lunedì 26 gennaio 2015

Banche: cronaca di un disastro evitato (parte II)

Capire il quadro macroeconomico è sicuramente importante, non fosse altro per determinare la sensitività della tesi di investimento a differenti scenari. Ma per un investitore value il focus rimane sempre e comunque sui fondamentali, piuttosto che sulle storie macro, e quindi l’analisi delle banche deve essere fatta a livello micro. (Per motivi simili il mercato greco, oggi di nuovo nell’occhio del ciclone, potrebbe tornare ad essere interessante con qualche idea di tipo contrarian).

Utilizzando i dati di bilancio relativi al 2013 (quelli per il 2014 non sono ancora disponibili: dove possibile ho aggiornato i numeri con gli ultimi valori disponibili) ho riassunto nella tabella sottostante la situazione patrimoniale di Piraeus Bank:

Alla fine del 2012 Piraeus era tecnicamente insolvente avendo un valore di equity negativo.

Come si può vedere, tra il 2012 ed il 2013 Piraeus ha incrementato in maniera significativa le proprie attività, anche se non si è trattato di una crescita organica quanto piuttosto il risultato di varie operazioni straordinarie: Piraeus ha infatti acquistato le attività greche di alcune banche cipriote (Bank of Cyprus, Cyprus Popular Bank, Hellenic Bank e Millenium Bank) così come Agricultural Bank of Greece (ATE). Per questo motivo, è difficile estrapolare come si sono comportate le attività “core” di Piraeus.

L’aumento dell’equity è stata una conseguenza della già citata ricapitalizzazione (per circa €8 mld), ma anche dei profitti di €2,5 mld realizzati nel 2013: a prima vista questo sembrerebbe un risultato eccellente (€2,5 mld di utili su assets l’anno precedente di €70 mld!), considerando che la congiuntura economica greca non farebbe certo pensare a rendimenti così elevati. In realtà questi profitti sono derivati proprio dalle acquisizioni, sotto forma di un contributo di €3,8 mld di negative goodwill.

Negative goodwill?!?
Questa voce merita una spiegazione dettagliata, non fosse soltanto per l’enorme ammontare. In linea di principio, così come a seguito di un’acquisizione un’azienda si trova a dover riportare in bilancio un valore di goodwill positivo, secondo i principi contabili è assolutamente possibile (anche se molto raro) dover riportare un valore negativo.

Dai bilanci di Piraeus si evince che il valore sopra riportato è venuto principalmente dall’acquisizione delle operazioni greche delle banche cipriote (€3,4 mld), di Millenium Bank (€300 milioni) e da operazioni precedenti con Geniki Bank e ATE Bank (circa €420 milioni, in parte già inclusa nel 2012). In parole semplici, questo vuol dire che nel corso del 2013 Piraeus ha acquistato attività ad un prezzo di €3,8 mld inferiore al loro book value.

Assumiamo che queste attività valessero almeno il valore di libro: chi è che accetterebbe di venderle per €3,8 mld in meno, e soprattutto perché? Dall’altro lato, se invece valevano quanto Piraeus le ha pagate, perché sono state rivalutate in bilancio di €3,8 mld? Soltanto per avere un impatto positivo sugli utili? Se è così, dovrebbero essere considerati parte di equity (attraverso il riconoscimento tra gli utili), oppure inclusi in loan loss reserves?

