martedì 8 ottobre 2013

Buzzi Unicem: "time to sell"



L’idea di investire in Buzzi Unicem (BZU:IM) risale all’autunno del 2011. La tesi iniziale era basata essenzialmente sulla valutazione estremamente conveniente, all’epoca, delle azioni di risparmio (la tipologia scelta per l’investimento), che non solo trattavano ad un significativo sconto rispetto al book value ma anche ad uno sconto superiore al normale rispetto alle azioni ordinarie.
 
Dal punto di vista operativo, Buzzi era entrata nella crisi del 2007-2008 come una delle aziende nel settore del cemento con il minor debito: questo le avrebbe permesso di continuare ad investire senza dover far affidamento sull’umore dei mercati dei capitali. L’idea era di investire in un business sicuramente ciclico ma capace di sopportare un periodo di recessione senza grossi problemi, e puntando sulla “reversion to the mean”, ovvero sulla “normalizzazione” di fatturato, utili e rendimenti, senza però assumere che sarebbero tornati i tempi d’oro del 2006-2007. Nel lungo periodo, l’aumento della capacità produttiva avrebbe apportato significativi benefici agli utili e di conseguenza al prezzo di mercato.

Questa tesi era (ed è tuttora) strettamente legata al miglioramento delle condizioni macro-economiche globali: non necessariamente della sola Italia (Buzzi è considerata un’azienda italiana ma il nostro paese conta solo per il 17% del fatturato), ma anche del resto d’Europa, degli US e del Mexico, paesi nei quali la società è attiva. Ad oggi, questo (presunto, sperato) miglioramento con un ritorno alla normalità non c’è ancora stato, né nel 2012 né tantomeno nel 2013: i risultati del primo semestre di questo anno sono stati ancora in calo. Nonostante questo, il mercato ha premiato l’investimento: da un prezzo d’ingresso di circa €4,4 oggi siamo attorno a €6,6, per un guadagno del 50% (più un piccolo dividendo).

Guardando al passato, i prezzi sono oggi ancora inferiori al 2005, prima dell’impennata del 2006-2007 che spinse le azioni di risparmio fino a €19 (periodo che è comunque difficile da ripetere), e quindi ci potrebbe essere un ulteriore margine di crescita. Tuttavia il titolo è stato spinto al rialzo (nelle ultime settimane grazie anche ad una raccomandazione da parte di Goldman Sachs) ben oltre quello che sarebbe stato giustificato dai fondamentali, così come prima il mercato aveva depresso il prezzo in maniera superiore alla riduzione di utili e fatturato, dimostrando ancora una volta la sua natura bipolare di essere sempre troppo euforico o troppo depresso.

Oggi Buzzi tratta a circa 1,3x EV/sales, più o meno in linea con le medie dell’ultimo decennio (utili e FCF sono distorti dai risultati mediocri degli ultimi anni e quindi poco adatti per fare un confronto). Tratta ancora a “solo” 0,8x P/BV, ma è sempre stato così tranne negli anni del boom. L’ipotesi iniziale prevedeva FCF “normalizzati” di circa €200 milioni, ovvero la media dei 10 anni precedenti e quindi una stima conservativa rispetto ai €260 milioni degli anni del boom. Il problema nell’assumere un ritorno alla normalità è che ogni anno che passa le medie storiche di Buzzi diminuiscono: con i risultati del 2011 e del 2012 la media oggi è si è ridotta attorno a €175 milioni (tendenti a €150 milioni…), che implica un fair value tra €6 e €7 (a seconda del tasso di sconto utilizzato). Non è detto che la società non possa tornare a livelli recenti anche in tempi rapidi (data la natura dei costi fissi nel settore, qualsiasi miglioramento nel fatturato si traduce in un aumento più che proporzionale di utili e flussi di cassa), ma il rapporto tra rischio e rendimento si è oggi spostato ad un livello più alto e, soprattutto, dipende in maniera ancora più marcata dal miglioramento dell’economia, fattore al quale preferisco assegnare un’importanza marginale nelle mie scelte.

È innegabile che la fortuna sia una componente della performance di qualsiasi investimento, anche se ovviamente una buona analisi e comprare a prezzi bassi aiuta molto! In questo specifico caso si sono avverati due (e mezzo) di questi tre elementi: si è comprato a prezzi bassi; l’analisi del business e dei rischi della valutazione intrinseca è stata sufficiente ma non perfetta; e si è avuto un pizzico di fortuna.

In conclusione, ho deciso di uscire dalla posizione senza fare nessuna previsione su come il titolo o l’economia italiana si comporterà nei prossimi mesi (il market timing non rientra nella mia filosofia di investimento), anche perché, nonostante i continui rialzi degli ultimi mesi, Mr. Market continua di quando in quando ad offrire opportunità più allettanti (come ad esempio la francese MFC, descritta nel dettaglio nel precedente post).

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