giovedì 11 settembre 2014

Portafogli concentrati o diversificati?

Una della domande che si sente più spesso è: “Come è possibile che 85% dei fondi comuni non riesca a battere il benchmark?”. In fondo si tratta di operatori professionali, che hanno accesso alle migliori informazioni ed analisi, che hanno studiato nelle migliori business school e che capiscono il funzionamento dei mercati.

La prima (e più ovvia) spiegazione sono ovviamente le spese (commissioni, bid-ask, turnover, …) che gravano sul NAV, quasi sempre eccessive per portafogli che sono, alla fine, dei semplici closet-indexer. La seconda risposta deriva direttamente dalla prima: i fondi comuni non sono creati e gestiti per selezionare le migliori opportunità per i clienti, quanto piuttosto per massimizzare i rendimenti delle società di gestione. È molto più redditizio avere un fondo da €10 miliardi che segue da vicino il mercato ed intanto incassa sostanziose commissioni di gestione, che un fondo da €100 milioni che cerca di battere il mercato.

Il problema principale di tutti questi fondi è che non hanno un efficace processo di investimento, fanno un po’ di tutto e quasi mai cercano le strade meno battute. Questi fondi rientrano perfettamente nella metafora di Ralph Wanger (fondatore di Acorn Fund).

“Zebre e gestori hanno problemi simili. Entrambi infatti ricercano un qualche profitto: per i gestori è una performance superiore alla media; per una zebra è l’erba fresca. Entrambi sono avversi al rischio: i gestori possono perdere il loro lavoro, mentre le zebre rischiano di essere mangiate da un leone. Infine, entrambi appartengono ad un branco: sembrano tutti uguali, si muovono tutti insieme e rimangono gli uni vicini agli altri.

Per una zebra che vive in un branco, la decisione principale da prendere ogni giorno è dove mettersi rispetto al resto del gruppo. Se le condizioni ambientali sono sicure, si può spingere al di fuori del branco, perché lì l’erba è migliore, mentre nel centro del gruppo è tutta calpestata. Le zebre più intraprendenti sono quindi quelle che mangiano meglio. Però a volte si avvicinano i leoni: le zebre all’esterno finiscono per diventare un pasto appetitoso, mentre quelle all’interno del gruppo mangiano peggio ma probabilmente rimangono in vita.

Il gestore di un fondo non può permettersi di essere una delle zebre più intraprendenti. Per lui la strategia ottimale è molto semplice: rimanere nel mezzo del gruppo in qualsiasi momento. Finché continua a comprare i titoli delle società più grandi, famose e popolari, è difficilmente criticabile. Troppo spesso infatti il suo ragionamento (anche se non lo ammetterebbe mai) è: “In realtà non mi interessa molto cosa succede ad ENI (o a qualsiasi azione/obbligazione presente nel benchmark), purché anche gli altri gestori la abbiano in portafoglio.”

Questo è esattamente quello a cui si riferiva J.M. Keynes quando diceva che: “Per la reputazione di un uomo, è meglio fallire in maniera convenzionale che avere successo in modo non convenzionale.” È inutile aggiungere che questa mentalità da “zebra nel mezzo del gruppo” non dovrebbe soddisfare nessun investitore serio.

Se studiate le strategie dei migliori investitori, quelli che hanno avuto rendimenti del 20% annuo per lunghi periodi, vedrete che con le eccezioni di quelli di tipo macro (alla George Soros o Paul Tudor Jones, per intendersi), la maggioranza di loro ha seguito una strategia di tipo value. Ma anche se condividono la stessa filosofia, il modo in cui hanno ottenuto i loro risultati è spesso molto diverso, polarizzandosi su due estremi:
  • Portafogli diversificati, ma sempre e soltanto investiti in azioni poco costose rispetto ad assets e/o utili
  • Portafogli concentrati in poche, eccellenti aziende.

Del primo gruppo fanno parte, tra gli altri, Benjamin Graham e Walter Schloss, del quale Warren Buffett ha detto:
“Walter has diversified enormously, owning well over 100 stock currently. He knows how to identify securities that sell at considerably less than their value to a private owner: And that's all he does. […] He owns many more stocks than I do and is far less interested in the underlying nature of the business; I don't seem to have very much influence on Walter. That is one of his strengths; no one has much influence on him.”

La prima fonte di rendimento in un investimento è infatti la rivalutazione degli assets o degli utili. Gli investitori in questo gruppo basano le loro decisioni su bassi P/BV o P/E (o altre metriche) ed attendono pazientemente che il mercato rivaluti le aziende ad un livello più alto.