Una possibile spiegazione è che chi ha venduto queste attività fosse in guai seri e non avesse più i requisiti minimi per operare: le autorità li hanno probabilmente costretti a vendere e Piraeus ha ottenuto un prezzo di saldo (Piraeus è considerata la banca dell’establishment in Grecia, con molta influenza politica). Questa transazione ha permesso a Piraeus ed al governo greco di “ricapitalizzare” la banca senza doverci mettere nuovi soldi. Se è effettivamente così, però, i precedenti proprietari avrebbero protestato di più, magari portando in tribunale il governo greco, ma sembra che non sia successo niente. Qui le teorie complottistiche abbondano: chi ha “autorizzato” questo accordo, con il rischio di esporsi a cause infinite nonché al giudizio della Troika, delle agenzie di rating, etc…

La seconda spiegazione, più probabile, è che l’accordo sia una diretta conseguenza delle condizioni di mercato: queste attività sono di qualità scadente, i precedenti proprietari erano ben felici di liberarsene e per questo non ci sono state proteste. Se non erano stati fatti accantonamenti sufficienti, questi attivi erano sopravvalutati di €3,8 mld. Ma se questo è il caso, perché Piraeus li riporta nel suo bilancio al precedente (sovrastimato) valore? Se il loro valore reale è quello pagato, Piraeus avrebbe dovuto fare una svalutazione di ammontare pari a quella della fittizia negative goodwill: le rettifiche di Piraeus dovrebbero essere molto maggiori, e di conseguenza il valore dell’equity sarebbe molto inferiore. [Ed infatti nel terzo trimestre 2014, prima dei risultati degli stress test della BCE, Piraeus ha provveduto a rettifiche straordinarie di €2,2 mld.]

Per aggiungere alla lista delle stranezze: nel corso del 2014 Piraeus ha incluso tra i profitti anche €144 milioni derivanti dal rifinanziamento di un prestito a Marfin Investment Group (MIG). La stranezza deriva dal fatto che non solo Piraeus è l’azionista principale di MIG e che quest’ultima è praticamente insolvente, ma che il guadagno viene dall’aver sostituito un prestito fatto a MIG dalla vendita di una obbligazione convertibile che (surprise, surprise) è stata acquistata interamente dalla banca stessa!

Una veloce analisi dello stato patrimoniale
Dalla tabella precedente, sottraendo il valore degli intangibles, alla fine del 2013 si ha un valore di libro di tangibile equity di €8,2 mld, ovvero una leva (tangibile assets/tangibile equity) di soli 11x: dopo l’aumento di capitale, Piraeus appariva addirittura sovracapitalizzata e con leva decisamente inferiore alle altre banche europee. Questo avrebbe potuto favorire un periodo di forte crescita.

Il problema è che il book value può facilmente ingannare, perché dipende dalla qualità degli assets della banca. Determinare questa caratteristica è sempre un esercizio complicato, ed ancora di più in queste situazioni: il punto di partenza è analizzare i prestiti ai clienti (nel grafico qui sotto ho riportato in maniera precisa i numeri del bilancio 2013 perché la qualità dell’immagine era pessima: per chi volesse controllare è la tabella nella nota 3.2.1).

L&As sta per Loans & Advances.

Su un totale di €76 mld (lordi) di prestiti, €23 mld erano considerati impaired, per un NPL (non-performing loans) ratio di 31%, che riflette la difficile situazione in Grecia. Su questi prestiti erano state fatte svalutazioni (allowances) complessive di €14 mld, per un valore netto in bilancio di €62 mld. Il coverage ratio (svalutazioni/NPL) era di 66% per i prestiti retail e di 57% per quelli corporate. A prima vista questo sembra conservativo, ma ricordate che stiamo parlando della Grecia: il valore di molte attività è crollato da quando questi prestiti sono stati concessi, quindi il livello delle svalutazioni potrebbe non essere affatto sufficiente.

Quello che tuttavia spaventa sono gli ulteriori €20 mld considerati “past due but not impaired”, un altro 27% del totale. Secondo i principi contabili IFRS, questi prestiti non devono essere considerati impaired se il cliente ha sufficienti garanzie (“collateral”) o se la loro ristrutturazione viene fatta in modo “NPV neutral” (ovvero se gli interessi non pagati sono comunque recuperati nel corso del tempo). Senza avere maggiori dettagli è impossibile confermare o smentire i numeri che qualsiasi banca mette nel proprio bilancio per queste voci, ma un ammontare così elevato è inusuale. Quello che si può inferire, comunque, è che questi prestiti, in termine di valore presente, non valgono il loro ammontare nominale.

