martedì 27 agosto 2013

Investire in agricoltura (II)



Ogni volta che si individua un tema interessante, potete stare sicuri che l’industria degli investimenti prima o poi lo sfrutterà fino a rovinarlo. Nel post precedente ho analizzato la gamma di investimenti disponibili per chi fosse interessato all’agricoltura (investimenti diretti, fondi chiusi, ETN, ETF su future, ETF fisici ed ETF azionari) e dimostrato come ben pochi di questi abbiano una vera esposizione ai prodotti agricoli. Vediamo adesso quali sono invece la opportunità tra le aziende quotate.
[Nota importante: questo blog è pubblicato a scopo puramente informativo. Le aziende elencate di seguito non sono una raccomandazione né di acquisto né di vendita, ma semplicemente una lista di società che ho identificato e che continuerò a seguire ed analizzare. Ogni lettore è pregato di fare le proprie considerazioni e valutazioni, anche e soprattutto sull’idoneità degli investimenti alle proprie caratteristiche finanziarie. La sigla tra parentesi dopo il nome delle aziende è il ticker da utilizzare in Bloomberg.com per vedere le caratteristiche finanziarie delle società.] 


Terreni da raccolto (farmland) 
I terreni da raccolto sono tra i migliori investimenti che si possano fare: sono infatti una delle migliori riserve di valore (“Buy land, they are not making it anymore! - Mark Twain”) e la fonte principale di asset biologici e della loro crescita. Tuttavia, occorre fare attenzione a quelle società che sono gestite con una prospettiva finanziaria, anziché operativa: in genere queste sono di tipo promozionale, e rischiano di essere spazzate via alla prima crisi.

L’aspetto finanziario non deve però essere dimenticato: lo scopo ultimo di qualsiasi impresa è di produrre sufficienti flussi di cassa positivi, e troppo spesso gli agricoltori non sono consci di quale sia la loro reale situazione riguardo flussi di cassa e rendimenti del capitale. Vi sono moltissime situazioni in cui la terra è a buon prezzo (al momento sopratutto al di fuori di US, Australia ed Europa), ma allo stesso tempo le aziende non hanno accesso ai capitali ed ai finanziamenti necessari per migliorarla ed aumentare la produttività dei raccolti. Avere del bestiame esaspera questo problema, perché aumenta la necessità di capitali per impiegare più persone, meccanizzazione, fertilizzanti, irrigazione, …. Solo una piccola percentuale di queste aziende genera profitti, ed ancora meno hanno flussi di cassa positivi.

In questi casi gli investitori sono troppo ottimisti, ignorano per un certo periodo questi aspetti, si concentrano sulle metriche fornite dal management e continuano a meravigliarsi di quanto a buon mercato sia la terra per ettaro/acro. Purtroppo, le probabilità di realizzare il vero valore dei terreni diventano man mano più marginali, e gli investitori cominciano a fuggire: il prezzo in genere crolla come conseguenza di un aumento di capitale molto penalizzante che diluisce il valore intrinseco dei terreni.

La soluzione a questi problemi è semplice (ma spesso ignorata): focalizzarsi sui flussi di cassa e sul livello di debito e selezionare solo quelle aziende che riescono ad (auto)finanziarsi su base continuativa, altrimenti si assisterà impotenti ad un implacabile diminuzione del prezzo delle azioni.

Quali sono quindi gli elementi da ricercare in questi investimenti?

  1. Un’esposizione diretta (vedi post precedente) alla crescita della domanda mondiale dovuta al miglioramento degli standard di vita, in particolare proteine;
  2. Identificare le zone più fertili e produttive: non sono riuscito a trovare dati certificati ed inoppugnabili, ma queste sono generalmente ritenute da varie fonti essere la regione delle Black Earth tra Russia ed Ucraina e le pampas argentine, seguite dalle praterie canadesi;
  3. Con riferimento ad una produttività accettabile come da punto 2), trovare i terreni più economici (o per lo meno ad un prezzo ragionevole).
Da quest’ultimo punto di vista, la vecchia Europa non offre niente di particolarmente interessante. Oggi i prezzi dei terreni agricoli partono da un minimo in Ucraina di circa $200/acro, che riflette il fatto che le terre non sono di proprietà ma sono in locazione per lunghi periodi. Di seguito vi è la Russia, con prezzi attorno a $400-$800/acro, poiché le terre sono pienamente di proprietà dei privati. I prezzi aumentano sostanzialmente spostandoci verso Australia, Brasile ed US, per arrivare a UK ed Europa occidentale, dove i prezzi toccano $8.000/acro. All’estremo troviamo l’Irlanda: nonostante tutto quello che è successo negli ultimi anni (o forse proprio a causa di ciò?) il prezzo medio di un acro di terreno è ancora attorno a $12.000, paragonato ad una media di $3.000 - $5.000 in varie parti degli Stati Uniti. Sotto il profilo delle valutazioni, un investitore dovrebbe quindi preferire di gran lunga l’Est Europa, che offre il maggior potenziale di upside in termini di prezzi e fertilità del terreno (di nuovo, però, una volta che queste aziende dimostrano di essere in grado di auto-finanziarsi).

