Alcune precisazioni sul post precedente. Il riferimento alla sostenibilità dei dividendi delle oil majors era da intendersi nel contesto della metrica utilizzata da GMO, non in senso assoluto. Ho utilizzato l’esempio di Royal Dutch Shell perché con una capitalizzazione di $200 miliardi ed uno dei dividend yield più alti è in un certo senso rappresentativa del settore, non perché abbia una qualche intuizione particolare se il dividendo sarà tagliato o meno.
lunedì 26 settembre 2016
giovedì 22 settembre 2016
“Don’t be a yield pig”: il caso delle MLP
Le Master Limited Partnership (MLP) sono limited partnership quotate su un mercato regolamentato (il titolo del post viene invece da un articolo di Seth Klarman del 1992).
Queste strutture sono molto popolari tra gli investitori retail (si stima che posseggano circa il 65% delle MLP quotate in Borsa), soprattutto per gli elevati dividendi che pagano: le loro distribuzioni sono quasi tre volte quello che offrono altri investimenti.
Queste strutture sono molto popolari tra gli investitori retail (si stima che posseggano circa il 65% delle MLP quotate in Borsa), soprattutto per gli elevati dividendi che pagano: le loro distribuzioni sono quasi tre volte quello che offrono altri investimenti.
lunedì 19 settembre 2016
Perché le aziende energetiche non sono così a buon mercato come sembra
Uno degli argomenti più discussi negli ultimi giorni è stato un sempre interessante report di GMO (“An Investment Only a Mother Could Love: The Case for Natural Resource Equities”), e non è la prima volta che Jeremy Grantham si sbilancia sul settore delle risorse naturali.
Etichette:
commodities,
debito,
dividend yield,
EBITDA,
EV/EBITDA,
oil & gas,
P/BV,
P/E,
petrolio
lunedì 12 settembre 2016
Shipping – follow-up
Il post sull’industria dello shipping è stato quasi profetico: la coreana Hanjin Shipping, settima azienda mondiale per dimensioni, ha infatti dichiarato bancarotta, il maggior fallimento di sempre nel settore. Con questa sono 4 le società che sono fallite (o sono vicine a farlo) negli ultimi mesi.
Il problema, come evidenziato nel post precedente, rimane l’eccesso di offerta, anche se pensavo che i guai peggiori li avrebbero avuti i costruttori di navi (forse seguiranno a breve). Nonostante il processo di consolidamento (la francese CMA CGM ha comprato Neptune Orient, la tedesca Hapag-Lloyd si sta fondendo con United Arab Shipping, due aziende cinesi si sono unite per formare China Cosco Shipping Corp.) ed i recenti fallimenti, la stazza disponibile è ulteriormente aumentata nel 2016. La conseguenza più ovvia è che un quinto della flotta disponibile è ferma nei porti.
È vero che i tassi per spedire un container sono risaliti dai minimi di $600 fino a $1.400: ma se anche il leader mondiale Maersk, nonostante tutti gli sforzi per ridurli, ha ancora costi medi di circa $2.000 (pag. 7 della presentazione dei risultati del secondo trimestre), è difficile vedere come queste aziende possano rimanere a galla.
La strada più breve per ritornare alla redditività sarebbe quella di rottamare alcune navi: possibile (visto che 80% della flotta mondiale fa capo a 3 cartelli) ma difficile, perché nessuno vorrà essere la prima a cominciare. Purtroppo è prevedibile che ci saranno ulteriori write-down, ristrutturazioni e fallimenti.
Il problema, come evidenziato nel post precedente, rimane l’eccesso di offerta, anche se pensavo che i guai peggiori li avrebbero avuti i costruttori di navi (forse seguiranno a breve). Nonostante il processo di consolidamento (la francese CMA CGM ha comprato Neptune Orient, la tedesca Hapag-Lloyd si sta fondendo con United Arab Shipping, due aziende cinesi si sono unite per formare China Cosco Shipping Corp.) ed i recenti fallimenti, la stazza disponibile è ulteriormente aumentata nel 2016. La conseguenza più ovvia è che un quinto della flotta disponibile è ferma nei porti.
È vero che i tassi per spedire un container sono risaliti dai minimi di $600 fino a $1.400: ma se anche il leader mondiale Maersk, nonostante tutti gli sforzi per ridurli, ha ancora costi medi di circa $2.000 (pag. 7 della presentazione dei risultati del secondo trimestre), è difficile vedere come queste aziende possano rimanere a galla.
La strada più breve per ritornare alla redditività sarebbe quella di rottamare alcune navi: possibile (visto che 80% della flotta mondiale fa capo a 3 cartelli) ma difficile, perché nessuno vorrà essere la prima a cominciare. Purtroppo è prevedibile che ci saranno ulteriori write-down, ristrutturazioni e fallimenti.
mercoledì 7 settembre 2016
Asset allocation: cosa ci riserva il futuro?
Il grafico sottostante, preso da una presentazione di JP Morgan Asset Management, illustra il range di rendimenti storici che i mercati hanno offerto: dal 1950 le azioni hanno prodotto qualcosa più di 11% annuo; le obbligazioni governative 6%. In termini di rendimenti per i prossimi anni, è poco probabile attendersi questi valori.
lunedì 5 settembre 2016
Blind stock valuation: risultati
Come promesso, ecco i risultati dell’esperimento.
Innanzitutto, grazie mille a tutti quelli che hanno partecipato: non ho ricevuto moltissime risposte (8), e quindi il campione non è statisticamente molto significativo, ma si possono comunque trarre alcune conclusioni. Tra coloro che hanno indicato anche la metodologia utilizzata per arrivare al valore intrinseco, vi è una prevalenza di discounted cash flow (DCF) o sue variazioni, ma sono stati usati anche i multipli.
Innanzitutto, grazie mille a tutti quelli che hanno partecipato: non ho ricevuto moltissime risposte (8), e quindi il campione non è statisticamente molto significativo, ma si possono comunque trarre alcune conclusioni. Tra coloro che hanno indicato anche la metodologia utilizzata per arrivare al valore intrinseco, vi è una prevalenza di discounted cash flow (DCF) o sue variazioni, ma sono stati usati anche i multipli.
giovedì 1 settembre 2016
Capital allocation (IV) – Roll-up e crescita per acquisizioni
Nella lettera agli azionisti di Pershing Square per il 2015, Bill Ackman ha ammesso che uno dei “pochi” errori che ha commesso è stata quello di assegnare troppo platform value ad alcune delle aziende nelle quali ha investito (gli altri fattori che hanno contribuito alla performance negativa, ai quali sono dedicate ben 7 pagine, sono stati ovviamente classificati come esterni al suo controllo). Cos’è dunque questo platform value?
Iscriviti a:
Post (Atom)