[Premessa: questo post esula dalla
discussione se il proprio portafoglio debba avere o meno un’allocazione ai
mercati emergenti e/o di frontiera e, se del caso, in quale percentuale e con
quali strumenti. Queste considerazioni sono lasciate a ciascun lettore
individualmente. Il post tratta piuttosto alcuni modi di accedere a questi
investimenti, quasi esclusivamente di tipo azionario perché maggiormente in
linea con la mia filosofia di investimento e con l’obiettivo di accumulare nel
lungo periodo. Molti degli investimenti potrebbero non essere adatti a tutti,
non soltanto in relazione alla propria avversione al rischio, ma anche e
soprattutto per la facilità di entrarvi/uscirvi attraverso un broker italiano.
Se decidete di procedere con questi investimenti, controllate sempre costi
(espliciti ed impliciti), liquidità, tassazione individuale, …]
Contrariamente
a quello che si potrebbe pensare leggendo le news finanziarie negli ultimi mesi,
questo potrebbe essere un buon momento per investire nei mercati
emergenti e di frontiera: è infatti proprio quando i mercati hanno una visione
pessimista del futuro che le valutazioni sono invece più favorevoli, e per questi paesi oggi lo sono sicuramente più di qualche mese fa. La
tabella sottostante mostra infatti come attualmente le valutazioni di questi
paesi sono non solo inferiori a quelle delle nazioni più sviluppate, ma spesso anche
inferiori alle loro medie degli ultimi anni, mentre per i paesi occidentali vale
il contrario.
Fonte: MSCI.
I mercati finanziari
sono spesso orientati al breve
periodo (1-2 anni ed anche meno): questo li porta ad
essere sensibili, spesso in maniera irrazionale, a quelli che sono considerati dei punti di inflessione, come ad esempio cambiamenti nei tassi di crescita
(del PIL, degli utili aziendali, …). A partire dalla
scorsa primavera, i mercati sia obbligazionari che azionari hanno infatti reagito
in maniera negativa ad una riduzione dei tassi di crescita attesi in EM.
Si può avere un’opinione negativa sull’evoluzione a breve di questi paesi ed
essere tuttavia positivi sulle loro prospettive di lungo periodo (non parlo ovviamente
per quelli che hanno la sfera di cristallo e sanno sempre il momento preciso in
cui i mercati cambieranno direzione…). Quello che succede in queste situazioni
è il classico esempio della dicotomia tra investire e fare trading: come continuano a ricordarci, i migliori investitori non cercano
mai di indovinare il momento giusto in cui entrare o uscire da un mercato,
mentre questo è quello che rende ricco un trader.
Vi è poi la
differenza tra quelli che sono chiamati il primo ed il secondo livello di ragionamento (Howard Marks docet!). Il
primo livello è tipicamente quello dei media: il mercato scende del
5% e tutti si affannano a spiegare perché, immediatamente seguiti dagli analisti
(soprattutto quelli che usano l’analisi tecnica) che dicono che il mercato
rialzista è finito ed il trend è al ribasso - ovviamente senza mai
considerare le valutazioni - , e tutti si affannano a vendere. Il primo
livello di ragionamento è anche quello al quale si fermano molti investitori: il
Fondo Monetario Internazionale ha rivisto le stime di crescita al ribasso di un
mero 1%, quindi è il
momento di entrare nel panico e vendere indiscriminatamente! [NB: ovviamente questo vale anche
al contrario, ovvero le stime sono riviste al rialzo di 1% e tutti corrono a
comprare per paura di restare indietro]. Il secondo livello di
ragionamento, invece, è quello che ci ricorda come il rendimento futuro di un
investimento sia in larga parte determinato dal prezzo che si paga, e come spesso il valore (determinato dai fondamentali) diverga dal
prezzo di mercato (determinato piuttosto dalla psicologia delle masse).
Detto
questo, occorre essere onesti ed ammettere che ci sono alcuni reali punti interrogativi riguardo questi paesi: alcuni mercati emergenti hanno
effettivamente avuto performance deludenti, ed in particolare i tanto
pubblicizzati BRICs.