E qui la questione diviene interessante: a seconda di come si vuole valutare questa informazione, il valore dell’equity deve essere aggiustato verso il basso per ulteriori svalutazioni. Facciamo due conti molto generosi: assumiamo che solo un quarto di questi prestiti past due siano realmente “NPL non dichiarati” ed applichiamo un coverage ratio di solo 50%. Ed ecco che Piraeus deve abbassare l’equity di altri €2,5 mld: improvvisamente non sembra più così ben capitalizzata.

In aggiunta, i €2,1 mld di prestiti al settore pubblico greco devono essere aggiunti ai titoli di stato greci presenti tra gli investimenti (a loro volta pari a circa €1,5 mld): all’epoca dell’analisi pochi ci pensavano, ma oggi sappiamo che questa ulteriore esposizione di €3,6 mld rischia di subire un ulteriore haircut. [I rimanenti titoli compresi tra gli investimenti sono obbligazioni della European Financial Stability Facility (EFSF), garantiti dalla UE e che quindi non necessitano di aggiustamenti.]

Come ipotizzato nella prima parte del post, credo che l’ipotesi degli investitori nelle banche greche fosse che le condizioni economiche sarebbero migliorate e che questi prestiti sarebbero stati valutati vicino al loro valore nominale: in questo caso le banche sarebbero effettivamente ben capitalizzate e l’investimento molto redditizio.

Piraeus (e molte altre banche) sono ancora dipendenti dai finanziamenti della BCE
Il punto centrale del funzionamento di ogni azienda (ma soprattutto delle banche) è che la crescita deve essere finanziata in qualche modo.

Guardando al profilo di liquidità di Piraeus quello che balza agli occhi è l’enorme ammontare di prestiti interbancari, che è diminuito dal 45% delle passività nel 2012 al 31% nel 2013 ed al 26% a settembre 2014, ma è sempre enorme per una banca commerciale (per fare un paragone, per le principali banche italiane questo valore varia tra 5% e 15%). Ovviamente la maggior parte di questi finanziamenti sono da parte della BCE: se qualcuno ancora si chiede perché non ci sono stati spettacolari fallimenti di banche greche nonostante la ristrutturazione del debito, la fuga dei depositi e la disoccupazione record, adesso avete la risposta. Come membro dell’Unione Europea, le banche greche (e non solo) hanno avuto accesso alla liquidità della BCE anche su base unsecured (“ELA loans”), con la quale hanno potuto ripagare gli spaventati depositanti e gli obbligazionisti anche se non avevano nessuna forma di garanzia. Se la BCE non avesse allentato i limiti sulle garanzie richieste, le banche greche (e non solo!) sarebbero fallite da tempo.

Dalla tabella con lo stato patrimoniale si evince che degli €8 mld dell’aumento di capitale, circa €6 mld sono andati nel 2013 a ripagare i prestiti della BCE. Questo è logico: ripagare la BCE è la priorità del management di qualsiasi banca, nonché delle autorità domestiche e della BCE stessa. In primo luogo perché, nonostante oggi l’intervento delle banche centrali sia considerato normale, c’è sempre una sorta di stigma nel dover ricorrere all’aiuto della banca centrale. In secondo luogo, perché prima questi debiti sono ripagati, prima la Grecia può liberarsi dell’odiata Troika. Anche lo scorso anno era facilmente prevedibile che ogni profitto realizzato così come liquidità da obbligazioni sarebbe stato usato per ripagare la BCE: almeno altri €6 mld nel 2014. Date queste difficoltà non si vede dove Piraeus possa trovare nuovi fondi per espandere l’attività, anche assumendo che l’economia greca possa riprendersi: ogni nuova infusione di capitale (sia equity che debito) sarebbe avvenuta a costi ben superiori ai tassi “fuori mercato” offerti dalla BCE. L’altra ipotesi è che la banca diventi così redditizia dopo la ristrutturazione da essere in grado da sola di tirarsi fuori dai problemi (a qualcuno vengono in mente le previsioni ottimistiche di MPS?!?).

