giovedì 1 settembre 2016

Capital allocation (IV) – Roll-up e crescita per acquisizioni

Nella lettera agli azionisti di Pershing Square per il 2015, Bill Ackman ha ammesso che uno dei “pochi” errori che ha commesso è stata quello di assegnare troppo platform value ad alcune delle aziende nelle quali ha investito (gli altri fattori che hanno contribuito alla performance negativa, ai quali sono dedicate ben 7 pagine, sono stati ovviamente classificati come esterni al suo controllo). Cos’è dunque questo platform value?

Il concetto è stato discusso dallo stesso Ackman in due presentazioni (The Outsider: Perspectives from Allergan’s Largest Shareholder e 45x): in breve, si tratta dell’abilità del management di eseguire acquisizioni value-enhancing:

“[…] investors should consider both the earnings potential of the company’s asset base, as well as the potential to generate additional earnings through future, value-enhancing investments.” (pag. 23 della presentazione 45x)
Utilizzare le tradizionali metriche come P/E o EV/EBIT sottovaluta queste platform companies: occorre aggiungere questo valore immateriale da accordare a quei manager che hanno dimostrato nel corso del tempo di essere in grado di fare acquisizioni intelligenti. In fondo non è molto diverso da quello che si fa quando si investe in Berkshire Hathaway: quale “premio” assegniamo alla capacità di Buffett di continuare a fare investimenti mirati a prezzi vantaggiosi?

Solo che Ackman è andato oltre, cercando di quantificare in maniera precisa questo premio: nel caso specifico di Valeant ha calcolato che la creazione di valore in una tipica acquisizione era pari a ben 98% del prezzo pagato!


Fonte: slide 97 della presentazione Allergan. 

È tuttavia interessante notare come la quasi totalità del “presunto” valore aggiunto derivi da una drastica riduzione delle spese per R&D (la strategia di Valeant non è mai stata di scoprire nuove medicine, ma di comprare brevetti esistenti ed aumentarne il prezzo in maniera esponenziale) e dall’ottimizzazione della tassazione (ad esempio attraverso una tax inversion già utilizzata nel settore farmaceutico da Mylan, Actavis, Perrigo, …).

Come sappiamo, la realtà non ha poi rispecchiato questa situazione ideale, e due altri investimenti di Pershing Square che hanno incontrato esattamente gli stessi problemi sono Platform Specialty Products e Nomad Foods. Ackman è stato costretto ad ammettere che:

“[…] We believe that platform value is real, but, as we have been painfully reminded, it is a much more ephemeral form of value than pharmaceutical products, operating businesses, real estate, or other assets as it depends on access to low-cost capital, uniquely talented members of management, and the pricing environment for transactions.”
Platform value è soltanto un modo più cool per indicare la crescita attesa (come “tactical asset allocation” è lo stesso di “market timing”, solo che sembra più professionale nelle brochure delle SGR e qualcosa per la quale valga pagare di più…): queste aziende meritano un premio semplicemente perché hanno tassi di crescita “potenziali” superiori al resto del mercato. Ed è proprio qui che la teoria incontra il principale ostacolo: proiettare i tassi di crescita nel lungo termine è un esercizio molto complicato. Non solo: più un’azienda cresce e più difficile diviene mantenere una crescita elevata. Essere scettici sui benefici della crescita futura è uno dei principi cardine del value investing. 

Questa eccellente presentazione di JHL Capital mostra come la passione per le moderne platform companies non sia affatto nuova ed abbia invece le stesse identiche caratteristiche del ciclo di boom&bust delle conglomerate negli anni 1960. Come allora, i fattori alla base del boom sono stati i bassi tassi d’interesse (che riducono il costo del capitale e spingono gli investitori verso assets più rischiosi), un crescita debole in gran parte del mercato, e la fissazione degli investitori per l’aumento degli utili (senza considerare come questo sia ottenuto). Tutti gli esempi riportati nella presentazione dimostrano il valore effimero della crescita per M&A, soprattutto quando questa è l’unica strategia a disposizione del management.

