tra di essi David Einhorn, John Paulson e Seth Klarman (quest’ultimo attraverso warrant). [Per chi non conoscesse David Einhorn consiglio vivamente la lettura di “Fooling some of the people all of the time”]. L’argomento è quanto mai attuale: non solo per quello che sta accadendo in Grecia, con le voci di una nuova ristrutturazione del debito, ma anche per il QE della Banca Centrale Europea che ha rilanciato tutto il settore bancario.
Questo post è la cronaca delle varie considerazioni ed analisi fatte negli ultimi mesi: poiché è venuto molto lungo (ed un po’ tecnico), l’ho suddiviso in due parti – che potremmo identificare come macro e micro - e comincio direttamente con le conclusioni. Per onestà devo ammettere che alcune di queste sono fatte con il senno di poi: all’epoca dell’analisi iniziale non potevo sapere come la situazione si sarebbe aviluppata.  Ed il fatto che alcune di queste banche abbiano perso il 50% nell’ultimo anno non vuol assolutamente dire che sia più intelligente di Einhorn, Klarman o Paulson, e nemmeno che la loro tesi sia stata un completo disastro. Fino ad oggi il timing di questi investimenti non è stato dei migliori, ma non è detto che nel medio periodo (2-3 anni) non abbiano invece ragione loro.

È comunque sempre utile fare delle osservazioni post-mortem: ecco dunque, le mie conclusioni.

  • Se c’è un settore legato all’andamento dell’economia è quello bancario. E nonostante gli interventi e la nuova supervisione da parte della BCE, le banche rimangono essenzialmente delle entità locali: in caso di problemi, il supporto verrà dai governi domestici, se ci riusciranno.
  • Questo legame simbiotico è stato evidente proprio in Grecia, dove il sistema bancario non era così dissestato come ad esempio in Irlanda o Spagna: i prestiti erano finanziati in prevalenza dai depositi; il settore privato non era “over-leveraged”; ed il mercato immobiliare non era fuori controllo. Tuttavia, le banche greche possedevano ingenti titoli di stato della Repubblica Ellenica: se a questo aggiungiamo la contrazione dell’economia domestica e l’elevata disoccupazione, è facile capire quali sono stati i problemi.
  • I ratios patrimoniali comunemente utilizzati sono, non dico inutili, ma per lo meno fuorvianti (vedere le considerazioni precedenti sull’analisi delle banche): i numeri presentati dal management riflettono semplicemente l’applicazione dei principi contabili, non la loro realtà economica.
  • Gli analisti ed i regolatori guardano al passato per cercare di anticipare e prevenire la prossima crisi, ma non è mai così: quello che è andato male nel passato viene in genere aggiustato (il livello di capitale), ma la prossima crisi verrà probabilmente da quello che invece per il momento va bene. Quello che dovrebbe preoccuparci di più oggi è il loro funding.
  • Una bassa valutazione, ad esempio del multiplo P/BV, è un buon punto di partenza: ma di per sé non è una garanzia di un sufficiente margine di sicurezza, perché il denominatore (equity) può “sparire” velocemente a causa delle perdite sui prestiti. Un investimento nelle banche rimane “altamente speculativo”: non sono sicuro di come possa esserci un margine di sicurezza in un business che ha una leva di 25x ed oltre, senza contare l’esposizione nozionale dei derivati e le poste off-balance.
[Tutte le analisi nei due post fanno riferimento alle banche greche, ma possono essere estese ad altri paesi, in particolare l’Italia che ha avuto problemi simili alla Grecia. È vero che con qualche eccezione – come Banca Ifis – la maggior parte delle banche italiane tratta a sconto rispetto ai concorrenti europei: ma chiunque si aspetti un significativo re-rating del settore deve avere un valido motivo specifico (ad es., la conversione delle popolari in SpA), o rischia di rimanere molto deluso.]

