mercoledì 24 agosto 2016

Capital allocation (III): Mal-investimenti nell’industria dello shipping

Quest’articolo di Bloomberg sull’industria dello shipping illustra in maniera eccellente il ciclo del capitale.

Si tratta di un settore con significativi benefici di scala: più le navi diventano grandi, minori sono i costi unitati. Ed infatti questo è proprio quello che è successo nelle ultime tre decadi grazie alla globalizzazione ed all’aumento dei commerci. Ma come per (praticamente tutti) i fenomeni economici, esiste il problema dell’utilità marginale decrescente:

“A study last year by the OECD found that economies of scale from today’s mega-boats are four to six times smaller than those in previous periods of upsizing. Around 60 percent of cost savings now comes from engine technologies. In other words: Building smaller boats with better engines would offer more savings than going bigger.”
Non solo: secondo l’articolo i benefici marginali di navi sempre più grandi potrebbero essere non solo in diminuzione, ma addirittura negativi:
“Then there’s risk. Today’s largest container vessels can cost $200 million and carry many thousands of containers - potentially creating $1 billion in concentrated, floating risk that can only dock at a handful of the world’s biggest ports. Such boats make prime targets for cyberattacks and terrorism, suffer from a dearth of qualified personnel to operate them, and are subject to huge insurance premiums
E questi sono solo i costi diretti: con le navi che diventano sempre più giganti, aumentano anche i costi fissi delle infrastrutture:
“Yet the biggest costs associated with these floating behemoths are on land - at the ports that are scrambling to accommodate them. New cranes, taller bridges, environmentally perilous dredging, and even wholesale reconfiguration of container yards are just some of the costly disruptions. […] Even when taxpayers foot the bill for such upgrades, the costs can be passed on to vessel operators in the form of higher port fees”
Aggiungiamo il fatto che il commercio globale non è realmente aumentato dal 2008 ad oggi e non sorprende che il 18% della capacità non sia utilizzata (più del 2009).

Quindi il messaggio dovrebbe essere chiaro: basta costruire sempre più navi e sempre più grandi! La razionalità è però messa a dura prova nell’epoca del QE e dei tassi negativi: come riporta l’articolo, gli armatori stanno invece continuando a piazzare ordini. Se la stazza disponibile (= offerta) aumenta di 7% mentre la domanda di solo 1%, non sorprende che il prezzo di spedire un container dall’altra parte del mondo si sia più che dimezzato e che le principali aziende di trasporti stiano faticando a mantenere i fatturati.

Questo non è tuttavia il classico caso di mal-investmenti ipotizzato dalla scuola economica austriaca. Secondo questa teoria gli imprenditori ricevono un segnale distorto dalla crescita della moneta in circolazione che li porta ad assumere una crescita irrealistica nella domanda futura. Ci sono certamente altri settori nei quali questo sta effettivamente accadendo, ma non nello shipping: a differenza degli investimenti di energy & mining degli anni passati, qui nessuno sta assumendo che il futuro sarà particolarmente roseo, e la mis-allocation del capitale è ben evidente ex-ante. Gli argomenti citati nell’articolo contro la costruzione di navi più grandi non dipendono dalle aspettative che l’industria può avere sul commercio globale.

Inoltre, al contrario della sovra-capacità in alcuni settori dove la domanda globale può essere ingannevole per la natura locale del business, la capacità nello shipping è invece fungibile, ed una nave vuota a Rotterdam è uguale ad una vuota a Hong Kong. In altre parole, c’è un eccesso oggettivo di offerta ed i rendimenti sono destinati a contrarsi.

Non sono un esperto del settore e quindi le mie conclusioni potrebbero essere errate: l’impressione tuttavia è che ci siano grossi players che non sono molto interessati alla redditività economica quanto ad altri obiettivi (ad esempio, stabilità sociale), soprattutto tra le aziende statali asiatiche. Aiutate enormemente dai tassi sotto zero, possono operare una sorta di “repressione finanziaria” per mantenere le loro posizioni: ordinare navi sempre più grandi garantisce titoli di giornale, spazio sui media e fa migliorare le statistiche sull’occupazione (almeno nel breve periodo). 

Non so chi sia più colpevole nel finanziare questa espansione, ma dal punto di vista puramente economico non ha senso: quando la mis-allocation del capitale non potrà più essere nascosta sotto il tappeto, qualcuno (banche e/o governi) sarà costretto ad un gigantesco write-off.

3 commenti:

  1. Un settore che mi interessa da tempo, ma avendo ancora difficolta nel capirlo e nel prevederlo me ne tengo ancora alla larga, in particolare tengo sotto occhi maersk (leader del settore), in effetti ciò che più mi scoraggia del settore e la necessita di mantenere alti gli investimenti in navi sempre più grandi, io la vedo come una sorta di dilemma del prigioniero, il dilemma se aumentare o meno la stazza delle navi sulle liee più trafficate, complicato il tutto dai tassi molto bassi e dagli operatori semi-statali, di maersk mi piace il fatto che buona parte del business sta anche nei porti e nei magazzini(non solo nelle navi porta container) e nel fatto che essendo leader di mercato e non troppo indebitata dovrebbe spuntarla in un futuro ipotetico consolidamento del settore, non mi piace invece che ha differenziato nel oil(in un periodo per giunta dove il petrolio era ai massimi)
    A si, mi piace anche il fatto che possiede alcune attività no core, per future cessioni.
    Continuerò a monitorarla fino a che non avrò una buona idea sul come si potrebbe risolvere il dilemma, magari quando i tassi cominceranno a salire(sempre se lo faranno).
    Spero che approfondirai gli studi come hai fatto per l'oil

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    1. In aggiunta: non l'ho ancora comprato (prima o poi lo farò), ma ho sentito parlare molto bene di questo libro "The shipping man" (Matt McCleery https://www.amazon.co.uk/Shipping-Man-McCleery-published-August/dp/B016EASM90/ref=sr_1_2?ie=UTF8&qid=1472218302&sr=8-2&keywords=Matt+McCleery+the+shipping+man)

      nonostante il sottotitolo sembri indicare un romanzo, in realtà dovrebbe essere l'autobiografia (forse non completamente autentica) di un gestore di New York che decide di investire nello shipping: dovrebbe contenere un'analisi sul settore (players, investimenti, finanziamenti, ...)

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  2. Mi piacerebbe poter approfondire il settore ma dovrei trovare il tempo.

    Per quel poco che so, concordo su Maersk, che probabilmente sarà ancora lì tra 10 anni e "fluttuerà" in linea con la crescita nel commercio globale (90% delle merci trasportate tra continenti viaggia via mare).

    Le mie preoccupazioni su possibili write-offs / bassi rendimenti sono legate più a chi costruisce le navi, piuttosto che ai trasportatori puri.

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