Quando nel marzo 2000 iniziò il mercato ribassista le performance relative si invertirono, anche se tutti i mercati azionari portarono a rendimenti assoluti negativi:
- Contrariamente al loro status di investimento difensivo, i mercati US furono sostanzialmente in linea con le altre regioni
- Le azioni value subirono solo metà del declino: alcune attività erano così a buon mercato da produrre rendimenti positivi, mentre le azioni tech erano così costose da subire quasi il doppio del deprezzamento del mercato.
- Le gestioni attive offrirono rendimenti migliori quando la situazione si fece più difficile (in genere succede proprio così, anche se non è una legge di natura).
- Le obbligazioni e gli hedge fund long/short generarono ottimi rendimenti, ma in aggregato l’universo degli hedge funds fu prossimo allo zero.
Visto che è di moda, mi lancio anch’io in 8 previsioni: da bravo imbonitore, però, mi lascio un ampio margine di sicurezza (una decade!) per poter dire tutto ed il suo contrario…
1. I rendimenti dei mercati azionari saranno più contenuti
Gli ultimi 10 anni sono stati un periodo eccellente, con S&P500 che è cresciuto di 11,3% annuo: anche MSCI World, seppur con il fardello dei mercati ex US, ha offerto un rendimento annuo di 8,0%. Il motivo principale è stato il re-rating dei multipli P/E, che si erano contratti proprio nel 2009, più che la crescita degli utili sottostanti.
Per quello che possono servire questi numeri (i mercati finanziari non si resettano il 1 gennaio…), in termini di rendimenti quella passata è stata comunque solo la quarta decade dal secondo dopoguerra (ed è da notare il progressivo minor contributo dei dividendi al rendimento totale):
Se aggiungiamo i trend demografici ad una difficile continua espansione dei multipli, rimane solo la crescita degli utili a sostenere i rendimenti nei prossimi anni: meglio pianificare per risultati più contenuti.
Nel luglio 1999 Buffett dichiarò: “If I had to pick the most probable return over the next 20 years, it would probably be 6%”. Un sondaggio di Gallup del 1999 rivelò che gli investitori americani si aspettavano invece tra 13% e 22% annuo. Il rendimento annuo di S&P500 (con dividendi reinvestiti) tra 1999 e 2019? 6,1%.
2. Come 20 anni fa, alcune delle strategie peggiori dell’ultima decade potrebbero essere le migliori della prossima.
Le azioni value sono abbastanza a buon mercato da poter dare soddisfazioni anche in un mercato ribassista. Molto dipende tuttavia dalla definizione: P/E e P/BV sono troppo riduttivi e semplicistici nelle economie moderne.
Allo stesso modo, mentre la maggior parte delle gestioni attive continuerà a sottoperformare gli indici (i motivi sono quelli noti: commissioni e costi non giustificati per replicare più o meno il benchmark), gli ultimi anni sono stati caratterizzati da alcune condizioni strutturali che hanno influenzano la loro capacità di sovraperformare:
- Le politiche di quantitative easing hanno soppresso la dispersione dei prezzi delle attività;
- Gran parte dei guadagni dei mercati azionari sono stati determinati da pochi titoli e settori;
- I mercati sono stati fortemente rialzisti per la maggior parte del decennio.
3. Tech e venture capital NON dovrebbero tuttavia subire un’altra “lost decade”.
Negli ultimi 10 anni il peso del settore tecnologico è tornato ad essere preponderante non solo in S&P500 ma anche in indici globali come MSCI All Country: in parte per la quotazione di nuove, grandi aziende ed in parte per la performance relativa. Come nel 1999, l’interesse per il comparto è frenetico, con venture capital che lancia fondi sempre più grandi.
Tuttavia alcune caratteristiche sono differenti: il settore è più maturo; molte tecnologie sono più integrate nell’economia globale (non più novità come “Internet”); e soprattutto le valutazioni, per quanto elevate, sono più “ragionevoli”. È molto meno vulnerabile rispetto agli eccessi della bolla dot.com e non dovrebbe subire un nuovo crollo: molte di queste aziende sono altamente redditizie e dominanti.
4. Il mercato più in bolla è il debito dei paesi emergenti, seguito a poca distanza da alcuni segmenti delle obbligazioni corporate.