La tesi macro sulle banche
Cercando su Internet, mi sono imbattuto in una presentazione fatta da Einhorn ad una conferenza nell’ottobre scorso nella quale dettagliava la sua tesi sulle banche greche, Piraeus Bank (TPEIR:GA) ed Alpha Bank (ALPHA:GA), nonché sul perché era short sui titoli di stato francesi (questa seconda tesi, molto interessante, è altrettanto condivisibile). In sintesi, sosteneva che:

  1. La Grecia è sulla strada della ripresa economica: la situazione è ancora difficile ma il trend è in miglioramento e le “medicine” imposte dalla Troika daranno i loro risultati;
  2. Il sistema bancario greco è caratterizzato da un oligopolio con 4 attori principali, che tendono ad evitare eccessiva concorrenza;
  3. Le banche greche hanno migliorato la loro efficienza operativa riducendo i costi (ad esempio chiudendo filiali e riducendo il personale);
  4. Le banche greche sono (relativamente) ben capitalizzate, come confermato in seguito dagli stress test della BCE;
  5. Le perdite potenziali sono sufficientemente coperte dalle rettifiche già fatte nonché dalle garanzie possedute.
Lo scorso anno i mercati finanziari ritenevano che il peggio fosse in effetti passato: dopo il pesante haircut sul debito, i titoli decennali greci pagavano meno di 6% (oggi siamo tornati a 10%); il mercato azionario era salito dai minimi del 2012 di 110% (mentre nel 2014 ha invece perso il 30%); e le banche erano state ri-capitalizzate e trattavano ad un P/BV di appena 1x.

1. Ripresa economica in Grecia
Il punto di partenza della tesi macro è che la Grecia è (era?) sulla strada della ripresa economica, come dimostrato dalla sostanziale diminuzione del fardello degli interessi sul debito riportato nel grafico qui sotto (preso dalla presentazione di Einhorn), a livelli addirittura inferiori alla Francia. Inoltre, il debito pubblico non era più un problema, in quanto detenuto principalmente da BCE e FMI a tassi inferiori a quelli di mercato e con lunghe scadenze.


Non occorre essere un premio Nobel per farsi però qualche domanda: come ha fatto la Grecia a ridurre il peso degli interessi passivi di quasi il 50% senza ripagare niente (il paese dovrebbe avere un avanzo primario nel 2014 ma è ancora in deficit considerando gli interessi) e senza un’ulteriore ristrutturazione del debito (che è ancora oggi 175% del PIL)? Se prendiamo le ultime stime della Commissione Europea possiamo vedere a pagina 174 le previsioni sulle spese per interessi per i vari paesi: a leggere la tabella 37 le spese per interessi in Grecia dovrebbero essere di 4,3% del PIL nel 2014 e 4,2% nel 2015, cioè il doppio di quanto indicato nel grafico (i valori per la Francia sembrano invece concordi).

La risposta sta nel fatto che il valore indicato da Einhorn - più basso - si riferisce al solo “cash cost” del debito greco, in quanto gran parte di quanto dovuto a FMI e UE non prevede il pagamento di interessi fino al 2022. Ma i numeri della Commissione sembrano più realistici, in quanto basati anche su “accrued interest”, pagato o non pagato. La prima significativa riduzione del livello del debito in Grecia è avvenuta nel 2011-2012, quando è sceso da 7% a 4%, ma è difficile capire come potrebbe ulteriormente ridursi fino al 2%: in assenza di un altro write-off, tutti gli effetti benefici della ristrutturazione del debito sono già inclusi nella situazione attuale. [È interessante notare come i valori per Italia e Portogallo, in percentuale del PIL, siano oggi peggiori di quelli greci.]

Le riforme strutturali in Grecia negli ultimi anni (riduzione del salario minimo, riforma delle pensioni) sono state marginali ed i miglioramenti di alcuni indicatori economici partivano da una situazione disastrosa: passare da una disoccupazione del 28% a 26% è un cambiamento favorevole, ma uno che fa poco per l’economia reale. Un altro punto, che pochi sembrano considerare: la Grecia opera in un “vicinato” (Balcani, Medio Oriente e la stessa UE) che è fragile sia dal punto di vista economico che geopolitico.

L’elevato livello di debito della Grecia indica un’elevata probabilità di un nuovo default/ristrutturazione volontaria: ed il fatto che gran parte del debito sia oggi detenuto da entità sopranazionali non è necessariamente un vantaggio. Con chi pensate che sia più facile e più veloce rinegoziare il debito, con i creditori privati o con BCE/FMI/Commissione Europea/Germania…?