Una delle società più interessanti è sicuramente l’argentina Cresud (CRESY:US), che avrebbe tutte le caratteristiche desiderate: vasti terreni per la produzione di beni di prima necessità e per l’allevamento di bestiame ad un prezzo di saldo! Il suo business model, che sta cercando di esportare nei paesi confinanti secondo le caratteristiche proprie di ogni nazione, è focalizzato sull’acquisizione, sviluppo e sfruttamento delle proprietà per la produzione agricola, e la dismissione selettiva di tali proprietà a seguito del loro apprezzamento. Purtroppo, quello che è la fortuna di Cresud (localizzata nelle pampas) è anche la sua maledizione, perché le politiche di Cristina Fernandez hanno distrutto qualsiasi interesse gli investitori esteri potessero avere nell’Argentina: il rischio paese è troppo alto (politico, deprezzamento della valuta, nazionalizzazioni, iperinflazione, possibilità di un nuovo default, …).

Rimanendo nelle Americhe, BrasilAgro (LND:US) (nella quale ha una partecipazione la stessa Cresud), SLC Agricola (SLCJY:US) e Adecoagro (AGRO:US) sono tutte società brasiliane: l’euforia per il settore e per qualsiasi cosa avesse a che fare con i BRICs negli ultimi anni ha fatto si che le loro valutazioni non offrissero un sufficiente margine di sicurezza, ma i recenti problemi del Brasile e dei paesi emergenti in generale hanno riportato i prezzi a livelli più sensati. Camposol (CSOL:NO) è un’azienda peruviana che produce asparagi, avocado, mango e carciofi, quotata non si sa bene perché in Norvegia (probabilmente per sottostare a regole sulla governance più stringenti).

Negli US, Alico (ALCO:US) è una delle poche, vere aziende agricole (attiva soprattutto nella produzione di agrumi e zucchero, oltre a bestiame), in quanto le altre sono più focalizzate - e derivano la maggioranza del loro valore - dall’acquisto e vendita dei terreni più che dall’agricoltura vera e propria. Tra queste ultime possiamo ricordare St. Joe (JOE:US), Tejon Ranch (TRC:US), Consolidated-Tomoka Land (CTO:US), Maui Land & Pineapple (MLP:US) e Alexander & Baldwin (ALEX:US). Niente di male nel loro business model, il problema è che l’elevato valore dei terreni e la bassa percentuale dedicata alla produzione agricola non le rendono particolarmente a buon mercato.

Nella Eurozona, una delle poche società con una capitalizzazione sufficiente per un investimento è l’italiana Società per la Bonifica dei Terreni Ferraresie Imprese Agricole SpA (BF:IM), posseduta al 62% dalla Banca d’Italia, che tuttavia non presenta caratteristiche interessanti di sviluppo futuro.

Il mercato azionario londinese comprende alcune società focalizzate sull’Africa, come ad esempio Agriterra (AGTA:LN), ma si tratta tipicamente di micro-cap difficilmente investibili per la maggior parte degli investitori. Per quanto riguarda l’Australia possiamo ricordare PrimeAg Australia (PAG:AU) e Tandou (TAN:AU): il costo dei terreni agricoli è oggi qui tra i più bassi tra i paesi industrializzati, ma questo riflette la loro bassa produttività in termini di quanto è richiesto per nutrizione ed irrigazione, che sottolinea di nuovo l’importanza di avere facile accesso all’acqua.

