Il termine holding
company è spesso associato a strutture differenti: per gli scopi di questo
post, una holding company (e per
estensione investment company) sarà
definita come una società che possiede partecipazioni in altre aziende,
separate e distinte, quotate o non quotate, ed altri investimenti.
Ci sono molti esempi di holding companies quotate e spesso presentano interessanti
opportunità di investire in attività sottovalutate: vi è infatti spesso molta
confusione su come queste società vadano valutate a causa della struttura
azionaria, e non di rado trattano a
sconto rispetto al NAV (Net Asset Value), ovvero al valore
di tutte le partecipazioni ed investimenti – comunque stimato – meno le
passività. (Considerazioni simili valgono anche per investment trust e fondi chiusi, già trattati in passato, come ad
esempio British Empire).
A causa della loro complessità organizzativa, analizzare
una holding company richiede di
focalizzare l’attenzione su come il capitale viene allocato, piuttosto che
sulla performance operativa (ROE, ROIC, margini, …), spesso distorta dai
principi contabili: una holding ben
gestita tende infatti a creare valore dalla qualità dei suoi investimenti, non dalla crescita del fatturato o degli
utili che produce. Le investment
companies che trovo più interessanti hanno spesso utili molto variabili di
anno in anno, e sono pertanto difficili da valutare utilizzando le tradizionali
tecniche come multipli e DCF.
Nonostante questo, è invece abitudine degli analisti del sell-side focalizzarsi quasi
esclusivamente sullo sconto rispetto al NAV, tanto da applicarne direttamente
uno – tipicamente tra il 20% e 30% - per determinare il fair value della società. Ad esempio, qui sotto viene mostrata la
valutazione di Exor (la holding della
famiglia Agnelli) fatta da UBS: il
NAV/azione stimato è di €34,9 ma viene poi scontato del 30% per arrivare ad un
prezzo-obiettivo di €24,4 (?!?).
Per essere precisi, esistono vari motivi per il quale una
società (sia essa un’assicurazione, una banca, un fondo chiuso o una holding company) può giustamente
trattare a sconto rispetto al NAV. Ad esempio, una banca con un ROE del 5% ma
un cost of equity del 10% tratterà sempre a sconto rispetto al book value. [NB: il book value è in alcuni casi una buona approssimazione del NAV, ma i
due valori non sono la stessa cosa.]
Il problema nasce quando le decisioni di investimento
sono prese unicamente sulla base dello sconto (vero o presunto) rispetto al
NAV: ad esempio, determinando che la società A, con uno sconto del 25%, è più
economica della società B che ha uno sconto di solo 10%. Oppure che la
società C è un buon investimento perché il suo sconto sul NAV è oggi del 30%
mentre storicamente è stato in media del 20%.
Determinare la bontà di un investimento non è un semplice
esercizio meccanico che consiste nello stimare lo sconto aritmetico dal NAV e decidere
che è sufficiente per l’acquisto. La scelta dovrebbe essere piuttosto
fatta sulla base di una valutazione conservativa delle attività
sottostanti. Per dare un esempio molto semplificato, supponete che esista una holding nel settore tecnologico che
trattava ad uno sconto sul NAV del 30% sia nel 1999 che nel 2002. Nei giorni
pre-bolla Internet le attività sottostanti avevano in media un P/E di 50x,
mentre nel 2002, dopo lo scoppio della bolla, le stesse attività avevano un P/E
medio di solo 10x. È chiaro che uno sconto del 30% nel primo caso non è lo
stesso che nel secondo.
Dal
punto di vista degli investimenti, si possono identificare tre tipi di holding/investment companies.
1. Quelle che aggiungono valore. Si tratta di casi rari (Berkshire Hathaway e Leucadia sono i primi
due nomi che balzano alla mente): la struttura aziendale aggiunge valore grazie
alle superiori capacità di allocare il capitale da parte del management. In
questi situazioni tipicamente non si applica nessuno sconto al NAV, ma occorre
comunque fare attenzione a non pagare un premio troppo elevato.
2. Quelle che sono neutre sul valore. Si tratta di strutture che esistono per un valido motivo (in genere per
mantenere il controllo o per ridurre la tassazione), ma che sono trasparenti
e non fanno niente di stupido, passando direttamente i guadagni dagli
investimenti agli azionisti. Un tipico esempio è quello di Groupe Bruxelles Lambert (GBLB:BB), la holding del miliardario
belga Albert Frère (sulla quale a monte c’è un’altra holding, Pargesa). GBLB riporta in maniera molto diretta gli investimenti fatti,
distribuisce la maggior parte dei dividendi ricevuti e pubblica una stima del NAV su basesettimanale.
Nonostante questo, le azioni trattano quasi sempre ad uno sconto rispetto al
NAV, come mostra il grafico sottostante.
Al
momento, lo sconto è attorno a 30% e si possono ipotizzare tre motivi: 1) le
azioni sono molto meno liquide degli investimenti sottostanti, quasi tutti
quotati; 2) gli investitori non si fidano pienamente del management, anche se
fino ad oggi questo ha dato prova di serietà e professionalità; 3) pochi
vogliono investire esattamente nel paniere di azioni sottostanti.
3. Quelle che sottraggono valore. Purtroppo si tratta dei casi più comuni: ad esempio Autostrada Torino-Milano (AT:IM), che possiede il 63,5% dell’operatore autostradale SIAS – Società Iniziative
Autostradali e Servizi SpA (SIS:IM), anch’essa quotata. Dal punto di vista delle valutazioni relative, un
investimento nella capogruppo potrebbe sembrare un modo per entrare a sconto nel business operativo
sottostante. Purtroppo la famiglia Gavio, che controlla AT, ha “abusato” dei
suoi poteri per comprare una partecipazione in Impregilo a prezzi molto
superiori a quelli di mercato, perché non poteva farlo direttamente attraverso
SIS, che essendo un operatore di concessioni pubbliche è soggetta a maggiori
restrizioni. Alla fine questa operazione non è stata un completo disastro ed il
prezzo della holding ha in qualche
modo recuperato, ma chiaramente un investimento diretto nella società operativa
(SIS) sarebbe stato di gran lunga una proposizione migliore. La lezione è di
stare lontani da questo tipo di holding:
sono totalmente imprevedibili e non hanno quasi mai un sufficiente margine
di sicurezza.
Quando si tratta di holding/investment
companies è sempre molto importante determinare la struttura ed i rischi ad
essa connessi: ignorare gli incentivi e le azioni del management può
trasformare velocemente uno sconto sul NAV in una perdita reale.
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