mercoledì 18 dicembre 2019

(Ig)nobel Financial Awards 2019

Quarta edizione degli IgNobel Financial Awards, una raccolta delle notizie più “interessanti” degli ultimi 12 mesi modellata sui veri IgNobel Prizes: qui potete trovare i vincitori delle precedenti edizioni nel 2016, 2017 e 2018. Come sempre, i riconoscimenti sono assegnati con lo spirito di “first make people laugh, and then make them think”.

Devo ammettere che quest’anno le nomination sono state numerose: non so se interpretarlo come un segnale positivo o negativo.


Il premio “There is a free lunch!” va a Deutsche Bank, con la seguente motivazione: visto il prezzo attuale (attorno a €7), se comprate UNA azione ed andate al meeting annuale, per pranzo avrete due wurstel che valgono più di quanto avete pagato l’azione.

Il premio “Don’t worry, be happy” va a Infusive® Compouding Global Equities ETF, che recentemente ha presentato il prospetto di quotazione per una nuova strategia (già disponibile sotto forma di fondo UCITS) che si propone di investire 
“in a portfolio of global companies that […] meet the definition of a Consumer Alpha company. […] companies that provide products or services that elicit joy and make the consumer happy, which creates inelastic and consistent demand, and ultimately, provides pricing power and steady profit growth for the companies. The Advisor has observed that this emotionally-driven consumption is driven by consumers’ deep-rooted, immutable human impulses and desires.”
In fondo, niente rende più felici di “global compounding”.

Il premio “That’s what I call alternative investing!” va a The Soul Rider LLC per questo annuncio di lavoro (assolutamente da leggere tutto, anche se potrebbe trattarsi di uno scherzo):

Non mi è ancora chiaro se: 1) hanno un sensitivo e cercano un gestore che faccia investimenti sulla base delle visioni del sensitivo; oppure 2) hanno un hedge fund e cercano un sensitivo che dica loro cosa comprare. 

Il premio “There’s an app for that” va a Bull & Moon, che seleziona “le opportunità di investimento basate sulla vostra compatibilità astrologica con società quotate in borsa: il nostro algoritmo proprietario di astrologia finanziaria raccomanda un portafoglio ottimale di sei titoli e mostra il tuo punteggio di compatibilità con altre migliaia”, perché “la luna, le stelle e i pianeti governano le fortune delle aziende così come quelle delle persone”. Il white paper che descrive la strategia dimostra chiaramente come effettivamente batta il mercato!

[Nota: questa è chiaramente una bufala (voluta), mentre questo invece è realmente disponibile]

In maniera speculare, il premio “There’s NOT an app for that” va invece a Glint, creata per chi vuole risparmiare e spendere in oro. L’obiettivo era di rivoluzionare il sistema finanziario mondiale come le cripto-valute: i clienti potevano caricare i loro portafogli virtuali con credito in varie valute, che veniva usato per comprare lingotti fisici tenuti in un caveau in Svizzera, e pagare poi attraverso l’app collegata al circuito Mastercard. Dico “potevano” perché nonostante avesse concluso transazioni per oltre $50 milioni (secondo la stessa Glint) ed un finanziamento di $5 milioni da Sprott, ha dovuto chiudere dopo pochi mesi per una sciocchezza da nulla come non riuscire a rimborsare un precedente finanziamento.    

Una sezione speciale deve necessariamente essere dedicata alle IPO, visto che molti sembrano aver smesso di credere agli unicorni. Dei sette grandi unicorni che dovevano catalizzare i mercati nel 2019, 4 sono stati un flop [*] (Uber -34%, Lyft -34%, Pinterest -3% e Slack -18%: una quinta, Peloton, dopo aver cominciato perdendo 20% adesso è in territorio positivo), una è implosa in maniera spettacolare (WeWork) mentre le altre due per il momento hanno posticipato la quotazione (Airbnb e Palantir). Nonostante Uber si sia quotata ad un prezzo ben inferiore alla sospirata valutazione di $120 miliardi (oggi vale circa $50 miliardi), ci sono ancora 350 aziende private che possono fregiarsi del titolo di unicorno

[*] Almeno fino ad adesso: anche Facebook arrivò a perdere il 50% dal prezzo di quotazione prima di moltiplicarsi per 5x. Ed il flop è stato per chi ha investito a valutazioni superiori: per i CFO delle aziende quotarsi è stato invece un colpo da maestri.

L’Oscar alla Carriera come protagonista principale del 2019 va sicuramente a Softbank e Masa Son per le numerose perle che ci hanno regalato: non soltanto la saga di WeWork, una debacle che sarà difficile superare per molti anni a venire, ma soprattutto per le eloquenti slides usate a supporto della presentazione dei risultati del terzo trimestre:



Chi si sarebbe aspettato un’analisi così approfondita e soluzioni strategiche così dettagliate da chi gestisce un fondo da $100 miliardi?!? La strategia per WeWork è in realtà molto semplice: far pagare di più di quello che le costa affittare gli immobili. Chi riesce a metterlo su una sola slide vince un lavoro come CIO di Softbank. [Per chi volesse approfondire la “visione” del Vision Fund consiglio questa presentazione del 2010.]