Ma c’è qualche speranza!
Quanto detto non significa che un’azienda che cresce velocemente attraverso acquisizioni sia necessariamente meno attraente di altre. L’intero dibattito può essere semplificato ritornando al primo post di questa serie: alcune aziende, alcuni manager riescono a creare valore grazie ad un’oculata allocazione del capitale, e tra di queste rientrano sicuramente le acquisizioni. Quello che contraddistingue una strategia di M&A fallimentare è: 1) acquisire aziende o assets mediocri; 2) pagare troppo; o 3) usare troppo debito (Valeant è in gran parte colpevole di tutti questi 3 peccati).

Nei settori di sviluppo software o engineering consulting, ad esempio, quasi tutte le aziende crescono attraverso acquisizioni mirate di competitors piccoli, medi e grandi. La domanda che uno potrebbe porsi è: perché non assumere direttamente 100-200 nuovi programmatori/ingegneri, magari scegliendoli proprio tra i migliori che lavorano per i competitors, anziché pagare un sostanzioso premio per acquisire tutta l’azienda?

Il motivo è nelle forti relazioni con i clienti finali. Non vi è ovviamente una certezza, ma se i prezzi per i servizi offerti sono equi e la qualità del lavoro svolto è elevata, l’azienda continuerà a ricevere business ripetuto. Ci sono infatti enormi barriere all’uscita (moat): i servizi e/o software utilizzati sono così integrati nei processi del cliente che il costo di cambiare (in termini di tempi, training, …) è superiore ai potenziali benefici. Semplicemente assumere un gruppo di ingegneri porterebbe senz’altro le loro skills, ma non la relazione con il cliente, che è quello che determina gran parte della redditività in questi settori. Quindi pagare un premio per acquistare tutta l’azienda (ed i suoi intangibles) è spesso una strategia di crescita superiore rispetto ad investire per creare una nuova start-up [NB: la variabile dalla quale non si può prescindere rimane comunque la disciplina nel prezzo di acquisto].

Simili considerazioni possono essere fatte per le stazioni di servizio (o per i fast-food). Supponiamo di possedere 10 stazioni di servizio in un’area metropolitana: queste sono molto redditizie, ma il traffico è già elevato e la crescita organica è ridotta. Cercare di aumentare i ricavi vendendo caffè ed altri prodotti è già stato fatto, ed è improbabile che raddoppiare le spese di marketing porti ad un aumento nella domanda tale da giustificarle. Quindi abbiamo quella che viene definita una cash cow, ma l’unico modo per crescere è costruire nuove stazioni al di fuori dell’area metropolitana (dove il traffico è però inferiore e quindi il rendimento dell’investimento minore) oppure acquistarne di esistenti nelle vicinanze. Se facciamo bene i conti sui profitti attesi, il nostro costo del capitale, etc…, le acquisizioni sono il modo più intelligente per accrescere il nostro business. Passare da 10 a 15, e poi 20, 50 stazioni fa emergere le sinergie che rendono la crescita per acquisizioni ancora più attraente di quello che può sembrare all’inizio per il proprietario di una singola stazione.

Quando si valutano acquirenti seriali, il “segreto” è nel cercare di capire perché viene perseguita questa strategia di crescita e qual è il rendimento atteso dalle operazioni di M&A.

4 commenti:

  1. Trovato in parte ispirazione da J.P. Donville (ROE Reporter)? :)

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    1. La parte sulle aziende software e stazioni di servizio, si.

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    2. va a finire che leggiamo un po' tutti le stesse cose (mio timore)
      http://montesolcapital.com/the-noblest-pursuit/ (chissà...probabilmente lo avrai già letto :) )
      Come sempre, complimenti per il blog

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    3. le fonti attendibili e che vale la pena leggere non sono poi così tante

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