Passando all’Est Europa, come detto questi mercati presentano al momento delle interessanti opportunità in termini di produttività del terreno e valutazioni dei mercati finanziari. Tra le aziende attive in Russia ed Ucraina possiamo citare: Razgulay Group (GRAZ:RM), Rusgrain (RUGR:RM), KSG Agro (KSG:PW), Kernel (KER:PW), Ros Agro (AGRO:LI), Mriya Agro (MAYA:GR), Agrokultura (AGRA:SS) e Trigon Agri (TAGR:SS).

Queste società sono spesso molto attraenti dal punto di vista della valutazione, con valori di capitalizzazione di mercato per ettaro che variano da $300 a $900, valori che offrono un significativo potenziale di apprezzamento nel medio-lungo termine. Tuttavia, ci sono vari aspetti negativi da considerare. Innanzitutto, anche se alcune di esse sono quotate in UK, Germania o Svezia (più spesso in Russia e Polonia), la loro liquidità rimane molto bassa, oltre ad avere website con pochissime informazioni finanziarie in inglese. In secondo luogo, ma di gran lunga più importatane, è il loro cash burn, ovvero quanto possono durare le disponibilità finanziarie al ritmo attuale di generazione di flussi di cassa negativi. Questa metrica è fondamentale in qualsiasi investimento, ed a maggior ragione in queste situazioni: la sicurezza di vedersi restituire il capitale investito ha sempre la precedenza su comprare qualcosa a prezzo di saldo. Il problema di un interessante tema di investimento nel lungo periodo è infatti il breve periodo! Troppo spesso gli investitori ignorano le perdite correnti focalizzandosi sul radioso futuro; ma questi fattori possono essere fatali se l’azienda non supera dal punto di vista finanziario la fase di sviluppo (ed è esattamente quello che è successo a molte di queste società agricole negli ultimi 12 mesi, che sono state delistate dai mercati sui quali erano quotate). A mio giudizio, questi investimenti sono al momento troppo rischiosi: con il miglioramento degli standard di trasparenza e governance, potrei riconsiderare queste aziende in futuro.

Pesando tutti i fattori (prezzi, produttività, accesso ai mercati finanziari, rischio paese, etc.) i migliori terreni da coltivazione sono probabilmente in Canada. Sfortunatamente, non ci sono aziende agricole canadesi quotate. Una soluzione alternativa potrebbe essere Sprott Resources (SCP:CN) attraverso la sua partecipazione in One Earth Farms, che potrebbe essere oggetto di uno spin-off in futuro. 

Foreste e legname 

I prezzi dei terreni forestali sono stati sorprendentemente stabili a seguito dalla recente crisi finanziaria, una conferma che possono offrire rendimenti costanti e resistenti all’inflazione a patto che si possa sopportare la loro illiquidità.

Nel settore forestale ci sono molte più aziende quotate: la tipica società ha (aveva?) un modello di business integrato, che comprende una foresta, una segheria e le operazioni di produzione di legname e carta. Dal punto di vista accademico questo modello verticale ha perfettamente senso, ma non ha prospettive: tutto quello in cui il management di un’azienda come questa è interessato è ovviamente tagliare, tagliare e tagliare ancora, senza alcuna considerazione per il prezzo di mercato. Quando si ha un asset che si può lasciare tranquillo per anni e che nel frattempo aumenta di valore, le decisioni di breve periodo (tagliare per mantenere la produzione) sono completamente sbagliate dal punto di vista della creazione di valore per gli azionisti. 

Fortunatamente, il trend recente è stato quello di invertire questa integrazione, separando i tratti di foresta dalle altre attività. Purtroppo, mentre da un lato questo ha fatto realizzare il valore delle foreste, la trasformazione in REIT (Real Estate Investment Trust) ha creato un nuovo imperativo, ovvero quello di continuare ad offrire sostanziosi dividendi agli azionisti.

La maggior parte di queste società sono quotate in Nord America, tre le quali ci sono Weyerhaeuser (WY:US), Rayonier (RYN:US), Plum Creek Timber (PCL:US), Potlatch (PCH:US), Deltic Timber (DEL:US), Canfor (CFP:CN) e West Fraser Timber (WFT:CN). Attenzione però a quelle che appaiono di stampo anglosassone ma sono tutt’altro (qualcuno ricorda la truffa di Sino-Forest?).

