mercoledì 7 settembre 2016

Asset allocation: cosa ci riserva il futuro?

Il grafico sottostante, preso da una presentazione di JP Morgan Asset Management, illustra il range di rendimenti storici che i mercati hanno offerto: dal 1950 le azioni hanno prodotto qualcosa più di 11% annuo; le obbligazioni governative 6%. In termini di rendimenti per i prossimi anni, è poco probabile attendersi questi valori.


Detto in parole semplici: i tassi d’interesse artificialmente bassi hanno spinto artificialmente in alto i prezzi di molti assets, finanziari e non. E prezzi elevati oggi equivale a rendimenti inferiori domani.

Per meglio illustrare la situazione partiamo da una presentazione di Ben Inker di GMO (“Valuation levels, market risks, and asset allocation”: è del 2009 ma i dati sono comunque attuali). Il primo grafico mostra la classica relazione tra rendimento e rischio nell’ipotesi di equilibrio: per ricercare maggiori rendimenti (attesi) si deve assumere maggior rischio (misurato come volatilità) [NB: questo secondo la modern portfolio theory: gli investitori value non sempre concordano con questa affermazione.] 


Il secondo grafico mostra la stessa relazione, questa volta però con i dati effettivi di giugno 2000, quando la bolla Internet stava cominciando a sgonfiarsi. All’epoca le azioni US erano prezzate per avere un rendimento reale negativo (e quelle internazionali pari a zero), ma alcune attività (REIT, azioni paesi emergenti) erano invece a buon mercato nonostante le valutazioni estreme di altri assets. Un portafoglio ben diversificato avrebbe fatto bene nel periodo 2000-2002 nonostante il crollo del 50% delle azioni large cap.

Il terzo grafico mostra la situazione a giugno 2007, prima dello scoppio della grande crisi. Quello che indica è che molti assets erano prezzati per un disastro: praticamente tutti i mercati azionari avevano attese di rendimenti negativi, una situazione differente dal 2000 quando i problemi erano circoscritti al settore tecnologico. La pendenza negativa della regressione indicava che gli investitori stavano pagando per il privilegio di assumere maggior rischio. Liquidità ed obbligazioni erano gli unici investimenti “sicuri”.
Infine, questa è la situazione oggi:
Fonte: GMO Quarterly Letter, Q2 2016.
È vero che la regressione ha di nuovo una pendenza positiva (a differenza del 2007) ma guardate quanto si è spostata in basso rispetto alla linea di equilibrio (quella grigia punteggiata): circa 4%-5% inferiore! E soprattutto non ci sono assets “sicuri” che offrono rendimenti attesi positivi.

McKinsey, in un paper intitolato “Why Investors May Need to Lower Their Sights, ritiene che nei prossimi 20 anni le azioni potrebbero avere un rendimento reale tra 4% e 6,5%, ed è una previsione probabilmente ottimistica. Le conclusioni?

“The forces that have driven exceptional investment returns over the past 30 years are weakening, and even reversing. It may be time for investors to lower their expectations.”
I rendimenti attesi dal mix tradizionale di investimenti (liquidità, obbligazioni ed azioni) non sono mai stati così ridotti come oggi: la storia non è un buon indicatore di cosa potrebbe succedere in futuro, perché raramente i mercati producono i rendimenti medi storici. Ed il mercato non “offrirà” 6%-8% solo perché gli investitori ne hanno bisogno.

Questa è la sfida che dobbiamo affrontare oggi, e ci sono tre possibili risposte:

  1. La maggioranza degli investitori non farà nulla: terranno le dita incrociate sperando che il mercato produca i rendimenti che desiderano. Non possono permettersi di sbagliarsi, ma probabilmente sarà proprio così.
  2. Gli investitori più conservativi faranno i difficili, ma necessari, aggiustamenti per proteggere la propria ricchezza. Il modo più efficace è quello che non piace a nessuno: spendere meno e risparmiare di più.
  3. Invece che stringere la cinghia ed adattarsi a rendimenti inferiori, alcuni cercheranno riparo nella bacchetta magica delle strategie alternative.
Questo approccio all’asset allocation strategica, inizialmente introdotto negli anni 2000 dagli endowment (in particolare quello di Yale guidato da David Swensen) ed oggi proposto anche ai clienti retail, ha come idea di base quella di aumentare sia la diversificazione che i rendimenti attesi investendo in “nuove” asset classes (hedge funds, private equity, risorse naturali, real estate, …). Il problema è che rispetto a 15 anni fa questo modello oggi assume molto più rischio per ottenere lo stesso rendimento: non esattamente la scelta migliore nelle condizioni attuali. 
Fondi alternativi
Questo riporta la discussione alle cosiddette strategie alternative, oggi disponibili anche sotto forma di fondi comuni accessibili a tutti. Come suggerito da GMO (richiede il login, registrazione gratuita), una delle possibilità per proteggersi è quella di investire in short-duration risk assets: tra di questi vi rientrano strategie come merger arbitrage, global macro o managed futures che dovrebbero fare bene indipendentemente dall’andamento delle variabili economiche.


Molto di moda negli ultimi mesi sono i fondi di tipo market-neutral, una variazione sul tema di absolute return (che di absolute hanno solo il nome per il marketing): venduti come la panacea per ogni esigenza, prevedono di far soldi in qualsiasi condizione entrando ed uscendo dai vari mercati. In teoria assolutamente possibile, ma la storia dimostra che la maggioranza degli investitori non ci riesce.

