Nel
1906 il matematico Francis Galton era ad una fiera di paese ed osservò una
competizione in cui si doveva indovinare il peso di un toro: chi si avvicinava
di più al peso corretto vinceva il toro stesso. Ottocento persone parteciparono.
Galton, da buon matematico, calcolò alcune statistiche e scoprì che la stima
media del peso (542,9 kg) era praticamente identica al peso reale del toro (543,4
kg). Questo episodio reale è alla base di molte teorie sulla cosiddetta “saggezza delle masse (wisdom of crowds)”. Ma non tutti sanno
cosa è accaduto in seguito…
Alcuni
anni dopo, le bilance usate alla fiera divennero sempre meno accurate. Poiché
ripararle era costoso, gli organizzatori ebbero un’idea: dato che i
partecipanti alla gara erano così bravi a stimare il peso del toro, non era
necessario riparare le bilance, ma bastava chiedere ad ognuno la propria stima
e poi prenderne la media.
Emerse
però un nuovo problema. Una volta che questa competizione divenne di moda,
alcuni partecipanti tentarono di imbrogliare, cercando di ottenere informazioni
privilegiate dal contadino che allevava il toro. Se alcune persone potevano
avere questo vantaggio, molte altre non avrebbero partecipato alla
competizione. Con soli pochi partecipanti, il processo per determinare il peso
corretto sarebbe stato danneggiato.
Furono
pertanto introdotte delle regole ferree. All’allevatore fu chiesto di preparare
un bollettino trimestrale sugli sviluppi del toro; questi bollettini venivano
poi affissi sulla porta della stalla perché tutti potessero leggerli. Se
l’allevatore dava delle informazioni sul toro ai suoi amici, avrebbe dovuto metterle
anche sulla porta della stalla. Chiunque avesse partecipato alla competizione
con informazioni che non erano disponibili anche a tutti gli altri sarebbe
stato espulso. In questo modo l’integrità del processo sarebbe stata mantenuta.
Gli
analisti professionisti cominciarono ad scrutinare questi annunci ed a
consigliare i propri clienti sulle loro implicazioni. Provarono anche a portare
fuori a cena gli allevatori; ma quando questi furono obbligati ad essere
prudenti con le informazioni che rivelavano, queste cene divennero poco redditizie
per gli analisti. Alcuni analisti più brillanti si resero conto che cercare di
capire il tipo di nutrizione e lo stato di salute del toro non era poi così rilevante.
Quello che importava era in realtà anticipare le stime degli altri
partecipanti. Poiché il toro non veniva più pesato, la chiave per vincere non era determinare il peso corretto, ma valutare
le stime degli altri partecipanti. O quello che gli altri avrebbero stimato
che i partecipanti avrebbero stimato. E così via.
Alcuni,
come il contadino Buffett, obiettarono che i risultati di questo processo erano
ogni giorno sempre più distanti dalla realtà dell’allevamento di tori, ma fu
generalmente ignorato. Le bestie del contadino Buffett erano in effetti in
salute e vigorose, e le sue finanze floride: tuttavia, fu ritenuto un
sempliciotto di campagna che non capiva come funzionano i mercati dei tori. Il peso del toro fu ufficialmente definito
come la media delle stime di tutti.
Una
delle difficoltà era però che alle volte c’erano poche stime, od addirittura
nessuna. Ma anche questo problema fu subito superato. Le teste d’uovo
dell’Università di Chicago svilupparono un
modello con il quale era possibile stimare quale sarebbe stata, se ci fossero
state nella realtà molte stime da diverse persone, la media di queste stime.
Non c’era bisogno di nessuna conoscenza di zootecnia, tutto quello che serviva
era un computer potente.
A
questo punto si era già sviluppata un’ampia industria di stimatori professionisti
del peso, di organizzatori di competizioni simili e di consulenti che aiutavano
i partecipanti a perfezionare le proprie stime. Qualcuno provò a suggerire che
forse sarebbe stato meno costoso riparare le bilance, ma furono subito derisi:
perché tornare ad un sistema basato sulla conoscenza di un singolo pesatore quando
si poteva trarre beneficio dalla saggezza aggregata di così tante persone intelligenti?
Ed
alla fine il toro morì. In tutta questa frenesia, nessuno si era ricordato di
dargli da mangiare.
[Adattato
da John Kay: “The parabole of the ox”,
Financial Times, 24 luglio 2012]
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