- Molti investitori preferiscono ignorare le banche perché troppo rischiose o difficili da analizzare: questo è generalmente vero, le banche sono istituzioni ad elevata leva finanziaria e quindi prone a disastri. Tuttavia, non tutte sono così: per alcune il business è elementare e facile da capire.
- Nonostante Banca Profilo non si sia salita assieme a tutto il settore finanziario italiano (performance di solo 6% da inizio anno, rispetto ad altre banche che sono salite di 20%-50% e più), l’azione non mi sembra particolarmente a buon mercato per un istituto interamente esposto sull’Italia.
- È vero che altre private banks trattano a multipli superiori, ma si tratta di istituti con ben altra redditività.
Banca Profilo (PRO:IM) non è la tipica banca commerciale: il suo core business è infatti quello di private & merchant banking, con un’offerta di “servizi specialistici per la gestione del patrimonio di clienti privati e istituzionali e per le esigenze finanziarie delle imprese.”
Dal 2009 Profilo è posseduta al 62% dal fondo di private equity Sator, il resto è flottante sul mercato.
Come molte altre istituzioni finanziarie, Profilo è stata (relativamente) redditizia fino al 2008, quando ha invece registrato una perdita di €78 milioni rispetto a profitti di €11 milioni l’anno precedente. Sembra che da allora non sia più riuscita a riprendersi, e l’andamento del prezzo rispecchia questa situazione.
L’attività di private & merchant banking è forse il segmento più lucrativo di tutto il panorama bancario. Oltre al wealth management per la clientela privata, include servizi di investment banking alle aziende: lo scorso anno Profilo è stata ad esempio global coordinator per la quotazione di Gala su Borsa Italiana. Il cliente tipico di queste strutture è infatti un professionista o il proprietario di un’azienda medio-piccola: i private banker si occupano della gestione del patrimonio, mentre gli altri dipartimenti offrono servizi di advisory o anche prestiti dove necessario. Queste banche non hanno problemi di liquidità, perché i ricchi clienti forniscono una specie di “float”: il rischio è piuttosto che usino questo float per fare qualcosa di stupido, come ad esempio abbassare gli standard nella concessione dei prestiti per “vincere” business nelle altre aree della banca. Profilo sembra non essere caduta in questo tranello: non solo ha un rapporto tra prestiti e depositi inferiore a 60% (al 31.12.2014), ma ha sofferenze lorde per €8 milioni su €430 milioni di finanziamenti, e nette di soli €1,2 milioni pari ad un rapporto di NPL di 0,3%.
L’altro lato della medaglia è però che questo business richiede più capitale rispetto alle tradizionali banche commerciali. Banca Profilo sottolinea giustamente la sua “[…] solidità patrimoniale ai massimi livelli europei” (ha infatti un rapporto equity/assets di 8%), ma è molto comune per queste banche avere valori di 7%-10% rispetto al 2%-4% di Deutsche, HSBC o Barclays.
Il settore del private banking è stato tradizionalmente dominato dalle banche svizzere, che come sappiamo hanno un enorme vantaggio in termini di privacy e di rendimenti “al netto delle tasse”. Questo vantaggio è stato lentamente ma inesorabilmente eroso negli ultimi anni: il regime di segretezza ha cominciato a sgretolarsi sotto le richieste di molti paesi europei ma soprattutto delle autorità fiscali americane, al punto che alcune banche come Wegelin sono state costrette a chiudere. Questo potrebbe sembrare marginale nel breve periodo, ma dovrebbe comunque avere un impatto positivo per le altre entità non-svizzere. Un altro fattore positivo potrebbe essere la maggiore regolamentazione per le grandi banche, tutto a favore delle banche di nicchia, più piccole.
Valutazione
Per cominciare, la più semplice possibile: book value. Alla trimestrale del 31 marzo il book value per azione di Banca Profilo era di €0,28 (tangible book value quasi identico a €0,27), che al prezzo attuale di €0,33 significa un P/BV di 1,2x.
Il multiplo per le banche svizzere (Julius Baer, Vontobel, EFG International, …) è tipicamente più alto e compreso tra 1,5x e 2x, ma ci sono anche altre realtà (BHF Kleinwort Benson, Van Lanschot) che trattano a valori più bassi, attorno a 0,6x. La differenza principale è che queste banche hanno una redditività ben superiore a Profilo: per Julius Baer e Vontobel il ROE medio è normalmente attorno a 10%-12%, mentre per la tedesca Berenberg (non quotata) è superiore a 15%. Dal 2009 ad oggi il ROE di Profilo è stato attorno a 2%.
