martedì 12 novembre 2013

Tipologie di errore negli investimenti


Ci sono molti errori che si possono fare negli investimenti. Imparare da questi è uno degli esercizi più importanti, soprattutto per chi fa stock picking.
 
Il processo di investimento normalmente segue queste fasi:
  1. Screening delle opportunità disponibili ed analisi preliminare
  2. Analisi dettagliata dell’azienda (business, rendimenti, management, valutazione, …)
  3. Decisione: comprare / aspettare / non mi interessa 
  4. Se si compra, prima o poi si comincerà a pensare a quando vendere
Come si può intuire, ad ogni passaggio vi è la possibilità di fare un errore, ma la maggior parte delle riflessioni post-investimento si concentrano su quelli che potremmo chiamare errori di primo livello: comprare qualcosa che poi ha una performance negativa. Questo è un errore facile da identificare, perché ci salta agli occhi ogni volta che controlliamo l’andamento del nostro portafoglio (personalmente potrei citarne alcuni negli ultimi anni: Trinity Mirror, Intermediate Capital Group, KPN, …). La maggior parte degli sforzi delle società di gestione (e di alcuni investitori privati) è dedicata a scoprire come mai sono stati commessi questi errori.

Molto meno tempo è invece dedicato ad analizzare gli errori di secondo livello: vendere un’azione in portafoglio che poi ha un performance positiva. Qui la questione si complica, perché esiste molta più letteratura su “quando comprare” rispetto a “quando vendere”, ma soprattutto perché ogni investitore ha le proprie preferenze riguardo guadagni/perdite realizzate e sul perché sia il caso di chiudere una posizione. Quando questa era stata aperta (cioè quando si era comprata l’azione) era stata probabilmente fatta una dettagliata analisi, quindi è ragionevole continuare a seguire l’azienda anche dopo che si è venduto: non solo perché si potrebbe decidere di rientrare, ma perché aiuta a capire se sistematicamente si vende troppo presto.

Infine, vi è una terza categoria, quelli che potremmo chiamare gli errori di terzo livello: analizzare un’azione ma poi decidere di non comprarla per una qualsiasi ragione. Anche in questo caso, per esperienza personale potrei citare SOL, come descritto nelle conclusioni di questo post, oltre ad Astaldi, dove il giudizio è stato invece negativo ma la performance – per lo meno fino ad oggi – positiva. Mentre questo è un errore meno costoso dei precedenti (la performance del portafoglio è determinata da quello che possediamo, non da quello che non abbiamo e che va su), rivedere e seguire queste situazioni ha un’importante aspetto: di nuovo, permette di identificare se ci sono dei bias di tipo comportamentale nel proprio processo.

Tutto quello che ci permette di migliorare la selezione degli investimenti è un guadagno ben superiore al loro rendimento. Questa è una lista di cose che ho imparato riconsiderando i miei errori passati. 

L’importanza del management. È impossibile, come investitore di minoranza, ottenere dei rendimenti sufficienti se il management non ha riguardo per tutti gli azionisti (o peggio ancora se ne approfitta, ad esempio facendosi pagare eccessivamente o avendo transazioni con parti correlate). Non credo che nessuno aprirebbe mai un bar con un socio che si mette i soldi in tasca invece che in cassa. Questa sembra un’affermazione ovvia, ma molti (troppi?) investitori non vi fanno attenzione. 

Non fidatevi di quello che leggete, verificate i dati. Il management delle aziende, gli analisti, i giornalisti, i blog (compreso questo), le newsletter, … riportano quello che interessa loro, quello che vende di più o comunque sempre la loro interpretazione degli eventi. Non è detto che questo sia corretto. 

Non copiate gli altri, ma fate i compiti a casa. Leggendo i report e le valutazioni degli analisti (di nuovo, compresi quelli su questo blog…) sembra che le società consigliate non abbiano mai problemi:
  • Ci sono sempre delle barriere per i competitors ed i prodotti dell'azienda sono i migliori in assoluto 
  • Se recentemente le cose sono andate male, il nuovo CEO farà sicuramente meglio di quello appena licenziato
  • Il prezzo è destinato a salire perché il management sarà molto più attento verso gli investitori (roadshows, quotazione su altri mercati, …). Se invece accade il contrario, il management è elogiato perché si astiene da farsi auto-promozione. 
  • Molti analisti e blogger raramente capiscono il settore che stanno analizzando (evidenziato da alcune metriche assurde utilizzate nelle valutazioni), ed ancora meno capiscono il concetto di valore.

Il futuro, soprattutto in alcuni settori, è difficile (se non impossibile) da prevedere. Molte delle previsioni fatte da Bill Gates nel suo libro del 1995, “The road ahead”, si sono rivelate completamente errate. Se qualcuno molto più intelligente di me e con più esperienza può sbagliare in maniera così macroscopica, quali probabilità ho io di identificare i futuri vincitori o anche solo come saranno tra 10 anni? Gran parte delle aziende tecnologiche ricadono esattamente nella categoria “too hard to predict”, anche se siete in grado di comprendere la tecnologia. 

Molte teorie non possono essere dimostrate. Gli investitori (me incluso) hanno spesso delle teorie macroeconomiche su come dovrebbero funzionare i mercati. Molte di queste teorie sono sbagliate, mentre altre sembrano avere un senso ma sono difficili da verificare. Un esempio è quella del super-ciclo delle commodities: poiché siamo nel bel mezzo di un super-ciclo, anche se ci sono temporanei declini nel loro prezzo, le commodities sono un eccellente investimento di lungo periodo. Forse l’ipotesi è corretta, il problema è che non c’è modo né di verificarla né di smentirla. La teoria è piuttosto vaga: quanto è lungo un super-ciclo? Nel passato non ci sono stati molte situazioni simili, e la teoria attuale potrebbe essere il frutto di data mining: scavando a fondo in una marea di dati casuali si può sempre trovare uno schema o una correlazione, ma non è detto che abbiano un senso in termini economici. 

L’importanza di “un business eccellente ad un prezzo ragionevole”. Nonostante Warren Buffett sia probabilmente l’investitore più famoso, conosciuto e copiato al mondo, la sua idea più semplice è anche la più sottovalutata: non c’è niente di meglio che investire in un business di qualità e lasciare che sia questo a creare valore nel corso del tempo.

Benjamin Graham è il padre del value investing e ha introdotto la filosofia di richiedere sempre un margine di sicurezza per qualsiasi investimento. L’evoluzione di questa idea da parte di Warren Buffett è stato di comprare qualcosa di eccellente senza pagare troppo (non è forse questa il significato dell’espressione “fare un affare” comunemente usata da tutti?). E tuttavia, molti investitori ancora non capiscono questo semplice concetto: magari comprano business di buona qualità, ma con l’idea di realizzare un profitto in un breve periodo.
Questa idea, a differenza del punto precedente, ha anche un maggiore supporto empirico: nel corso della storia ci sono stati molti business eccellenti, quindi abbiamo molti dati che confermano il modello. È molto improbabile che la correlazione positiva tra qualità e rendimenti maggiori sia un artefatto del data mining.

La teoria si può quantificare: le aziende di qualità sono quelle che hanno un rendimento (unleveraged) del capitale investito superiore (anche se il moat, le barriere, sono più difficili da quantificare).

Anche la matematica è dalla sua parte: l’effetto dell’interesse composto dei rendimenti del capitale è una spinta favorevole difficile da battere, molto più semplice e redditizio di market timing, asset allocation dinamica, medie mobili, VaR, …


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