Il debito di emittenti dei paesi emergenti è oggi 5x quello che era nel 2010, e le obbligazioni emerging corporate sono oggi più grandi di US High Yield (anche se è vero che non tutte hanno un rating sub-investment grade). Gran parte dell’esplosione è stata dovuta alla proliferazione di ETF e fondi passivi: oggi i fondi comuni possiedono circa il 30% di tutto il debito corporate (il resto è principalmente in mano ad assicurazioni e fondi pensione), rispetto a 12% nel 2005. Questo ha portato uno spostamento da fondi dedicati con liquidità a lungo termine a liquidità giornaliera, mentre allo stesso tempo la inventory dei dealers si è ridotta di 90%.
Quando cominceranno i riscatti vedremo chi resterà con il cerino in mano. Molti ancora non capiscono quanto questi titoli possano essere illiquidi: i bonos argentini hanno chiuso a 85 il venerdì e riaperto a 40 il lunedì successivo.
5. Anche se non sono così a buon mercato come alla fine degli anni 1990, le attività reali dovrebbero offrire rendimenti interessanti.
La situazione per le attività reali è oggi diversa dagli anni 1990. All'inizio del 2000 questi assets reali erano generalmente così economici ed il vento così a favore che i rendimenti sono venuti da soli: la più grande bolla immobiliare della storia recente non era ancora sui radar; il petrolio era a $11 al barile; ed il super-ciclo delle materie prime, alimentato dalla crescente domanda cinese, era appena iniziato.
Mentre i loro rendimenti hanno ancora un elemento ciclico, le tendenze secolari tra cui lo spostamento demografico, l'urbanizzazione e il cambiamento del comportamento dei consumatori stanno creando sempre più opportunità di investimento, a maggior ragione se i tassi dovessero rimanere bassi. Il rischio maggiore viene proprio dal loro successo, soprattutto la sensibilità all’inflazione, che ha attratto enormi capitali in alcuni segmenti.
Real estate ed infrastrutture, nonostante alcune valutazioni elevate, rimangono tra i miei temi preferiti.
6. Ci saranno varie eccezioni, ma in aggregato le banche europee continueranno ad essere un investimento mediocre (ad essere gentili), e questo anche se i tassi d’interesse dovessero salire.
Dopo aver combattuto con tassi negativi, NIM in compressione e crescita anemica, oggi molte banche cercato di riproporsi come utilities: i rendimenti sono limitati dalle regolamentazioni sul capitale (che oggi sono tuttavia più soft), ma i business sono molto meno rischiosi di un decennio fa e quindi possono pagare dividendi stabili e crescenti.
Con le nuove regole che hanno frenato la necessità di non distribuire gli utili per accrescere i mezzi propri, non sono poche quelle che oggi promettono un payout di almeno 50%. Per molti investitori alla ricerca di yield, i dividendi delle banche sembrano una proposizione irresistibile: Swedbank, Nordea, ABN Amro, Intesa, Unicredit e Danske Bank hanno tutte dividend yield oltre 8%.
Ma aspettarsi la stabilità di molte utility sarebbe un errore: le banche rimangono una scommessa a leva sull’andamento macroeconomico, e quando (finalmente?) i tassi d’interesse saliranno ed i mercati sgonfieranno le varie bolle create dalla politiche monetarie espansioniste dell’ultima decade, le banche saranno le prime a soffrire. NPL (oggi in molti casi ai minimi degli ultimi 20 anni) aumenteranno ed i profitti (e quindi i dividendi) diminuiranno.
Questo grafico rappresenta in maniera perfetta la differenza con il sistema economico americano.
7. Anche le telecom europee saranno, alle condizioni attuali, investimenti mediocri.Dopo i successi degli anni 1990, gli ultimi 20 anni delle tlc europee sono stati caratterizzati dall’espansione al di fuori dei confini nazionali: forti battaglie tra telefonia fissa e mobile, poi spesso confluite sotto un unico ombrello, per la conquista di nuovi mercati, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Oltre agli US, Vodafone entrò in Kenya, Fiji, Giappone, Sudafrica ed India. Orange (all’epoca France Telecom) si espanse soprattutto nell’Africa francofona. La finlandese Sonera contribuì a lanciare Turkcell, mentre altre tlc scandinave si espansero in Russia ed Europa dell’est e la norvegese Telenor costruì addirittura l’infrastruttura a Myanmar.