La mia preferenza è decisamente per le società (o fondi) che sono un pure play sullo sviluppo di terreni forestali (ovvero senza le attività a valle di prodotti del legname e della carta). Di nuovo, però, il problema è spesso la mancanza di flussi di cassa. Le spese devono essere contenute, e l’azienda deve avere accesso a finanziamenti costanti (o almeno avere legname maturo da utilizzare come garanzia). Due classici esempi sono Precious Woods (PRWN:SW, oggi delistata dalla borsa svizzera e trattata solo OTC) e Rusforest (RUSF:SS, che ha fatto tre ricapitalizzazioni nel 2010, 2012 e 2013!): entrambe hanno appezzamenti di foreste di gran valore, ma non sono state in grado di finanziare le proprie attività e di conseguenza non sorprende il calo del 99% nel loro prezzo. Phaunos Timber Fund (PTF:LN) e Cambium Global Timberland (TREE:LN, in fase di liquidazione) sono dei fondi globali che soffrono di una versione leggermente più lieve dello stesso problema: anche se sembrano trattare a sconto rispetto al NAV, hanno la necessità di ricorrere ad aumenti di capitale e/o dismissione di assets per poter continuare l’operatività. 

Piantagioni 
Non è chiaro se le piantagioni siano più terreni da raccolto o foreste, ma sono tipicamente considerate una categoria a parte: in genere dipende dal tipo di coltivazione, che include olio di palma e gomma ma anche agrumi, cacao, zucchero, tè, … I prezzi dei terreni da piantagione sono spesso un multiplo di quelli agricoli tradizionali, in particolare nelle zone del mondo dove queste coltivazioni sono più frequenti: prezzi di $5.000/$10.000 per acro non sono fuori dall’ordinario in Asia, Africa ed America Latina (lo stesso avviene ad esempio in Italia per i terreni migliori per la produzione del vino).

Le società di piantagioni tendono ad essere più mature e stabili, di solito originate da un retaggio coloniale di una qualche vecchia potenza europea. Sono spesso aziende ben gestire, in maniera conservativa, con flussi di cassa positivi (a meno che non siano in una fase di accrescimento della superficie disponibile), hanno raccolti molto produttivi e non di rado pagano un dividendo! Il prezzo dei loro prodotti è mediamente salito negli ultimi 5-10 anni, motivo per il quale oggi la loro situazioni patrimoniale è alquanto solida. Queste aziende stanno ottenendo sempre più visibilità da parte degli investitori, anche se i più conservativi tra di essi sono spesso intimiditi dalla loro collocazione geografica, più che dalle loro caratteristiche. [Il che porta tuttavia a domandarsi: è più rischiosa una piantagione in Asia o una banca a Wall Street?] 

MP Evans (MPE:LN), New Britain Palm Oil (NBPO:LN), REA Holdings (RE/:LN), Asian Plantations (PALM:LN) e Anglo-Eastern Plantations (AEP:LN) sono tutti produttori di olio di palma, gomma e cacao quotati alla borsa londinese e con operazioni nel sud-est asiatico, mentre Equatorial Palm Oil (PAL:LN), sempre quotata a Londra, conduce le stesse attività in Africa occidentale.

Spostandoci direttamente in Asia, il centro finanziario principale è Singapore, dove sono quotate tra le altre Wilmar (WIL:SP), Golden Agri-Resources (GGR:SP), GMG Global (GGL:SP) e First Resources (FR:SP), tutte impegnate in un mix di produzione e raffinazione dell’olio di palma, oltre a gomma e cacao. Un altro paese con aziende simili è l’Indonesia con Sampoerna Agro (SGRO:IJ), United Plantations (UPB:DC, quotata però in Danimarca), London Sumatra Indonesia (LSIP:IJ), Salim Ivomas Pratama (SIMP:IJ) e Astra Agro Lestari (AALI:IJ).

Nell’Eurozona ci sono altre due società di origine coloniale, la francese Société Internationale de Plantations d'Hévéas (SIPH:FP) e la belga Sipef (SIP:BB): la prima possiede piantagioni di gomma in Africa, mentre la seconda si concentra su olio di palma, gomma, tè e banane sia in Africa che in Indonesia. 

