Ci sono molti errori che si possono fare negli
investimenti. Imparare da questi è uno degli esercizi più importanti,
soprattutto per chi fa stock picking.
Il processo di investimento normalmente segue queste
fasi:
- Screening delle opportunità disponibili ed analisi preliminare
- Analisi dettagliata dell’azienda (business, rendimenti, management, valutazione, …)
- Decisione: comprare / aspettare / non mi interessa
- Se si compra, prima o poi si comincerà a pensare a quando vendere
Come si può intuire, ad ogni passaggio vi è la
possibilità di fare un errore, ma la maggior parte delle riflessioni post-investimento si concentrano su quelli che potremmo
chiamare errori di primo livello:
comprare qualcosa che poi ha una performance negativa. Questo è un errore
facile da identificare, perché ci salta agli occhi ogni volta che controlliamo l’andamento
del nostro portafoglio (personalmente potrei citarne alcuni negli ultimi anni:
Trinity Mirror, Intermediate Capital Group, KPN, …). La maggior parte degli
sforzi delle società di gestione (e di alcuni investitori privati) è dedicata a
scoprire come mai sono stati commessi questi errori.
Molto meno tempo è invece dedicato ad analizzare
gli errori di secondo livello:
vendere un’azione in portafoglio che poi ha un performance positiva. Qui la
questione si complica, perché esiste molta più letteratura su “quando comprare” rispetto a “quando vendere”, ma soprattutto perché
ogni investitore ha le proprie preferenze riguardo guadagni/perdite realizzate
e sul perché sia il caso di chiudere una posizione. Quando questa era stata
aperta (cioè quando si era comprata l’azione) era stata probabilmente fatta una
dettagliata analisi, quindi è ragionevole continuare a seguire l’azienda anche
dopo che si è venduto: non solo perché si potrebbe decidere di rientrare,
ma perché aiuta a capire se sistematicamente si vende troppo presto.
Infine, vi è una terza categoria, quelli che
potremmo chiamare gli errori di terzo
livello: analizzare un’azione ma poi decidere di non comprarla per una
qualsiasi ragione. Anche in questo caso, per esperienza personale potrei
citare SOL, come descritto nelle conclusioni di questo post,
oltre ad Astaldi, dove il giudizio è stato invece negativo ma la performance –
per lo meno fino ad oggi – positiva.
Mentre questo è un errore meno costoso
dei precedenti (la performance del portafoglio è determinata da quello che
possediamo, non da quello che non abbiamo e che va su), rivedere e seguire
queste situazioni ha un’importante aspetto: di nuovo, permette di identificare
se ci sono dei bias di tipo comportamentale nel proprio processo.
Tutto quello che ci permette di migliorare la
selezione degli investimenti è un guadagno ben superiore al loro rendimento. Questa
è una lista di cose che ho imparato riconsiderando i miei errori passati.
L’importanza del management.
È impossibile,
come investitore di minoranza, ottenere dei rendimenti sufficienti se il
management non ha riguardo per tutti gli azionisti (o peggio ancora se ne
approfitta, ad esempio facendosi pagare eccessivamente o avendo transazioni con
parti correlate). Non credo che nessuno aprirebbe mai un bar con un socio che
si mette i soldi in tasca invece che in cassa. Questa sembra un’affermazione
ovvia, ma molti (troppi?) investitori non vi fanno attenzione.
Non fidatevi di quello che
leggete, verificate i dati. Il management delle aziende, gli analisti, i giornalisti, i
blog (compreso questo), le newsletter, … riportano quello che interessa loro,
quello che vende di più o comunque sempre la loro interpretazione degli eventi.
Non è detto che questo sia corretto.
Non copiate gli altri, ma
fate i compiti a casa.
Leggendo i report e le valutazioni degli analisti (di nuovo, compresi quelli su
questo blog…) sembra che le società consigliate non abbiano mai problemi:
- Ci sono sempre delle barriere per i competitors ed i prodotti dell'azienda sono i migliori in assoluto
- Se recentemente le cose sono andate male, il nuovo CEO farà sicuramente meglio di quello appena licenziato
- Il prezzo è destinato a salire perché il management sarà molto più attento verso gli investitori (roadshows, quotazione su altri mercati, …). Se invece accade il contrario, il management è elogiato perché si astiene da farsi auto-promozione.
- Molti analisti e blogger raramente capiscono il settore che stanno analizzando (evidenziato da alcune metriche assurde utilizzate nelle valutazioni), ed ancora meno capiscono il concetto di valore.
Il futuro, soprattutto in
alcuni settori, è difficile (se non impossibile) da prevedere. Molte delle previsioni
fatte da Bill Gates nel suo libro del 1995, “The road ahead”, si sono rivelate completamente errate. Se qualcuno
molto più intelligente di me e con più esperienza può sbagliare in maniera così
macroscopica, quali probabilità ho io di identificare i futuri vincitori o
anche solo come saranno tra 10 anni? Gran parte delle aziende tecnologiche
ricadono esattamente nella categoria “too hard to predict”, anche se siete
in grado di comprendere la tecnologia.
Molte teorie
non possono essere dimostrate. Gli investitori (me incluso) hanno spesso delle
teorie macroeconomiche su come dovrebbero funzionare i mercati. Molte di queste
teorie sono sbagliate, mentre altre sembrano avere un senso ma sono difficili
da verificare. Un esempio è quella del super-ciclo
delle commodities: poiché siamo
nel bel mezzo di un super-ciclo, anche se ci sono temporanei declini nel loro
prezzo, le commodities sono un
eccellente investimento di lungo periodo. Forse l’ipotesi è corretta, il
problema è che non c’è modo né di verificarla né di smentirla. La teoria è
piuttosto vaga: quanto è lungo un super-ciclo? Nel passato non ci sono stati molte
situazioni simili, e la teoria attuale potrebbe essere il frutto di data
mining: scavando a fondo in una marea di dati casuali si può sempre
trovare uno schema o una correlazione, ma non è detto che abbiano un senso in termini
economici.
L’importanza di “un business eccellente ad un prezzo
ragionevole”. Nonostante
Warren Buffett sia probabilmente l’investitore più famoso, conosciuto e copiato
al mondo, la sua idea più semplice è anche la più sottovalutata: non c’è niente di meglio che investire in
un business di qualità e lasciare che sia questo a creare valore nel corso del
tempo.
Benjamin
Graham è il padre del value investing
e ha introdotto la filosofia di richiedere sempre un margine di sicurezza per qualsiasi investimento. L’evoluzione di
questa idea da parte di Warren Buffett è stato di comprare qualcosa di
eccellente senza pagare troppo (non è forse questa il significato dell’espressione
“fare un affare” comunemente usata da
tutti?). E tuttavia, molti investitori ancora non capiscono questo semplice
concetto: magari comprano business di buona qualità, ma con l’idea di realizzare
un profitto in un breve periodo.
Questa
idea, a differenza del punto precedente, ha anche un maggiore supporto
empirico: nel
corso della storia ci sono stati molti business eccellenti, quindi abbiamo
molti dati che confermano il modello. È molto improbabile che la correlazione
positiva tra qualità e rendimenti maggiori sia un artefatto del data mining.
La
teoria si può quantificare: le aziende di qualità sono quelle che hanno un
rendimento (unleveraged) del capitale
investito superiore (anche se il moat,
le barriere, sono più difficili da quantificare).
Anche
la matematica è dalla sua parte: l’effetto dell’interesse composto dei
rendimenti del capitale è una spinta favorevole difficile da battere, molto più
semplice e redditizio di market timing,
asset allocation dinamica, medie
mobili, VaR, …
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