Earnings power di Piraeus
Dopo aver guardato allo stato patrimoniale, vediamo quanto una banca come Piraeus può guadagnare su base normalizzata, utilizzando i risultati della tabella sottostante.


Il margine di interesse (net interest margin, NIM) è aumentato nel 2013 del 62%, suggerendo un miglioramento nella performance operativa. Guardando alle due componenti, gli interessi attivi (quello che la banca guadagna dai prestiti e dagli altri investimenti) è aumentato del 23%, in linea con l’espansione dell’attivo, mentre gli interessi passivi sono rimasti gli stessi nonostante l’aumento delle passività finanziarie. Come è possibile? La risposta è in un grafico che Piraeus fornisce in tutte le sue presentazioni agli analisti: i tassi pagati sui depositi in Grecia sono in caduta libera, dal 4,5% di due anni fa sono scesi di due terzi fino a 1,8% oggi.

Questo significa che l’aumento delle passività finanziarie è controbilanciato dalla diminuzione del loro costo, portando ad un aumento del NIM. Questa tendenza è continuata anche nei primi 9 mesi del 2014. Ma quello che succederà in futuro è tutto da determinare: considerando l’attuale situazione greca, se ci fossero ulteriori miglioramenti questi sarebbero comunque marginali. Il significativo aumento del NIM è un evento one-off, ulteriori miglioramenti richiederanno l’espansione dell’attivo.

Se prendiamo il margine di intermediazione di €1,7 mld al 2013 rispetto ad una media degli investimenti in quell’anno di €83 mld, il NIM è di 2% (annualizzando i risultati dei primi 9 mesi del 2014 si ottiene circa 2,2%). Questi risultati sono appena superiori alla media delle banche europee (in Italia siamo tra 1,7% e 1,9%): anche se ci si sarebbe aspettato molto meglio da una banca greca, i numeri hanno una loro logica, perché come abbiamo visto una porzione significativa dei prestiti sono a clienti che sono in default o che non stanno al momento pagando.

Se prendiamo questo margine di 2,2% e lo applichiamo agli investimenti attuali (€85 mld a settembre 2014) otteniamo un NIM normalizzato per Piraeus di €1,9 mld. Questo assumendo che non ci siano né un significativo deterioramento né un miglioramento nella qualità degli attivi. Se la banca riuscisse invece a migliorare la qualità dei prestiti (un grosso se, ma alcuni dei prestiti past due potrebbero tornare a pagare), il margine aumenterebbe: è difficile dire di quanto, per essere generosi possiamo ipotizzare fino a 2,5%, che porta ad un NIM normalizzato di €2,125 mld.

Il grosso “elephant in the room” è la famosa negative goodwill di €3,8 mld che deriva dalle acquisizioni degli ultimi due anni. Come detto precedentemente, questa è una voce eccezionale, che infatti è scomparsa nel terzo trimestre 2014 e può essere esclusa dalle proiezioni future.

Le spese operative sono ovviamente aumentate, ed 80% sono relative agli impiegati. Da una presentazione agli investitori la banca stima sinergie di €300 milioni a regime: prendiamole per buone - anche se in Grecia è difficile licenziare come in Italia - e riduciamo le spese normalizzate di questo ammontare.