- Il Brasile ha un imponente deficit di bilancio, un’eccessiva dipendenza dai consumi, pressioni inflazionistiche ed un ritorno al nazionalismo che non piace molto agli investitori internazionali;
- La Russia ha anch’essa problemi di corporate governance, con l’eccessivo intervento del governo nell’economia ed una burocrazia corrotta;
- L’India ha probabilmente la peggior posizione finanziaria di tutta l’Asia, con il doppio deficit fiscale ed esterno;
- Infine, la Cina ha un’economia ancora troppo dipendente dagli investimenti e di conseguenza dalla disponibilità di credito, che ha ormai raggiunto livello eccessivi.
Anche tra i
paesi di seconda fascia la situazione non è molto migliore: ad esempio,
l’Indonesia era fino a poco tempo fa una delle nazioni favorite da tutti gli
investitori, mentre nel 2013 i suoi mercati sono crollati, la valuta si è
deprezzata e le riserve esterne sono state consumate.
Queste
considerazioni ci portano pertanto a cercare di sfatare due luoghi comuni, entrambi
errati:
- L’appeal dei mercati emergenti e di frontiera è una storia secolare di crescita, e nessun prezzo è troppo elevato per investirvi! Come tutte le storie di crescita, anche questa sembra sensata, ma è molto pericolosa, perché il prezzo è sempre una variabile importante. È senz’altro vero che questi mercati rappresenteranno una porzione sempre maggiore della torta, sia che si parli di ricchezza, commercio, capitalizzazione di mercato o altro. Ma se un tema d’investimento è secolare, ci si può permettere di aspettare qualche mese - o anche qualche anno – per il momento ed il prezzo giusto. Se si paga troppo, l’investimento può finire bene, ma c’è anche una probabilità maggiore di subire le conseguenze di questo errore!
- L’idea stessa di cosa sia un mercato emergente, con il raggruppamento di paesi incredibilmente diversi in un’unica categoria (ancora peggio avviene per i paesi di frontiera). Questa classificazione poteva avere un senso due decenni fa, mentre oggi appare anacronistica. La Corea del Sud è ancora considerata un paese emergente in molti indici azionari, ma sfido chiunque sia stato a Seul a considerare le sue infrastrutture (città, aeroporti, strade, …) come emergenti rispetto a quelli di altri paesi: non solo l’Italia, ma anche gli US sembrano da terzo mondo quando messi a confronto con la Corea.
Questo
ultimo punto dovrebbe ricordare agli investitori che la differenziazione tra paesi
sviluppati ed emergenti sta diventando sempre più sottile e sta prendendo piede uno spettro più ampio di variazioni in termini di
crescita, valutazioni e rischi tra i quali scegliere (dove tra i rischi vi
rientrano ovviamente anche quelli geopolitici). Invece di considerare
l’allocazione di portafoglio come una scelta tra nazioni sviluppate ed emergenti,
la scelta dei
singoli paesi (country picking) e dei
singoli investimenti (stock picking) diventerà il modo più logico e lucrativo di investire a livello globale. Considerate
come riprova la differenza che ha fatto negli ultimi 10 anni investire in
Germania, UK o US rispetto all’Italia. Anche se possibile, chi investe in modo
passivo allocando tra paesi sviluppati ed emergenti difficilmente riesce a
beneficiare di questa disparità. Questo ovviamente richiede maggiore attenzione
da parte degli investitori e maggiore ricerca (per chi ha tempo e voglia di
farla), che può anche essere limitata semplicemente ai principali indicatori
macro-economici di ogni paese. Un buon punto di partenza con una miriade di
dati disponibili è Trading Economics.
Per quanto
riguarda la scelta degli investimenti, vi sono ovviamente i classici fondi
comuni ed in maniera sempre maggiore ETF dedicati. Questi si portano dietro
tutti i benefici di questi veicoli (diversificazione, esperienza dei gestori in
questi mercati, …), ma anche alcuni inconvenienti già evidenziati in altri
post. Gli ETF hanno costi di gestione inferiori (anche se la differenza è meno
accentuata nelle strategie su paesi emergenti), ma in mercati meno efficienti la gestione attiva potrebbe (dovrebbe?)
avere ancora qualche vantaggio su quella passiva. Inoltre, gli ETF soffrono del non
trascurabile problema che investono in quello che è disponibile (ovvero incluso nel benchmark di riferimento) piuttosto che in quello che ha
senso (per definizione, un ETF è indifferente alle
valutazioni), e questo porta spesso ad allocazioni alquanto bizzarre.
