venerdì 21 febbraio 2020

Start-ups

Qualche giorno fa il fondo T.Rowe Price Mid-Cap Growth ha pubblicato il suo report annuale: niente di eccezionale, lo fanno tutti i fondi, spesso con una discussione di quali investimenti sono andati bene e quali invece no.

Molto interessante è la spiegazione di cosa sia andato storto nell’investimento in WeWork:

“In 2014, we made a small private investment in this upstart provider of amenity-rich office space that, unfortunately, has since caused us outsized headaches and disappointments. Explicit in our investment was an understanding with WeWork’s management that they would slow the company’s blistering pace of growth and focus instead on developing a more sustainable business strategy. They took our advice for a few months, but new investors soon arrived who convinced management to put its foot back on the accelerator.

Massive losses soon followed, but the CEO promised profitability was just over the horizon. We did not take him at his word, and we communicated to WeWork’s management and board our displeasure with its eroding corporate governance. In 2017 and again in 2019, we sold stock in tenders totaling about 16% of our shares and 50% of our initial investment. We also had a tentative deal to sell our remaining shares to a large investor in early 2019. Unfortunately, WeWork’s management had to approve the transaction, and they refused. In the wake of intense public scrutiny, WeWork abandoned its IPO plans this fall, leaving our remaining shares worth a fraction of their earlier valuation.

While it’s possible that WeWork’s new management will improve operations somewhat, we are ready to declare this a terrible investment. […] In short, we believe the WeWork debacle was an error in judgment, not in process.

martedì 18 febbraio 2020

Seth Klarman

Ho sempre avuto una passione per Seth Klarman, non solo perché Baupost ha un eccellente track record secondo come lunghezza e continuità di risultati soltanto a Berkshire Hathaway. Ma soprattutto per il suo approccio contrarian (distressed corporate debt, deep value, post-arbitrage) e per la sua capacità di comprendere e valutare situazioni complesse, cosa che invece a me manca.

mercoledì 12 febbraio 2020

Aziende petrolifere: cosa sta succedendo?

Con molta volatilità, dall’inizio del 2016 il prezzo del petrolio (WTI) è salito più o meno di 40%, mentre SPDR S&P Oil & Gas Exploration & Production ETF (XOP:US) è sceso di 40%.

Ribilanciati a 100 al 31 dicembre 2015. Le performance riflettono solo i movimenti di prezzo e non i dividendi.

giovedì 6 febbraio 2020

Un veloce aggiornamento su Casper

Casper, l’autoproclamata leader della sleep economy, ha annunciato il prezzo della sua IPO, ridotto dalla forchetta iniziale di $17-$19 a $12: dovrebbe cominciare a trattare oggi con il simbolo CSPR.

A questo prezzo la capitalizzazione complessiva è di circa $475 milioni, inferiore ai $700-$750 milioni previsti dalla prima offerta e molto lontana dai $1,1 miliardi ai quali era stata valutata privatamente solo pochi mesi fa. Evidentemente quotarsi velocemente è più importante che stabilizzare il business e produrre profitti.

Vedremo quale sarà la reazione iniziale del mercato, ma sembra un altro unicorno che non ha imparato a volare.

mercoledì 5 febbraio 2020

Un veloce aggiornamento su Deutsche Bank

Non certo una priorità, ma mi sembrava corretto aggiornare dal post precedente a seguito della pubblicazione dei risultati per il 2019 (li potete trovare qui).

DBK continua a fare quello che “deve”, ovvero riparare lo stato patrimoniale e rafforzare il proprio capitale: i risk-weighted assets sono diminuiti di 8% ed il CET1 è un rispettabile 13,6%.

Il problema rimane che anche rimuovendo i costi di ristrutturazione e gli impairment del goodwill, continua a non fare soldi, con una perdita pre-tasse di circa €1 miliardo. Con i ricavi che continuano a contrarsi (vedere la discussione nel post precedente), il cost income ratio rimane ostinatamente superiore a 90% (addirittura 101% nel 2019), con i costi del personale che negli ultimi 5 anni sono passati da 40% dei ricavi a ben 50% (per un confronto, sia Intesa che Unicredit sono oggi attorno a 35%). DBK è uno dei pochi esempi negli ultimi 20-30 anni dove il “lavoro” ha guadagnato molto più del “capitale”

L’ultima decade è stata senz’altro a vantaggio dei creditori: deleveraging, più (e miglior) capitale, vendita di attività, riduzione dei costi. Tutto guidato dai regolatori, che non hanno esitato a “far fallire le banche” (nel significato moderno del termine) quando gli azionisti non hanno voluto metterci altri soldi.

Con alcune eccezioni per quelle più piccole e specializzate, questo vale grosso modo per tutte le grandi banche europee: è difficile vedere come la prossima decade possa essere quella degli azionisti.