Piuttosto che rappresentare nuovi motori di crescita, queste espansioni sono state dei costosi errori, e praticamente tutte hanno cominciato ad uscire dalle nuove frontiere: Telecom Italia ha venduto le attività in Argentina; in maniera simile, Telefonica ha speso $110 mld per la presenza in America Latina (che nel 2012 rappresentava metà del fatturato), ma ha da poco annunciato di voler riconsiderare queste attività; Telia ha pagato oltre $1 mld di multe per corruzione in Kazakhstan e ha venduto tutto (tranne in Moldavia) per reinvestire in Norvegia e Svezia; dopo aver speso $20 mld per stabilire la propria presenza in India, Vodafone ha prima unito le sue attività con la rivale locale Idea Cellular e si rumoreggia che adesso sia intenzionata ad uscirne completamente.
Il dominio nel mercato delle comunicazioni è passato ad un differente tipo di aziende (Google, Apple, Facebook, Netflix, Amazon, …) che hanno usato l’infrastruttura delle tlc per creare veri monopoli globali e dividersi la torta dei profitti. Tutto questo ha lasciato le aziende tlc con enormi debiti proprio quando devono investire per 5G e fibra ottica nei loro mercati domestici.
Non succederà a causa del nazionalismo che ancora predomina in Europa, ma l’unico modo per le tlc europee di aggiungere valore nei prossimi 10 anni non è espandersi a destra e a manca ma di consolidarsi per ridurre capex ed offrire servizi multipli (come Comcast e Verizon in US).
[Per chi fosse interessato a tematiche settoriali per il prossimo decennio ho salvato qui un report di Merrill Lynch: “Transforming World: The 2020s”]
8. Gli hedge funds NON sono sostituti delle obbligazioni
In un periodo di bassi rendimenti “garantiti”, uno dei cambiamenti più significativi nell'asset allocation dell’ultimo decennio è stato il passaggio dalle obbligazioni a strategie absolute returns come principale diversificatore di portafoglio.
Anche se molti vi vogliono vendere queste strategie “liquid alternative” (visto che a causa dei fondi passivi le commissioni per le strategie tradizionali sono in caduta libera) come buone per tutte le stagioni, ci sono una serie di fattori che vale la pena considerare: è opportuno spostarsi da investimenti liquidi (seppur con rendimenti bassi) a qualcosa che è meno liquido, con rischio di credito significativo, leva finanziaria e/o altri rischi più esotici che quasi sicuramente presentano beta simili ai titoli azionari?
Queste sono le mie previsioni per la prossima decade: aggiungete pure le vostre nei commenti, magari con una breve spiegazione della tesi (ma per favore evitate: “compra ABC/petrolio/certificati sull’inflazione in Zimbabwe perché nei prossimi mesi saliranno”).
Se sarò ancora qui nel 2030 vedremo quali sono state corrette…
previsioni molto condivisibili mi permetto di aggiungere qualcuna pure io
RispondiElimina1) nei prossimi 10 anni i tassi d'interesse sui titoli di stato mondiali saranno più alti di quelli odierni a causa di una diminuzione degli allentamenti quantitativi delle banche centrali.
2) sulle obbligazioni tripla b sussistono diversi elefanti nella stanza qui il pensiero di gundlach https://www.bloomberg.com/news/videos/2019-12-11/gundlach-reduces-recession-odds-warns-of-bbb-credit-risk-video
3) le società ad alta qualità e con prodotti ad alto valore aggiunto continueranno a performare bene nonostante scambino a multipli più cari del mercato
4)d'accordo sul tema infrastruttura io metterei anche il tema cura degli anziani come tema cardine dei prossimi 10 anni assieme al settore medico-sanitario
5) ci sarà un ripensamento degli etf e dei prodotti passivi a causa della poco liquidabilità in caso di discese dei mercati
Post interessante come sempre e pieno di spunti.