L’andamento dell’attività operativa è positiva: la raccolta totale amministrata e gestita (escludendo i depositi ma includendo la raccolta fiduciaria netta) è oggi di €4,3 miliardi, in crescita rispetto a €3,9 miliardi di fine 2014, e complessivamente è aumentata ad un ragguardevole CAGR di 15% dal 2009. Quello che tuttavia è diminuito drasticamente sono le commissioni medie incassate per i servizi di gestione, intermediazione e consulenza, che sono scese da 120bp nel 2007 a 100bp nel 2010 ed a 85bp oggi (rispetto ad esempio ai 180bp-200bp di Azimut, che la dice lunga su quanto gli intermediari italiani riescano a “spremere” dai clienti…): è vero che Profilo non gestisce fondi propri, ma può essere dovuto solo all’impatto di ETF a costi contenuti?
Il grosso fardello di Profilo è la struttura dei costi: negli ultimi anni il cost/income ratio è stati infatti appena inferiore a 90% (più basso nel primo trimestre 2015), mentre è solo del 70%-75% per Julius Baer e Van Lanschot. Questo svantaggio è dovuto solo in parte all’elevato costo del personale tipico delle banche italiane: Julius Baer ha infatti un costo medio per dipendente di €180.000, più alto del 30% rispetto a Profilo (€140.000, a sua volta superiore al costo medio per dipendente delle banche italiane di circa €75.000: diciamo che a Banca Profilo non hanno il braccino corto in fatto di stipendi e stock options…). La differenza è però nell’efficienza: ciascun impiegato genera infatti €370.000 di ricavi a Julius Baer ma “solo” €275.000 a Profilo.
Altra considerazione: quando si valuta qualcosa rispetto al book value occorre considerare come questo è cambiato, perché il multiplo corrente può anche essere basso ma serve a poco se l’azienda non è in grado di accrescerlo ad un tasso accettabile nel corso del tempo. Nel caso di Profilo abbiamo la seguente evoluzione:
BV/azione
2007 € 1,06
2008 € 0,38
2009 € 0,55
2010 € 0,25
2011 € 0,19
2012 € 0,23
2013 € 0,25
2014 € 0,26
2015 Q1 € 0,28
Questi numeri non sono certo incoraggianti: la riduzione nel 2008 è stata una conseguenza delle perdite registrate in quell’anno, mentre il “salto” del 2009 è stato dovuto all’aumento di capitale di €110 milioni con il quale Sator ha preso il controllo della banca. La ricapitalizzazione è stata invero necessaria in quanto le riserve di Profilo erano state quasi azzerate nel 2008 (equity/assets ratio era sceso a 2% e Core Tier 1 ratio a 4%), ma è anche stata enormemente dilutiva per gli altri azionisti.
La banca sembra costosa anche sotto altre metriche: il P/E sugli utili del 2014 è di 65x, che scende a 22x (comunque elevato) se prendiamo per buoni gli utili di €10 milioni previsti nel 2016 dal piano industriale.
Secondo news di mercato, Banca Finnat avrebbe offerto €40 milioni per rilevare Banca Cesare Ponti, la struttura di private banking che dovrebbe essere messa in vendita da Carige: senza conoscere nel dettaglio le condizioni di redditività di Cesare Ponti, possiamo però rilevare che è stata valutata circa 2% della sua raccolta indiretta di €2 miliardi. Questo multiplo è attualmente di oltre 5% per Banca Profilo: in operazioni di acquisizione i tradizionali asset manager puri sono stati valutati tra 2% e 4%. (Profilo offre servizi di gestione patrimoniale e distribuisce fondi di case terze, ma non ha fondi propri, anche se propone “Club di investimento” tramite SPV dedicate ad investimenti specifici).
Conclusioni
Banca Profilo è sicuramente patrimonialmente solida e con un business non difficile da analizzare (non è una black box). Per il mio approccio ai mercati, tuttavia, il rapporto rischio/rendimento non mi sembra così allettante: non mi sembra un’azienda di elevata qualità, e soprattutto il prezzo non è giustificato dai fondamentali attuali.
Come per ogni banca, la preoccupazione principale è come potrebbe reagire in un nuovo bear market (non che sia dietro l’angolo, ma è sempre bene prevederne le conseguenze): il book di prestiti e gli altri titoli posseduti non sembrano presentare problematiche particolari, ma l’esperienza del 2008 suggerisce che le piccole banche, meno diversificate, possono soffrire in maniera spropositata i cambiamenti nel sentiment di mercato (banche più grandi come Julius Baer hanno attraversato la crisi in maniera più indolore).
In termini di valutazione, la “speranza” potrebbe essere nella cessione (a premio) ad un gruppo più grande, che in fondo è quello che un fondo di private equity come Sator dovrebbe fare qualche anno dopo l’investimento e la ricapitalizzazione. A questo proposito, Matteo Arpe si è dimesso dalla carica di presidente del CDA lo scorso 10 dicembre 2014: potrebbe essere il prologo ad una cessione della maggioranza della banca a qualcun altro (anche se per il momento non ci sono stati rumours in questo senso)?
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