A mio
personalissimo parere, uno dei migliori modi (se non il
migliore in assoluto) per investire nei mercati emergenti è attraverso fondi chiusi (closed-end) quotati sui mercati americani e inglesi (alle volte anche in altre piazze
europee). Questi
sono spesso la replica in forma chiusa dei comuni fondi aperti venduti da tutti i gestori, con almeno due vantaggi: 1) data la loro
natura, si può spesso entrare ad uno sconto rispetto al NAV; 2) essendo chiusi,
gli investitori non possono abbandonare la nave nei momenti di panico: questo
permette ai gestori di investire con una logica di lungo termine, invece che in
quello che è di moda al momento, soprattutto per quegli assets che potrebbero essere più difficili da comprare/vendere,
come ad esempio private equity, real estate o infrastrutture.
Il mercato
americano offre un’ampia gamma di fondi chiusi focalizzati sui mercati
emergenti, inclusi fondi obbligazionari, molte volte con una preferenza per una
determinata regione o un singolo paese. Tralasciando la difficoltà di accedervi
attraverso i broker italiani, non ho mai trovato questi veicoli particolarmente
eccitanti: è vero che trattano frequentemente con sconti a due cifre rispetto
al NAV (ma si trovano gli stessi sconti se non superiori a Londra), ma spesso usano
la leva per migliorare i rendimenti, soprattutto nel caso dei fondi
obbligazionari. E la loro situazione dal punto di vista fiscale e della
distribuzione dei dividendi è un incubo, anche se siete residenti negli US (a
meno che non siate un soggetto esentasse). Al contrario, i fondi di diritto inglese (investment trust) hanno invece un significativo beneficio
per gli investitori di lungo termine: poiché la maggior parte di loro è
focalizzata sull’accumulazione del capitale, sono un ottimo modo per far lavorare l’interesse composto
senza pagare tasse (almeno fino al momento della
vendita). Non certo un beneficio da ignorare!
Il resto del
post è dedicato ad un elenco di alcuni potenziali investimenti (fondi chiusi/investment trust/investment companies):
per ciascuno di essi è essenziale non fermarsi a quello che dice l’etichetta, ma andare il più possibile in profondità nell’analisi non solo della
performance storica su diversi periodi, ma anche del focus geografico, della
(eventuale) concentrazione in aziende e/o settori specifici e del peso degli
investimenti illiquidi o non quotati.
Fondi generalisti globali
Questi
veicoli sono il primo punto da cui partire: dopotutto, molti investitori non
hanno il tempo, l’esperienza o le conoscenze necessarie per identificare i
migliori mercati emergenti/di frontiera.
Il più
famoso dei fondi dedicati ai mercati emergenti (che celebra il suo 25esimo
anniversario quest’anno) è il Templeton Emerging Markets Investment Trust (TEM:LN), gestito da Mark Mobius.
Altri fondi
eccellenti sono Genesis Emerging Markets Fund (GSS:LN), JP Morgan Emerging Markets Investment Trust (JMG:LN) e Advance Developing Markets Fund (ADMF:LN). Quest’ultimo, in particolare, è un fondo di fondi e per quanto non sia
certo un fan di queste strutture offre un ulteriore grado di diversificazione,
che molti investitori trovano rassicurante. Inoltre, poiché investe anche in
altri fondi chiusi, nei momenti di stress dei mercati può offrire un doppio livello di sconto. Un fondo più specializzato è Utilico Emerging Markets (UEM:LN), dedicato ad utilities ed
infrastrutture.
Sfortunatamente,
non ci sono allo stesso modo molti fondi quotati dedicati ai mercati di
frontiera, anche se probabilmente ve ne saranno di più nei prossimi anni: al
momento si può scegliere solo tra Advance Frontier Markets Fund (AFMF:LN), il gemello di ADMF qui
sopra, e BlackRock Frontier Investment Trust (BRFI:LN).