Le rettifiche sui prestiti (loan loss provisions) sono notoriamente difficili da stimare, poiché dipendono in larga parte dalla ripresa o meno dell’economia greca. In soli 9 mesi nel 2014 sono già aumentate rispetto a tutto il 2013, da €2,4 mld a €3,3 mld, forse anche come conseguenza di quando detto riguardo l’acquisizione delle attività dalle altre banche. Come mostra la tabella sottostante, negli ultimi anni il costo della qualità del credito (rettifiche/prestiti) è stato molto elevato (per le banche italiane negli ultimi, comunque difficili, anni è stato tra 2% e 2,5%).


Senza entrare in analisi troppo complicate, ipotizziamo per Piraeus che nello scenario normale le rettifiche saranno di 2% (significativo miglioramento rispetto ad oggi) e di 1,25% in quello ottimista: per IntesaSanpaolo, non certo la peggiore banca italiana, tale valore è oggi attorno a 1,8%, quindi le assunzioni per Piraeus non sono certo punitive. Al totale odierno dei prestiti (€65 mld) questo si traduce in rettifiche di €1.300 milioni e €825 milioni, rispettivamente.

L’ultima voce è quella delle tasse. Secondo il bilancio 2013, la tassazione sugli utili aziendali in Grecia è aumentata (ah, l’austerity…) con effetto retroattivo al 2012, facendo così salire anche il tax shield dato dalle perdite pregresse. Con €3,7 mld di tasse differite, alla tassazione marginale del 26% in Grecia, questo significa che i primi €14 mld di profitti saranno esenti da tasse.

Con queste ipotesi si arriva ad un ipotetico conto economico come nella tabella seguente (per le voci non discusse ho estrapolate i numeri dagli ultimi bilanci).


La prima cosa che si nota è che nello scenario di base (molto ipotetico, lo ammetto, ma di certo non basato su congetture pessimistiche), senza i proventi eccezionali come la negative goodwill, la banca continua a perdere soldi: nei primi 9 mesi del 2014, complici anche le maggiori svalutazioni la perdita è stata di altri €2,5 mld. La voce più importante è ovviamente quella relativa alle rettifiche: per assumere che Piraeus riesca a generare utili bisogna ipotizzare che la Grecia abbia una eccellente ripresa economica (o che la banca riesca ad ridurre ulteriormente i costi operativi). Anche nello scenario molto ottimista, il ROE sarebbe comunque di solo 7%, mentre il P/E normalizzato è di 12x ed il P/BV (sul book value aggiustato) di 1,1x.

Ancora sulla tesi rialzista
Tornando a quando presentato nella prima parte, secondo la tesi di Einhorn, l’aumento della quotazione di mercato di Piraeus sarebbe stata la conseguenza di tre fattori:

  1. Utili “core” cumulati grazie alla migliore redditività della banca;
  2. Miglioramento nelle rettifiche sui prestiti, grazie ad accantonamenti eccessivi nel passato;
  3. Un re-rating del P/BV fino a 1,5x.
Per quanto riguarda il primo punto, la variabile principale per una banca commerciale è il NIM, quella sulla quale possiamo giudicare la crescita potenziale di lungo termine, perché non è influenzata da voci eccezionali. Il margine non è però determinato solo dalla crescita (nei prestiti, nei tassi applicati, …) ma anche dai costi (cost of funding): come discusso precedentemente, quest’ultimo è stato negli ultimi due anni un elemento chiave per le banche greche. Ma di quanto potrà ancora scendere?!?

Questo lascia la crescita dei prestiti come unico fattore sul quale puntare per migliorare la redditività. La tabella sottostante mostra l’evoluzione dei prestiti di Piraeus nel mercato greco, il suo segmento più importante.


Nonostante la riduzione nei tassi d’interesse, negli ultimi due anni il volume dei prestiti è stato in diminuzione per ogni categoria: non certo una sorpresa, questo è esattamente quello che implica il de-leveraging. La domanda quindi è cosa causa questa diminuzione. Tre possibilità (probabilmente una combinazione delle tre): a) Piraeus non ha sufficiente capitale per fare prestiti ai clienti; b) non ha sufficiente liquidità; c) non trova abbastanza clienti “buoni” che vogliono un prestito.