RispondiEliminaProvo a agganciarmi commentando due punti:
#3 le big tech potrebbero diventare sempre piu importanti appena si affermerà la loro moneta elettronica. La sovranità monetaria potrebbe passare dalle banche centrali/stati alle grandi corporation (cosi come era avvenuto con la creazione della fed).
#6 il bancario italiano nel breve periodo, ed in taluni casi nel lungo (Unicredit), lo vedo come un buon settore, soprattutto a causa dei multipli ai minimi e dopo le cure da cavallo fatte nel 2017/2018. Basterebbero, secondo me, 1 o 2 anni di stabilità geo-politica.
Molto condivisibile il tema della cura degli anziani, postata da filippo, potrebbe essere un buon investimento di M/L. Comincio a studiarmelo.
#3: non credo, a parte FB chi è che sta creando una propria moneta elettronica? In un mondo sempre più sovranista/nazionalista da una parte e “socialista/disuguaglianze” dall’altra (ognuno scelga come vede il futuro prossimo) il controllo dovrebbe spostarsi sempre più verso lo stato ed altre autorità.
Elimina#6: può darsi, io sono più scettico: il settore bancario italiano è altamente inefficiente, le cure recenti sono state un cerotto sugli NPL della decade precedente, non certo una rivoluzione. Come per le tlc, a livello sia europeo che italiano, il “risanamento” dovrebbe passare dal consolidamento, che si porta dietro il solito problema di quale governo accetterà il ridimensionamento ed i licenziamenti (oltre a capire se la BCE sia favorevole a creare nuovi giganti “too big to fail”).
Sul punto #3 vedo FB come first mover. Nel medio termine non credo nel sovranismo e meno nel socialismo. Ritengo invece il XXI come il secolo delle corporation e dei big data, come il XX lo è stato per banche e petrolio.
EliminaSul punto #6 sarà molto interessante vedere se e come andrà in porto il piano 2023 di Unicredit. Completamente d'accordo su consolidamento
Quindi cosa faccio meglio compro Covivio o l'ETF BNP Paribas FTSE EPRA/NAREIT?
RispondiEliminaSe no faccio all in su Banca Ifis? Hahahah! Buon anno!
carissimo Otto, perchè non motivi le tue tesi?
EliminaLa scelta tra Covivo o l'ETF REIT Europeo era solo una cosecutio del punto 5 del suo articolo.
EliminaBanca Ifis invece era solo una battuta.
P.S. sul REIT USA Rob Arnott di RAF ha invece una valutazione non buona come expected returns in $ nei prossimi 10 anni (1.2% in termini reali, 3.4% nominali), usando il modello valuation dependent. Usando invece il modello yield & growth allora il REIT ha un expected 10Y return di 4% reale e 6.2% nominale.
ok, Arnott ne sa sicuramente più di me.
EliminaMa bisognerebbe sapere bene cosa include l'indice US REIT per trarre delle conclusioni utili: quanto commerciale, quanti uffici, residenziale, ...
Inoltre a me non piacciono le strutture REIT (Real Estate Investment Trust), che sono tipiche di US ed altri paesi, ed indicate per chi vuole corposi dividendi. Io preferisco i REOC (Real Estate Operating Companies).
Le top 5 holding del "FTSE NAREIT All Equity REIT index" da cui Arnott ha estratto la sua valutazione di cui nel commento precedente ho indicato gli expected 10 years returns sono:
EliminaAmerican Tower Corp (Infrastructure REIT) 8.34%
Crown Castle Intl Corp (Infrastructure REIT) 4.87%
Prologis (Industrial) 4.62%
Equinix Inc (Data Centers) 4.10%
Simon Property Group (Regional Malls) 3.78%
Totale 25% dell'indice
Residenziale: 11%
Uffici: 8%
Retail: 4%
ecc.
Factsheet dell'indice qui con tutti i dati
Qui trova lo screenshot con la valutazioni real expected returns in $ di Arnott usando il modello valuation dependent
Ok, velocemente:
Elimina1. Real estate non è solo US, ci sono altre regioni dove le valutazioni sono migliori
2. La struttura REIT è scelta principalmente per i benefici fiscali: ha sicuramente dei vantaggi ma anche dei deficit
3. AMT e Equinox sono “infrastrutture”, sono in quell’indice solo perché hanno scelto di essere REIT (vedi sopra)