martedì 3 settembre 2013

L’investitore perfetto (o quasi)



Come già trattato nel post precedente, uno degli argomenti più controversi in finanza è quello dell’efficienza dei mercati, ed è chiaro anche dall’intestazione di questo blog che la mia idea è che non lo siano affatto (o per lo meno non sempre: come giustamente ha affermato Warren Buffet: “Observing that markets were 90% efficient, they concluded that markets were always efficient. The difference between the two propositions is the same as between night and day.”).

Nonostante i moltissimi eventi degli ultimi 30 anni che la contraddicono, la nozione di mercati sempre perfettamente efficienti è dura a morire, e la riprova a supporto di questa tesi non può essere che la maggioranza delle gestioni attive non riesce a battere il benchmark di riferimento. Vi sono infatti vari studi che evidenziano le caratteristiche tipiche dei migliori gestori, quei tratti psicologici e comportamentali che definiscono la loro filosofia d’investimento. In molti casi si tratta di investitori di tipo value, ma non è necessariamente sempre così. 

#1: Portafogli concentrati 
Una prima caratteristica comune ai migliori gestori è che, in maniera contraria a quando predicato dalle teorie classiche, preferiscono avere portafogli concentrati: il concetto di tracking error non ha per loro nessun significato.

Anche se vi sono numerosi eccellenti gestori che elogiano i benefici della diversificazione su molteplici posizioni (Walter Schloss tra tutti), l’analisi di alcuni famosi fondi di tipo bottom-up mostra portafogli contenenti tra 20 e 40 titoli, decisamente in contrasto con il tipico fondo comune azionario che investe in media in 150 aziende! Non solo: non di rado le prime 10 posizioni per questi gestori rappresentano il 40%-50% del portafoglio, mentre raramente le prime 10 posizioni comprendono più del 10% in un tipico fondo comune.

Questi risultati riflettono la loro filosofia sotto due aspetti. Il primo è che questi gestori hanno bisogno di un motivo per investire in un’azienda: la loro scelta di default è non far niente (non cercare di non rimaner indietro rispetto al benchmark!), quindi prima di investire in qualcosa devono essere fermamente convinti dei meriti di questa decisione.

To suppose that safety-first consists in having a small gamble in a large number of different companies where I have no information to reach a good judgement, as compared with a substantial stake in a company where one’s information is adequate, strikes me as a travesty of investment policy. (John Maynard Keynes).”
Il secondo aspetto è che la maggioranza dei fondi comuni sembrano essere gestiti dal dipartimento di risk management o da quello marketing, più che dai portfolio manager: tutto quello che viene chiesto ai gestori è di investire in quello che è di moda in quel momento o di modificare l’allocazione a seconda se si è sopra o sotto il budget di rischio imposto dalle politiche dei comitati investimenti. Il risultato è che il gestore medio (e, purtroppo, mediocre) è più preoccupato del tracking error e di quello che fa il suo benchmark invece che di ricercare le migliori opportunità per i suoi clienti: la loro opzione di default è fare qualcosa, e hanno bisogno di un buon motivo per non investire in un’azione. La responsabilità fiduciaria verso i clienti è relegata in seconda fila…

“Diversification is an admission of not knowing what to do, and an effort to strike an average (Gerald Loeb)”.

Deve comunque essere notato che avere portafogli concentrate non è, di per se, una scelta deliberata di questi gestori (né tantomeno una garanzia di successo), quanto piuttosto una conseguenza del loro approccio disciplinato: al mondo non esistono poi tutte queste opportunità di investimento, quindi perché comprare la trentesima migliore idea quanto si può continuare ad investire nelle migliori dieci?

“Our investment style has been given a name - focus investing - which implies ten holdings, not one hundred or four hundred. The idea that it is hard to find good investments, so concentrate in a few, seems to me to be an obvious idea. But 98% of the investment world does not think this way. It’s been good for us. (Charlie Munger)”

#2: Ignorano i rumori di fondo  
Questi investitori sono consci del fatto del fatto che non devono sapere tutto di tutti, e che devono focalizzarsi su poche, importanti informazioni, evitando di essere distratti dai rumori di fondo (ovvero tutte quelle informazioni esterne e casuali che sono completamente inutili al processo di investimento, le chiacchiere e le opinioni di supposti esperti finanziari, analisti e manager).

Come ricorda Martin Whitman di Third Avenue, questi gestori non hanno accesso ad informazioni confidenziali o riservate: quello che fanno, piuttosto, è utilizzare le informazioni pubbliche in maniera migliore. Non perdono tempo a prevedere gli utili o il fatturato del prossimo trimestre, l’andamento del prezzo del petrolio o quando i tassi d’interesse cominceranno a salire; cercano piuttosto di capire nel dettaglio il business sottostante, la sua valutazione ed i rischi associati. 