Camellia (CAM:LN) si occupa invece di piantagioni di tè (India), noci macadamia/ananas/avocado (Africa), mais/soia/orzo (Brasile) e pistacchi/limoni (California), mentre Cosan (CZZ:US), società brasiliana quotata al NYSE, è uno dei maggiori produttori mondiali di zucchero (anche se, come spesso accade alle conglomerate brasiliane, è attiva anche in altri settori come energia ed infrastrutture). Altri nomi sono quelli di Limoneira (LMNR:US), uno dei maggiori produttori di agrumi negli US, e Asian Citrus Holdings (ACHL:LN), quotata a Londra ma con piantagioni di arance in Cina. [Nota: non ho nemmeno preso in considerazione quella miriade di azienducole cinesi, molte delle quali non sono investibili o sono semplicemente frodi, come ad esempio Chaoda Modern Agricolture.] 

Il settore del vino e dei vigneti è tipicamente dominato da aziende private e dai giganti mondiali delle bevande alcoliche, dove però il segmento del vino è spesso marginale rispetto a quelli di birra e liquori. Una delle poche aziende pure disponibili è l’australiana Treasury Wine Estates (TWE:AU), che si presenta come la più grande azienda al mondo attiva esclusivamente nel settore viticolo.

Tutte queste aziende non sono difficili da analizzare e valutare, ed a dispetto della locazione geografica sono molto solide e mature. L’altro lato della medaglia è che le valutazioni delle loro terre non sono a buon mercato, e questo si riflette nei prezzi di mercato. 

Bestiame / pollame / uova 
Assumendo un livello minimo di qualità e sicurezza biologica, la produzione di pollame ed uova si riduce essenzialmente ad una questione di costi: i produttori con le migliorie economie di scala ed i costi più bassi sono destinati a dominare il mercato. Un numero crescente di produttori dell’Est Europa ha finalmente raggiunto le dimensioni e la qualità necessaria per poter esportare e competere sui mercati internazionali. I produttori brasiliani e messicani potranno continuare a mantenere un vantaggio nel mercato americano, ma il resto del mondo (Europa in particolare) è oggi terreno di conquista per le aziende russe ed ucraine.

Dal un punto di vista puramente finanziario, le differenze tra le due regioni non potrebbero essere più marcate: le aziende americane (sia nord che sud), che preferiscono basarsi su accordi con piccoli produttori indipendenti ed hanno uno svantaggio di costi di produzione, trattano non di meno a multipli di gran lunga superiori. Un semplice paragone tra Cal-Maine Foods (CALM:US) e Avangardco (AVGR:LI), probabilmente i due maggiori produttori di uova a livello mondiale, illustra chiaramente quanto detto: la prima (azienda americana) tratta a 18x gli utili, la seconda (ucraina ma quotata a Londra) a meno di 3x (!!!).

Altre aziende sono Industrias Bachoco (IBA:US), produttore messicano di uova e pollame, e Pilgrim’s Pride (PPC:US), controllata al 75% dalla brasiliana JBS (JBSAY:US), attiva soprattutto nel settore della carne di manzo. Per quel che riguarda altri settori, Smithfield Foods (SFD:US) alleva e macella maiali, mentre Australian Agricultural Co. (AAC:AU), a dispetto del nome, si occupa di allevamenti di bestiame e di carne bovina. Un modo indiretto per beneficiare dell’aumento di domanda mondiale di carne potrebbe essere di investire nei produttori di mangime per allevamenti, come ad esempio l’olandese Nutreco (NUO:NA). 

Pesca ed acquicoltura 
Il pesce è un’ottima fonte di proteine, economica e salutare. Negli ultimi 50 anni l’industrializzazione della pesca d’altura ha decimato fino al 90% della popolazione di grandi pesci (tonni, marlin, merluzzi, halibut, …). Questo dovrebbe portare al rapido aumento dei prezzi di quelli rimasti, anche se l’allevamento intensivo in cattività ha dei vantaggi dal punto di vista dei costi. Alcune aziende improntate alla pesca d’alto mare (tutte norvegesi) includono: Austevoll Seafood (AUSS:NO), Havfisk (HFISK:NO) e Copeinca (COP:NO) (specializzata in acciughe).

