Non certo una priorità, ma mi sembrava corretto aggiornare dal post precedente a seguito della pubblicazione dei risultati per il 2019 (li potete trovare qui).
DBK continua a fare quello che “deve”, ovvero riparare lo stato patrimoniale e rafforzare il proprio capitale: i risk-weighted assets sono diminuiti di 8% ed il CET1 è un rispettabile 13,6%.
Il problema rimane che anche rimuovendo i costi di ristrutturazione e gli impairment del goodwill, continua a non fare soldi, con una perdita pre-tasse di circa €1 miliardo. Con i ricavi che continuano a contrarsi (vedere la discussione nel post precedente), il cost income ratio rimane ostinatamente superiore a 90% (addirittura 101% nel 2019), con i costi del personale che negli ultimi 5 anni sono passati da 40% dei ricavi a ben 50% (per un confronto, sia Intesa che Unicredit sono oggi attorno a 35%). DBK è uno dei pochi esempi negli ultimi 20-30 anni dove il “lavoro” ha guadagnato molto più del “capitale”.
L’ultima decade è stata senz’altro a vantaggio dei creditori: deleveraging, più (e miglior) capitale, vendita di attività, riduzione dei costi. Tutto guidato dai regolatori, che non hanno esitato a “far fallire le banche” (nel significato moderno del termine) quando gli azionisti non hanno voluto metterci altri soldi.
Con alcune eccezioni per quelle più piccole e specializzate, questo vale grosso modo per tutte le grandi banche europee: è difficile vedere come la prossima decade possa essere quella degli azionisti.
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