Infine, una
maniera indiretta di investire in questi mercati è attraverso gli asset manager specializzati in questa
classe. Due società molto interessanti sono Charlemagne Capital (CCAP:LN), focalizzata sulle azioni, e sopratutto Ashmore (ASHM:LN), inizialmente concentrata sulle obbligazioni ma attiva oggi anche in
azioni, infrastrutture ed investimenti non quotati. Tra i gestori tradizionali
più conosciuti, Aberdeen Asset Management (ADN:LN) ha un significativo focus sui
mercati emergenti, in particolare quelli asiatici. Infine, un’altra opzione è
quella di City of London Investment Group (CLIG:LN), che investe sia in mercati emergenti che di frontiera attraverso fondi
chiusi (incluse però alcune strategie dedicate ai mercati sviluppati ed alle
risorse naturali).
Asia
Per chi
volesse puntare esclusivamente sulla crescita delle economie asiatiche, alcune
idee includono Aberdeen Asian Income Fund (AAIF:LN), Aberdeen Asian Smaller Companies Investment Trust (AAS:LN), Schroder Oriental Income Fund (SOI:LN), Scottish Oriental Smaller Companies Trust (SST:LN) ed Edinburgh Dragon Trust (EFM:LN), anch’esso gestito da Aberdeen. Molto interessante, per il suo
approccio più ampio agli investimenti e per il carattere di absolute return, è Establishment Investment Trust (ET/:LN).
Per chi volesse un’esposizione su uno specifico paese, un
accesso diretto alla Cina è dato da JP Morgan Chinese Investment Trust (JMC:LN) oppure da Fidelity China Special Situations (FCSS:LN). Opzioni più esotiche,
attraverso investimenti di private equity,
sono ARC Capital Holdings (ARCH:LN) e Origo Partners (OPP:LN):
il primo si focalizza sul settore dei consumi, mentre il secondo è più
orientato all’urbanizzazione ed all’industrializzazione (agricoltura, risorse
naturali, energie rinnovabili).
Per quello che riguarda l’India, le opportunità sono
quelle di India Capital Growth Fund (IGC:LN), JP Morgan Indian Investment Trust (JII:LN)
e New India Investment Trust (NII:LN).
Anche qui sono possibili investimenti più sofisticati, come private equity ed infrastrutture, ad
esempio Infrastructure India (IIP:LN), Kubera Cross-Border Fund (KUBC:LN)
e EIH (EIH:LN), un fondo di fondi.
Un altro paese con veicoli dedicati è la Thailandia, con Aberdeen New Thai Investment Trust (ANW:LN)
e Symphony International Holdings (SIHL:LN), il cui focus iniziale era la
Thailandia ma si è adesso espanso a coprire anche Cina, Turchia ed altre
regioni asiatiche con investimenti nei settori della salute ed alberghiero. Per
la Corea è disponibile il fondo WeissKorea Opportunity Fund (WKOF:LN).
Infine, last but
not least, il Vietnam (uno dei mie paesi preferiti), con
fondi quali Vietnam Holding (VNH:LN),
PXP Vietnam Fund (VNF:LN), Vietnam PropertyFund (VPF:ID), VietnamInfrastructure (VNI:LN) e VinaCapital Vietnam Opportunity Fund (VOF:LN) e VinaLand (VNL:LN), gli ultimi tre gestiti da VinaCapital.
Africa/Medio
Oriente
Queste regioni offrono al momento minori opportunità
rispetto alle altre. Per quanto riguarda il Medio Oriente ed i paesi del Golfo,
ho trovato un fondo dedicato al Qatar, QatarInvestment Fund (QIF:LN), ed uno con linee guida più
ampie per investimenti in tutta l’area del Golfo Persico, Qannas Investments (QIL:LN).
L’Africa, pur essendo il continente con le maggiori
potenzialità, offre limitate possibilità di investimenti diretti. È infatti
considerata ancora troppo “di frontiera”, con mercati poco liquidi, poco
profondi e poco trasparenti in termini di governance.