2. Mercati oligopolistici = elevata redditività
A seguito delle ristrutturazioni e fusioni, 4 banche dominano oggi il mercato greco con una quota del 93%. I grafici qui sotto - dalla stessa presentazione - confrontano la concentrazione di mercato in vari paesi con il ROE medio, che implicherebbe un’elevata redditività futura per le banche greche.


All’apparenza questa affermazione sembra corretta: aziende che operano in un mercato oligopolistico dovrebbero essere in grado di ottenere rendimenti superiori per la mancanza di effettiva competizione. Questo per lo meno secondo la teoria, la pratica è diversa: è difficile definire il numero reale di concorrenti in un mercato.

Esistono mercati con molti players nei quali alcuni di essi occupano solo una nicchia, che consente loro di generare elevati rendimenti. Allo stesso tempo esistono mercati (cosiddetti “contestabili”) nei quali ci sono solo uno o due attori eppure sono caratterizzati da elevata competizione e redditività media. Quello che è più importante per la redditività non è il numero di concorrenti presenti, ma le barriere all’ingresso di nuovi: come ben sanno gli investitori value, un mercato senza moat porta a rendimenti del capitale mediocri.

Come in tutti i paesi, anche in Grecia occorre un’autorizzazione per operare una banca, che suggerirebbe l’esistenza di una qualche barriera. Questo argomento è anche portato frequentemente a favore del settore bancario negli US, dove il numero di charter a nuove banche è sceso da circa 130 nel 2008 a 2 nel 2013 e 0 nel 2014: questo ostacolo dovrebbe favorire i profitti delle banche esistenti e quindi le loro valutazioni.

Dall’altro lato, la Grecia fa parte dell’Unione Europea, che ha come uno dei pilastri principali la libertà di movimento dei capitali. Se il mercato bancario greco garantisse elevati ROE, potete star sicuri che attirerà altre banche ad aprire una filiale ad Atene, e queste avrebbero anche un vantaggio dal lato del funding provenendo da paesi più solidi. Quasi sicuramente questo non accadrà nei prossimi anni (le banche europee sono anzi fuggite dalla Grecia), ma non sembra un vantaggio duraturo.

Come fanno allora le banche nei paesi nel grafico ad avere questi elevati ROE? Due considerazioni: 1) ROE dipende in maniera preponderante dalla leva utilizzata (e quindi attenzione a confrontare pere con mele); 2) il ROE deve essere sempre normalizzato su un ciclo economico completo. Due dei paesi elencati (UK e Belgio) hanno visto infatti negli ultimi anni alcuni fallimenti eclatanti: Dexia, Royal Bank of Scotland e Northern Rock solo per citarne alcuni. I ROE riportati nel grafico si riferiscono solo alle banche sopravvissute?

Altra considerazione: a parte il Belgio, tutti gli altri paesi hanno autorità e regolatori locali. Mentre nessuno può impedire alle banche dell’Eurozona intenzionate a competere in Grecia di operarvi, è più difficile ottenere una licenza bancaria negli altri paesi, dove la BCE non ha alcun potere. Ma soprattutto: tutti questi paesi hanno una struttura sociale, economica e finanziaria ben diversa dalla Grecia, e non ha molto senso paragonare una banca svedese ad una greca. La Repubblica Ceca, considerata un mercato emergente, ha un basso livello di debito pubblico (46% del PIL) e privato (83%), che rende una espansione del credito molto più credibile. Non solo: è anche una nazione di risparmiatori, con un rapporto tra depositi e prestiti di solo 72% (in Italia è superiore a 120%, in Grecia attorno a 110%), un enorme vantaggio dal punto di vista del funding. Infine, anche storicamente, la Repubblica Ceca è molto vicina alla Germania non solo geograficamente (per la Grecia è l’esatto contrario…), ed è un paese altamente industrializzato.

Dopo l’analisi macro, il prossimo post si occuperà dell’analisi micro delle banche greche.

2 commenti:

  1. Scusi ma se il rapporto deposito prestiti in Rep. Ceca è più basso che in Italia e Grecia vuol dire che i Cechi risparmiano meno degli Italiani e non di più come dice lei.

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  2. è vero, scritto così è fuorviante: la metrica tradizionalmente usata è prestiti/depositi (non il contrario)

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