Il premio “Come non fare venture capital” va di nuovo a Softbank per l’investimento in Wag, una start-up per trovare qualcuno che porti a spasso il tuo cane: dopo aver investito lo scorso anno $300 milioni ad una valutazione di $650 milioni, qualche giorno fa Softbank ha ri-venduto la sua partecipazione a Wag stessa (non è stato specificato il prezzo ma sicuramente ad una valutazione molto inferiore a quella iniziale, visto che l’azienda non ha raggiunto gli obiettivi di crescita previsti). Il premio è assegnato perché inizialmente Wag era alla ricerca di soli $75 milioni, ma come nel caso di WeWork Softbank ne ha offerti $300 milioni perché “bisogna pensare in grande”.

Il premio “Most honest assessment” viene assegnato ex-aequo a due vincitori. Il primo è la principale azienda fintech europea, la banca tedesca online N26 (valutata oltre €3 miliardi), che in un’intervista con il Financial Times per commentare l’ultimo round di finanziamenti ha dichiarato che essere redditizia “non è una priorità”:

Con la stessa motivazione, il premio è condiviso con il CFO di Peloton:
Il premio “La prima regola del Club dei Soldi è che non si parla mai di soldi” va a Brex, una start-up che fornisce carte di credito ad altre start-up. I due fondatori (due 23enni che non hanno finito l’università a Stanford) hanno infatti notato che “per un giovane imprenditore è difficile avere credito dalle banche tradizionali”, ma non è certo un problema nella Silicon Valley: se una start-up non è redditizia ma ottiene comunque $100 milioni da venture capital, in qualche modo sarà in grado di restituire il prestito. Poi si scopre che la stessa Brex opera ancora in perdita, e che molti dei suoi clienti sono già falliti, e nonostante questo:
“Unlike credit card providers that tell customers, “You’re running out of business, you didn’t pay us, I’m going to cut you off now,” he said, Brex sees failed entrepreneurs as future customers who may try again with a new idea.”
Vediamo se ho capito bene: Brex alla fine è una società di carte di credito, che intenzionalmente presta a clienti che difficilmente potranno ripagare i prestiti, ma un imprenditore che fallisce ha un enorme valore perché potrebbe ritornare con una nuova idea e prendere a prestito ancora più soldi….

Se non siete ancora stanchi, ecco un altro gioiello: il premio “McKinsey mi spiccia casa” va a Unicorn (si, si è chiamata proprio così!), una start-up che produce(va) scooter elettrici e che ha chiuso bottega dopo aver speso tutti i soldi in pubblicità su Google e Facebook. Non avendo in cassa letteralmente un cent, non potrà nemmeno rimborsare gli anticipi ricevuti sui 350 scooter ordinati e che non verranno mai prodotti.

L’elemento comune a tutte queste aziende è l’idea che si possa fornire un prodotto/servizio ai consumatori ad un prezzo inferiore al costo di produzione alla ricerca di crescita accelerata (e sovvenzionati da venture capital) finché non si arriva al punto nel quale si domina il mercato e si potranno aumentare i prezzi. Questa teoria è oggi definita “MoviePass economy”, dal nome dell’azienda che offriva la possibilità, al costo di $9,95 al mese, di comprare un biglietto al giorno per il cinema (che veniva rimborsato del costo pieno da MoviePass). Poiché il costo medio di un biglietto negli US è di $9 e l’abbonamento permetteva di comprarne fino a 30 al mese, qualcuno si sorprende che MoviePass sia finita in un enorme buco finanziario? È molto più veloce finire i soldi che arrivare a dominare il mercato.

Per concludere, uno sguardo ad alcune raccomandazioni di 12 mesi fa: come sempre, non per la performance in sé e per sé, quanto per sottolineare l’insensatezza di basare le proprie decisioni su previsioni puntuali e precise, soprattutto su un periodo così breve come un anno.

Per quanto riguarda i tassi d’interesse, BlueBay Asset Management era sicura:

In maniera molto simile si esprimeva Deutsche Bank:

Non solo la Fed non ha alzato i tassi 3 volte (li ha invece tagliati due), ma i titoli di stato decennali non si sono nemmeno avvicinati ai picchi previsti e come mostra il grafico hanno passato l’intero anno a livelli inferiori rispetto a dove l’avevano cominciato:
Ancora peggio sarebbe andata a chi avesse seguito il consiglio di Morgan Stanley:
A seconda degli indici e dei veicoli utilizzati, un investitore avrebbe rinunciato ad un guadagno di circa 14% sia per titoli corporate investment grade che per quelli high yield.

Chiudo consigliando la visione dei salaci ed irriverenti Fidouchies: a cura di Muddy Waters, sono una celebrazione del meglio del peggio in termini di cattiva finanza. AVVERTENZA: è molto, molto poco politically correct.

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