L’acquicoltura, dall’altro lato, sembra molto promettente, offrendo lo stesso tipo di produzione economica ed intensiva dell’industria del pollame, ma con meno problemi dal punto di vista ambientale e delle condizioni di vita dei pesci. Fino ad oggi, questa industria si è proposta come produttrice di un cibo di alta qualità ma adatto tutti i giorni. Con l’incremento nella produttività, miglior sicurezza biologica ed l’aumento della domanda dai mercati emergenti (il pesce continua a guadagnare una fetta sempre maggiore dell’offerta di proteine a basso costo), l’enfasi sarà sempre più sui volumi. Questo implica necessariamente prezzi più aggressivi, ma la maggiore produttività ed il consolidamento delle attività nel settore dovrebbero più che compensare la riduzione dei prezzi. Se questo succederà, saranno ovviamente le società più grandi e solide ad uscirne vincitrici.

Quest’ultimo è un punto importante: il settore oscilla saltuariamente tra surplus e deficit – ad esempio, nel periodo 2011-2012 si è assistito ad un collasso del 50% nel prezzo dei salmoni norvegesi. L’altro problema sono le periodiche epidemie di virus, che portano a distruzioni forzate delle scorte. Questi possono sembrare ostacoli minori sulla strada della crescita, ma ci ricordano anche che è meglio focalizzarsi su aziende con poco (meglio niente) debito per assorbire questa volatilità.

Questo è un settore interessante e potenzialmente molto redditizio quale investimento di lungo periodo. Di nuovo, la maggior parte delle aziende sono norvegesi, le cui migliori sembrano essere: Marine Harvest (MHG:NO), Leroy Seafood (LSG:NO), Cermaq (CEQ:NO), Grieg Seafood (GSF:NO), Salmar (SALM:NO) e Bakkafrost (BAKKA:NO). 

Acqua 
L’acqua, pura e semplice, è un altro dei sogni proibiti dei dipartimenti marketing delle società di gestione: basta fare leva sulla scarsità del bene a livello mondiale, ma allo stesso tempo sulla sua necessità (soprattutto nei paesi più poveri) ed ecco lo strumento perfetto su cui puntare. Smontare un ETF dedicato all’acqua sarebbe un esercizio interessante, ma probabilmente una duplicazione di quanto fatto nel post precedente per i fondi/ETF azionari dedicati all’agricoltura. Creare un portafoglio di titoli in questo settore è molto semplice, basta includere qualsiasi cosa sia anche vagamente collegata al tema in questione: per gli ETF relativi all’acqua questo si riduce alle utilities, in particolare quando si notano le loro grandi capitalizzazioni di mercato (non che ce l’abbia in particolar modo con questa società, ma controllate qui le principali posizioni di uno di questi fondi; altri esempi qui e qui).

L’idea che si possa beneficiare dal tema della scarsità dell’acqua investendo in utilities è per lo meno bizzarra: un aumento nel prezzo/costo dell’acqua sarà per loro dannoso, non un beneficio, perché qualsiasi governo impedirà loro di aumentare i prezzi ai clienti finali. Ed anche il processo, tanto sbandierato, di desalinizzazione ricorda un po’ il boom-and-bust dell’etanolo alcuni anni fa: uno spreco enorme di risorse quando esistono altri approcci più sensati.

Forse l’unico modo per avere un vero potenziale è investire in aziende che hanno i diritti di sfruttamento delle riserve acquifere. Ho trovato solo 2 aziende americane che ricadono in questo segmento: Pico Holdings (PICO:US) e Cadiz (CDZI:US). Queste potrebbero effettivamente avere prospettive interessanti, ma non aspettatevi di vincere il Superenalotto: profitti eccessivi porterebbero di nuovo ad interventi ed interferenze dei governi. 

That’s all, folks! Spero che abbiate apprezzato questa panoramica sui possibili, potenziali investimenti in agricoltura, sui pro e contro dei vari strumenti disponibili sul mercato e sulle possibilità in ogni segmento. Ritengo che le opportunità di lungo periodo e la diversificazione che il settore agricolo offre lo rendano adatto a (quasi) tutti i portafogli. Quello che rimane fondamentale, come in ogni investimento, è capire le caratteristiche ed i rischi associati ad ognuno di essi, e soprattutto non pagare una cifra eccessiva per una (presunta) crescita futura che potrebbe o non potrebbe esserci.

Detto questo, buona fortuna!

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