#3: Sono disposti a mantenere una significativa parte del portafoglio in liquidità 
Anche questo è un corollario della disciplina del loro processo di investimento: la liquidità è infatti una conseguenza della mancanza di opportunità quando i prezzi ed i rischi non giustificano un investimento. Valgono infatti le identità:

Portafoglio = Opportunità di investimento + Liquidità

==> Liquidità = Portafoglio - Opportunità di investimento

Se non trovano qualcosa che tratta a prezzi ragionevoli, questi investitori sono disposti ad aspettare finché non si presentano opportunità migliori, anche se questo costa in termini di performance rispetto agli indici di mercato.

“Avere molta liquidità è scomodo e faticoso, ma non così problematico come fare qualcosa di stupido. (Warren Buffett)”
#4: Hanno un lungo orizzonte temporale 
Un’analisi compiuta da James Montier sui portafogli di alcuni famosi investitori [“The perfect value investor”, DrKW Macro Research, 8 giugno 2006] dimostra come tutti hanno un lungo orizzonte temporale: nello specifico campione analizzato il periodo medio di possesso di un’azione era di 5 anni (la media dei fondi comuni è inferiore ad uno!), con un massimo di 17 anni ed un minimo di 3 anni. Il turnover annuo di questi portafogli è inferiore al 20%, e di conseguenza i costi per i clienti sono molto contenuti.

#5: Sanno accettare gli anni negativi 
Questi gestori sanno accettare il fatto che investire è una maratona, non uno sprint, e che anni negativi non solo sono la regola nei mercati azionari, ma soprattutto che prima o poi capitano a tutti, anche ai migliori.

Il value investing non funziona in ogni singolo anno: tutti i fondi hanno periodi - anche lunghi - di performance inferiori al mercato. Uno studio di Tweedy Browne mostra come per gestori con risultati di lungo periodo eccellenti non è infrequente sottoperformare per 40% del tempo, ed alcuni lo hanno fatto anche per 7 anni su 10 (le performance assolute negative sono comunque rare). 

Tutti questi fondi hanno avuto periodi di sottoperformance (ricordate comunque che assegnano poca importanza alla composizione del benchmark come da punto #1), e molti di loro persero enormi masse in gestione nel corso della bolla Internet perché erano rimasti indietro rispetto al mercato che era dominato dall’euforia e dall’ottimismo. Nonostante questo rimasero fedeli alla loro disciplina di comprare solo quello che aveva senso. Come ha giustamente rimarcato Jean-Marie Eveillard di First Eagle Funds: “I would rather lose half my shareholders than lose half my shareholders’ money”.

3 commenti:

  1. Da italiani ci troviamo ad operare in un mercato domestico molto povero di società ed in un mercato non proprio amichevole per gli azionisti di minoranza. Questo è uno svantaggio.
    Il vantaggio di operare in questa epoca è però che chiunque può facilmente accedere a mercati esteri; e qui nascono alcune domande. Quali mercati frequentare?
    Personalmente amo il mercato americano sia per l'ampiezza sia per la presenza di aziende multinazionali (e non) con una corporate governance molto più affidabile.
    Il recente storno dei mercati emergenti ha però a mio avviso creato opportunità interessanti in questi paesi.
    In questi mercati però si aprono problemi di trasparenza (per esempio sono all'ordine del giorno casi di frode tra aziende cinesi, anche di discrete dimensioni; ma anche le società degli altri paesi BRIC non sono ancora il massimo dell'affidabilità).
    Sarei curioso di sapere la sua opinione relativamente all'affidabilità delle società multinazionali di grandissime dimensioni basate in questi paesi. Secondo lei "ci si può fidare"?

    Chiedo ciò perché ritengo interessante Petrobras ma questi dubbi ed il fatto che non ami particolarmente i settori ciclici..... mi stanno facendo desistere.

    p.s.
    Lei quali paesi preferisce?


    cordiali saluti

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  2. Claudio, chiedo scusa, credevo di aver risposto ma non vedo più il mio messaggio.

    Per quanto riguardi i mercati emergenti, pur essendone un fan, non consiglierei ad un investitore retail di accedervi direttamente, sia per i costi (non so quanti broker/banche italiane danno accesso diretto a questi mercati), sia perché bisogna essere sicuri di cosa si compra. La corporate governance è fondamentale, così come capire i loro bilanci: in Sudafrica è molto facile e lineare perché di derivazione anglosassone, in Brasile ed India è quasi impossibile - almeno per me - fare paragoni affidabili con aziende di altri paesi dato il livello di informazioni che rendono disponibile ed i principi contabili seguiti.

    Per quanto riguarda i paesi, essendo principalmente uno stock picker su small caps, i paesi in cui al momento trovo le opportunità migliori sono Francia ed Olanda, ed in maniera minore Germania. Ma si tratta di quello che è disponibile oggi, non di una preferenza specifica per questi paesi: domani potrebbe essere la Spagna o il Portogallo (già successo nel 2012), oppure la Finlandia – difficilmente l’Italia.

    A presto

    PS: non cha la mia opinione abbia un gran peso, ma per me Petrobras è più una value trap che un buon investimento

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  3. grazie mille per la gentile risposta! :)

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