Quello che sorprende di più è che molti di questi fondi considerano una posizione short come un’asset class a se stante. Questo può aver senso per un vero fondo macro, che per sua natura è un trader attivo ed aggiusta il rischio di conseguenza (oltre a non promettere bassa volatilità): se si sbaglia, si esce dalla posizione e si prova con qualcos’altro.

Ma applicate questo ragionamento nel contesto dell’asset allocation (e con i vincoli imposti dalla MIFID), e la questione cambia: il risultato è che si finisce per mantenere la posizione short per mesi se non anni, continuando a giustificarla come un’assicurazione contro il crollo dei mercati. Ed è proprio questa la parte che non capisco: se si ritiene che i mercati siano sopravvalutati, si può semplicemente ridurre l’esposizione spostandosi su liquidità o obbligazioni a breve. Ma se si va short solo perché i rendimenti attesi sono bassi, allora il rendimento atteso da questa posizione è negativo (di poco, ma negativo). Se si ritiene che il rendimento futuro sarà basso (2%? 4%?), perché bloccare un perdita attesa di 2%-4%? Non ha senso.

Quello che dozzine di hedge funds hanno invece dimostrato è che fare trading su titoli azionari ed obbligazionari liquidi, andando sia long che short con l’obiettivo di offrire “un rendimento competitivo in mercati rialzisti e migliore in mercati ribassisti” non è così semplice come sembra. Quindi, attenzione a chi promette rendimenti stabili nel corso del tempo attraverso il vecchio market timing (potete chiamarla tactical asset allocation, se preferite, ma sempre di questo si tratta): è possibile che i rendimenti ex-post saranno effettivamente poco volatili, ma non significa necessariamente che saranno anche sufficienti, o per lo meno quello che vi aspettate (qualcuno prima o poi mi spiegherà come si fa a vendere un fondo con un obiettivo di Euribor + 1% e spacciarlo per innovazione finanziaria…)

5 commenti:

  1. Mi scusi, ma i grafici che mostrano gli Expected Returns a 7 anni, sulla base di quali parametri sono stati sviluppati?
    P/B, P/C, CAPE, ... ?

    Perché altri grafici basati sul CAPE e basta propongono Expected Return (a 10 anni) più alti, almeno per alcuni mercati tra cui MSCI Italy.

    https://www.researchaffiliates.com/en_us/asset-allocation/equities.html

    Dati aggiornati al 31/8/2016.

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    1. Ci sono differenze nelle metodologie usate: se non ricordo male, Research Affiliate usa “yield + crescita attesa” su 10 anni, mentre GMO usa un modello che prevede mean-reversion al trend reale storico (ed è calcolato sui prossimi 7 anni). Per lo stesso motivo GMO usa un’inflazione attesa di 2,2% (media storica).

      Detto questo, ogni metodologia ha in suoi pro e contro.

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    2. Mah, per quanto pure Arnott (researchaffiliates) indichi bassi (per non dire zero) real return per l'indice MSCI US, c'è anche chi la pensa diversamente pure su quello:

      http://aswathdamodaran.blogspot.it/2016/08/superman-and-stocks-it-not-cape-cape-it.html

      Nel articolo seguente, poi lo stesso autore affronta un backtest scaricabile come foglio Excel in cui si prova a comprare/vendere l'indice usando il CAPE, ed il risultato è che non si fa meglio del Buy&Hold

      http://aswathdamodaran.blogspot.it/2016/08/mean-reversion-gravitational-super.html

      E comunque, ammesso che abbiano ragione quelli di GMO e Researchaffiliates, come al solito gli investitori sono irrazionali, quindi è capace che prima che si verifichino bassi real return si crei una bolla con CAPE a livelli molto più alti di ora causati da prezzi azionari che salgono ancora a dismisura, ma chi rimane fuori si mangia le mani.

      Del resto per vedere l'irrazionalità degli investitori basti pensare ai Titotoli di Stato in €. Per quelli l'expected return è facilissimo da calcolare a partire dal prezzo a cui si compra, e, a meno di un default, sarà esattamente quello.
      Chi avrebbe mai comprato una BEI 2037 ad Agosto 2014? Con rendimenti bassissimi.
      Eppure oggi l'expected return della BEI 2037 è in pratica negativo, e da allora è cresciuta di oltre il 40%.
      La borsa USA potrebbe fare altrettanto.

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    3. “Ammesso che abbiano ragione quelli di GMO e Research Affiliates”: il punto è proprio questo, si tratta di previsioni e come tali più o meno attendibili, non certo di garanzie.

      “Per quelli l'expected return è facilissimo da calcolare a partire dal prezzo a cui si compra, e, a meno di un default, sarà esattamente quello”: non esattamente, il rendimento effettivo ex-post tipicamente è più basso proprio per come è calcolato YTM.

      “La borsa USA potrebbe fare altrettanto”, “chi rimane fuori si mangia le mani”: vero. Queste “previsioni” non valgono sempre ed in qualsiasi condizione: non sto prognosticando un crollo (non ne ho idea e soprattutto non mi interessa), ma la storia insegna che in situazioni di prezzi come quelli attuali i mercati in aggregato NON danno buoni rendimenti negli anni seguenti. In aggregato perché come sempre ci sarà qualcosa che farà bene, qualcosa che farà attorno a zero, e qualcosa che farà molto male.

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