Per a), come detto il valore di bilancio dell’equity di Piraeus non sembra così solido come appare a prima vista. Per b), migliorare il profilo di liquidità è sicuramente una priorità del management, ed infatti il rapporto tra prestiti e depositi da clienti è sceso da 120% nel 2012 a 102% oggi, così come è una priorità ripagare i prestiti della BCE. Il problema principale, evidente anche in Italia, è però c), ovvero la mancanza di clienti solvibili.

In sintesi: il costo del funding difficilmente scenderà ancora e vi è limitato potenziale di crescita, pertanto è difficile ipotizzare un significativo miglioramento della redditività operativa di Piraeus.  

Il secondo punto, accantonamenti eccessivi nel passato, è basato su una legge greca del 2008 che proibisce il pignoramento da parte delle banche: molti NPL sono soltanto “strategici” e torneranno ad essere prestiti regolari quando la legge scadrà nel 2016. Questo tipo di leggi sono state passate in molti altri paesi (ad esempio in Ungheria ed Ucraina), ma sono fatte per proteggere i creditori retail contro il rischio di perdere la propria casa, non per proteggere i clienti corporate. Secondo questa tabella (sempre dalla presentazione del Q3 della banca), su €28,3 mld di NPL ben €19,9 mld (70%) sono proprio nel settore corporate.


Utilizzando un altro grafico dalla presentazione di Einhorn, sembrerebbe che il livello di riserve per Piraeus sia effettivamente molto elevato: il valore di Total coverage è infatti ben superiore a 100%.

Ma alcuni dati non tornano. Intanto, guardando alla colonna “Loan Loss Provisions (% of NPLs)” il 16% per i mutui sembra molto basso, considerando 5 anni di discesa precipitosa nei prezzi delle case in Grecia. Certo, considerando il livello di garanzia (“collateral”) sembrerebbe non essere un problema, ma è difficile sapere esattamente cosa siano queste garanzie. E soprattutto: se le garanzie sono sufficienti a coprire le perdite attese, perché NPL ratio continua a salire (38% all’ultima trimestrale)? La risposta è che il book value di questi prestiti non riflette il loro valore di mercato: se così fosse, le banche si sarebbero liberate da tempo di questi fardelli, perché così potrebbero liberare capitale e migliorare il profilo di liquidità.

Fortunatamente, abbiamo un’altra indicazione della qualità degli assets delle banche greche: i risultati della Asset Quality Review (AQR) divulgati ad ottobre dalla BCE. Il grafico sottostante, da un’analisi di Berenberg Bank, riassume i risultati paese per paese.


Come sappiamo, l’Italia è il paese che ha avuto bisogno dei maggiori aggiustamenti alle rettifiche sul valore dei prestiti in termini assoluti, ma è la Grecia quella più punita in termini relativi, con Piraeus una delle peggiori. La BCE ha guardato alla qualità dei prestiti in maniera più accorta degli contabili della banca, ed ha concluso che il loro valore è inferiore a quanto indicato.

Non solo: poiché dal 2019 le banche europee saranno soggette ai limiti più stringenti di Basilea III, la BCE ha anche provato ad analizzare la capitalizzazione corrente sotto quei parametri, ed i risultati non sono molto incoraggianti per le banche greche. Alpha Bank (linea 112) avrebbe un Common Equity Ratio Tier 1 di solo 1,3%, mentre Piraeus (linea 116) sarebbe addirittura a -1,5%! [Peggio abbiamo solo le banche irlandesi, MPS (linea 118) e Banca Carige (linea 120)].


Tutte queste banche avranno necessità di enormi influssi di nuovo capitale (equity) e non si vede come potrebbero nei prossimi anni operare in condizioni normali, implicando una probabilità quasi nulla di una crescita organica.