Tuttavia, dopo aver fallito varie volte nel passato, questa volta potrebbe
essere veramente diverso: il potenziale africano (che non è soltanto legato alle
materie prime di cui la regione è ricca) potrebbe veramente liberarsi grazie ad
Internet, nuove tecnologie e tecniche di micro-finanziamento. Per chi fosse più
intraprendente e volesse “scommettere” sull’Africa, le possibilità includono: Africa Opportunity Fund (AOF:LN), PME African Infrastructure Opportunities (PMEA:LN), ADC African Development Corp (AZC:GR), Cambria Africa (CMB:LN) e Masawara (MASA:LN).
Esistono ovviamente altri modi per accedere alla storia
di crescita africana. Uno di questi è attraverso aziende sudafricane con operazioni nelle regioni limitrofe, avendo
il Sudafrica, pur tra molti altri problemi, una corporate governance eccellente di derivazione anglosassone. Una
seconda alternativa, ancora più diretta, sono le banche, di solito quotate come
public companies: il settore
finanziario, assieme a quello dei beni di consumo, è tipicamente tra i primi a
beneficiare della maggiore ricchezza della classe media nei paesi emergenti e
di frontiera.
Russia ed Est
Europa
Per chi volesse cominciare con una esposizione
diversificata alla regione, un buon punto di partenza sono i fondi Baring Emerging Europe (BEE:LN), BlackRock Emerging Europe (BEEP:LN), Templeton Russia & East European Fund (TRF:US, quotato al NYSE) e JP Morgan Russian Securities (JRS:LN).
Un’alternativa per chi non fosse interessato
all’esposizione preponderante alla Russia è di spostarsi sulle repubbliche
ex-sovietiche limitrofe. L’Ucraina, ad
esempio, è spesso considerata come un’appendice della Russia, ma ha un settore
agricolo molto più sviluppato e produttivo, anche se manca delle risorse
naturali della sua vicina (il modo in cui la Russia continua a mantenere vicina
a sé l’Ucraina, che invece preferirebbe unirsi all’Unione Europea, è proprio
attraverso imposizioni sulle forniture di gas). Un possibile investimento è
quindi quello in Ukraine Opportunity Trust (UKRO:LN),
che tuttavia è molto orientato verso investimenti non quotati.
Altre due nazioni che condividono le basse valutazioni e
la concentrazione nelle risorse naturali della Russia sono Kazakhstan e
Mongolia, dove i mercati finanziari sono tuttavia in una fase ancora più
nascente. Origo Partners (OPP:LN), già introdotta, è una società di private equity con investimenti prevalentemente in Cina, ma con una
significativa presenza nel settore minerario in Mongolia, mentre Tau Capital (TAU:LN) investe prevalentemente in
Kazakhstan.
Altri possibilità sono: East Capital Explorer (ECEX:SS), quotato a Stoccolma, che
investe in aziende sia quotate che private in tutta la regione dell’Est Europa
inclusi i paesi balcanici; EnergyOSolutions Russia (EOS:SS),
anch’esso quotato a Stoccolma, che investe esclusivamente nell’industria
elettrica russa; Aurora Russia (AURR:LN), che ha un portafoglio di investimenti
di private equity esclusivamente in
Russia; Eastern European Property Fund (EEP:LN), che investe
nei mercati immobiliari di Turchia, Romania e Bulgaria, così come fa anche Atrium European Real Estate (ATRS:AV), quotata a Vienna ed attiva nella costruzione e gestione
di centri commerciali in tutto la regione orientale.
Sud America
L’ultima macro-regione del variegato mondo dei mercati
emergenti è l’America Latina dove, stranamente, non vi sono molti veicoli per
investimenti diretti: data l’esplosione della regione negli ultimi anni, in
particolare del Brasile, mi sarei aspettato di trovare più società quotate con
investimenti esclusivi nell’area (al NYSE vi sono effettivamente maggiori opportunità).
Tra i fondi generalisti, meritano una menzione BlackRock Latin American Investment Trust
(BRLA:LN), JP Morgan Brazil Investment Trust (JPB:LN) e Aberdeen Latin American Income Fund
(ALAI:LN).
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