I più illustri proponenti della seconda strategia sono invece Charlie Munger, Warren Buffett nella seconda parte della sua carriera (sotto l’influenza proprio di Munger) ed altri investitori famosi come Glenn Greenberg o Joel Grenblatt (quello della Magic Formula). La seconda fonte di rendimento viene infatti dai risultati interni del business stesso. Il mercato può continuare a valutare l’azienda allo stesso P/E o P/BV, ma il business genera utili crescenti ogni anno ed il prezzo di mercato aumenta anche senza un re-rating dei multipli. [Esiste anche una terza fonte di rendimento, comune ad entrambe le strategie, e sono le decisioni di allocazione del capitale fatte dal management, come ad esempio dividendi, buyback, spin-off, etc…]

Un’altra differenza tra i due gruppi è nel loro holding period: mentre è vero che entrambi guardano ai fondamentali di lungo periodo, per quanto tempo mantengono un titolo in portafoglio può essere molto diverso. Warren Buffett è infatti famoso per aver detto che il suo holding period preferito è “per sempre”: questo è coerente con il tipo di investimenti che fa, se il business è eccellente perché vendere anziché tenerlo e beneficiare della sua crescita? Water Schloss, al contrario, aveva un approccio più da manager di supermercato: comprava qualcosa con l’intenzione di rivenderla ad un prezzo superiore dopo un certo periodo. Anche questo è assolutamente logico: se l’investimento è stato fatto perché qualcosa quotava a sconto, una volta che il gap si è chiuso per la rivalutazione del titolo non esiste più un margine di sicurezza ed è meglio cercare qualcos’altro più a buon mercato. [Vorrei ricordare di nuovo che questo non vuol dire comprare sperando di rivendere dopo una settimana a prezzo maggiorato: spesso ci vogliono mesi se non anni per vedere il prezzo salire verso il valore intrinseco.]

Quello che però è importante sottolineare è che questi investitori utilizzano un approccio oppure l’altro, ma non entrambi. Ed il loro successo viene proprio dal fatto che hanno implementato una strategia completamente diversa rispetto alla moltitudine degli altri investitori, in particolare dei fondi comuni.

Seguire una o l’altra di queste strategie non è infatti facile dal punto di vista mentale. Aderire alla metodologia di Graham di comprare solo net-net non è così semplice come può sembrare a prima vista: queste aziende sono spesso business mediocri e con chiari problemi. Deep value è quasi antitetico alla natura umana: si tratta di aspettare per anni mentre il mercato continua ad ignorare queste aziende, cosa impossibile da fare se sei un gestore la cui performance è valutata ogni mese o ogni trimestre. Dall’altro lato, a tutti piace possedere i business d’eccellenza, le Ferrari ed i Cartier tra i titoli quotati, ma è altrettanto difficile concentrare il proprio portafoglio in 5-8 azioni, perché il rischio (percepito) è troppo grande.

Analizzando la performance degli investitori mediocri (fondi comuni), si evince che uno dei principali errori è proprio quello di cercare di combinare le due strategie: insistono che investono solo nei business di qualità, che le loro idee migliori hanno un peso significativo nel portafoglio, ma allo stesso tempo usano la diversificazione per rassicurare gli investitori (e se stessi) che non ci saranno disastri. Quello che però ottengono è soltanto di diluire i rendimenti: troppe azioni a prezzi non attraenti. I pochi business eccezionali (che raramente trattano a prezzi di saldo) presenti nei loro portafogli non fanno la differenza sul rendimento aggregato, e le altre posizioni non sono quelle più cheap ma sono piuttosto possedute perché presenti anche nel benchmark.

Se volete diversificare, dovete investire solo nelle azioni meno costose, quelle più a sconto, che sono però psicologicamente difficili da possedere per anni. Se invece volete investire nei migliori business, dovete avere il coraggio di concentrarvi solo su quelli che ritenete veramente superiori (che non vuol dire 40 o 50, ma piuttosto 10-15).

1 commento:

  1. Davvero bello questo pezzo. In effetti la cosa più difficile è proprio seguire una scuola per quanto buona possa apparire. Ci sono così tanti modi per spellare un gatto che non è facile affidarsi a uno solo quando anche gli altri hanno valide ragioni. Alla fine probabilmente è solo la propria "forza" che c'impone un metodo anziché un altro.

    Daniele

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