ROE al 15%?
Infine, l’ultimo punto riguarda la possibilità di un’espansione del multiplo P/BV fino a 1,5x (anche qui, tralasciamo il fatto che un value investor non dovrebbe mai basare la propria tesi su quello che Mr. Market sarà disposto a pagare in futuro).

Il multiplo P/BV è una funzione di excess return e delle prospettive di crescita dell’azienda: soltanto per quelle hanno rendimenti del capitale superiori al suo costo dovremmo essere disposti a pagare un premio rispetto al book value. Da un semplice DDM con crescita (Gordon Growth Model), si può infatti derivare che:


dove ROE è return on equity, COE è il cost of equity e g è la crescita attesa: se ROE=COE, il P/BV si riduce a 1. 

Questa formula permette di estrapolare le attese implicite di un investitore. Considerando la situazione greca, un COE di almeno 12% non è certo eccessivo, ed anzi è il minimo che un investitore dovrebbe richiedere. La seconda variabile, g, è ancora più difficile da determinare: riassumendo le varie considerazioni fatte fino ad ora, un valore di 5% per la Grecia e le sue banche è molto generoso.

Mettendo questi valori nella formula, per ottenere un re-rating di P/BV fino a 1,5x dobbiamo assumere un ROE atteso di 15,5% (se abbassiamo COE a 10% otteniamo un ROE atteso di almeno 12,5%; riducendo il valore della crescita, invece, il ROE atteso aumenta: la stessa banca senza crescita tratterebbe ad un multiplo P/BV di circa 1,2x). Per trattare ad un P/BV di 1,5x, Piraeus deve avere un ROE sostenibile di oltre 15% e crescere del 5% all’anno: non esattamente quello che si chiama margine di sicurezza.

Al 30 settembre 2014, il book value di Piraeus era di €7,8 mld: moltiplicando questo valore per un ROE di 15% si ottengono utili netti di €1,2 mld, mentre nei primi 9 mesi dello scorso anno la banca ha perso €1,6 mld (e se il ristorno degli accantonamenti eccessivi si materializzasse, il book value sarebbe ancora superiore e gli utili “impliciti” necessari ben maggiori).

Conclusioni
Ho provato, dalle informazioni disponibili, a fare il reverse engineering della tesi rialzista su un investimento in una delle principali banche greche, ovvero capire dove fosse il valore che molti vedevano.

Personalmente, non ne ho trovato molto: lo stato patrimoniale è ancora molto “fragile”, con NPLs in continua crescita, attivi in diminuzione ed un oggetto misterioso come la negative goodwill che rappresenta un terzo del book value. La mia conclusione – certamente passibile di critiche da parte di analisti più esperti di me sulle banche: forse mi è sfuggito qualcosa nella ricapitalizzazione o qualche asset nascosto che giustifica valutazioni superiori - è che gli utili di Piraeus Bank (e per estensione, anche delle altre banche greche) sono di bassissima qualità, e non vedo validi motivi perché dovrebbe trattare ad un P/BV di 1x (per non dire addirittura 1,5x). E dati gli ostacoli che la Grecia ha davanti (non ultimo la vittoria di Syriza ed un possibile nuovo default), ritengo che anche lo scenario macroeconomico positivo sia ragionevolmente troppo ottimistico.

Infine, le transazioni degli ultimi due anni sono una sorta di red flag che il management dovrebbe spiegare meglio. Jim Chanos di Kynikos Associates, forse il miglior short-seller esistente, ha detto con riferimento alle banche:

"Leverage inherent in some of these companies is incredible. When the accounting gets murky, people tend to shy away from rigorous analysis and rely on management and just take earnings per share at face value. Therein lays the opportunity."

1 commento:

  1. Analisi interessante!
    Non sono un esperto in analisi di banche ma mi hai dato ottimi spunti di riflessione. Grazie
    (ho investito indirettamente in Grecia e Cipro tramite la partecipazione che ho in Senvest Capital)

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