Come visto nel post precedente, il valore del brand deriva dal ridurre i costi di ricerca per i consumatori. Un modello che è divenuto sempre più forte negli ultimi 20 anni è quello nel quale è il distributore, e non il produttore, ad assumere questo ruolo.
lunedì 25 settembre 2017
giovedì 21 settembre 2017
“Battle of the brands” (parte I)
Il brand è spesso una parte fondamentale del valore di un’azienda ed anche se oggi sembrano una componente naturale dei sistemi economici, sono in realtà relativamente recenti. Alla fine del 1800 le aziende che producevano cibo in scatola si accorsero che creandosi una reputazione per la qualità i consumatori erano disposti a pagare un premio per evitare il rischio di trovare cibo avariato come era comune all’epoca. Negli anni 1950 e 1960 poi, come mostrato in maniera eccellente dalla serie “Mad Men”, le agenzie pubblicitarie convinsero le aziende a differenziarsi dai concorrenti con massicce campagne pubblicitarie, perché in un mercato competitivo con prodotti non così diversi era essenziale fidelizzare i consumatori. I giganti dei beni di consumo (Nestlè, Unilever, Kraft Heinz, Coca-Cola, Pepsi, Colgate Palmolive, Procter & Gamble, solo per citarne alcuni) hanno per svariate decadi garantito elevati rendimenti proprio grazie alla presenza di formidabili barriere: brand loyalty, economie di scala e necessità di avere spazio sugli scaffali dei supermercati hanno di fatto impedito a potenziali nuovi entranti di sfidare il loro dominio.
lunedì 11 settembre 2017
Free cash flows: Amazon edition
[Nota: questo post non vuole insinuare che i dati di Amazon siano “truccati”: al contrario, i bilanci seguono i principi US GAAP e tutte le voci sono ben spiegate. E nemmeno vuole implicare che il futuro dell’azienda sia in declino: il suo moat rimane uno dei più forti al mondo. Men che meno significa che io abbia una qualche idea di dove sarà il prezzo di mercato tra un mese.]
Questo articolo di FT-Alphaville (“Is Amazonification real?”) solleva alcune interessanti questioni. Al di là delle considerazioni sulla crescita di e-commerce ed i relativi costi e margini, quelle che mi hanno interessato di più sono queste:
Questo articolo di FT-Alphaville (“Is Amazonification real?”) solleva alcune interessanti questioni. Al di là delle considerazioni sulla crescita di e-commerce ed i relativi costi e margini, quelle che mi hanno interessato di più sono queste:
giovedì 7 settembre 2017
Bitcoin Investment Trust
[Nota: questo post non fa riferimento alle caratteristiche di Bitcoin ed al suo successo come valuta digitale, quanto ad un investimento/veicolo specifico]
Bitcoin Investment Trust (GBTC US) è un fondo quotato (su OTCMarkets, anche se è in progetto di spostarlo su NYSE Arca) che, al costo di una commissione annuale di 2%, permette di prendere esposizione sul valore di Bitcoin senza dover investire direttamente nella valuta digitale. Esiste anche un Ethereum Classic Investment Trust, che per il momento non è quotato ed è riservato ad accredited investors.
Bitcoin Investment Trust (GBTC US) è un fondo quotato (su OTCMarkets, anche se è in progetto di spostarlo su NYSE Arca) che, al costo di una commissione annuale di 2%, permette di prendere esposizione sul valore di Bitcoin senza dover investire direttamente nella valuta digitale. Esiste anche un Ethereum Classic Investment Trust, che per il momento non è quotato ed è riservato ad accredited investors.
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