Matt King, credit strategist di Citi, riassume così i problemi:
- Una sempre maggiore percentuale della varianza nei mercati azionari globali è spiegata da fattori macro
- Le correlazioni tra le varie asset class sono molto elevate, anche se la volatilità rimane bassa: questo vuol dire che la diversificazione funziona meno bene
- Nei mercati del credito le normali relazioni tra tassi d’interesse e spread non funzionano più: gli spread non reagiscono più ai fondamentali (leva e default)
Supponiamo che la Banca Centrale Europea decida di portare istantaneamente i tassi d’interesse a 3%, e che l’inflazione europea rimanga vicino a zero come è adesso (l’ultima lettura di settembre è di 0,4%). Questo significa un aumento del 3% del rendimento reale richiesto su tutto.
In questa situazione, è quasi scontato un apprezzamento dell’euro (+10%? +20%): questo è un bene o un male per le esportazioni europee? E cosa succede agli investimenti delle aziende, che adesso devono superare un ostacolo minimo più alto di 3%: ce ne aspettiamo di più o di meno? Ed i consumi delle famiglie, che adesso hanno un 3% extra da pagare su mutui ed altri finanziamenti? L’unica “bacchetta magica” che rimarrebbe per bilanciare l’effetto negativo di esportazioni (nette), investimenti e consumi sul PIL aggregato sarebbe la spesa dei governi: ma quanti si possono permettere una politica fiscale espansiva in Europa, a maggior ragione in un mondo di tassi più alti?
Posso capire la frustrazione dei gestori (è difficile applicare commissioni di 1%-2% quando il rendimento atteso dagli investimenti è 0%...), ma quello che immaginano è un mondo nel quale i tassi d’interesse sono back to normal così che loro possono incassare cedole più grasse, e tutto questo mentre nessuno cambia le proprie decisioni di spesa.
Non è così che funziona il mondo capitalista: non solo all’interno dell’Eurozona, ma anche (e soprattutto) gli acquirenti di beni, le aziende e le famiglie extra-europee reagirebbero al segnale della BCE.
La questione a mio vedere va posta nei seguenti termini: in una situazione normale l'incremento della quantità di moneta sul mercato genera inflazione e l'inflazione riduce il valore reale del risparmio. Noi viviamo invece da anni in una situazione artificiale dove l'enorme incremento della massa monetaria non si è tradotta in inflazione (chi ha un patrimonio di 100 è convinto di possedere effettivamente 100). In realtà l'inflazione non si è effettivamente materializzata perché è scesa progressivamente la velocità di circolazione della moneta (più gli interessi scendono meno sono incentivato ad investire) stante la relazione [M x V = P x Q] che lega: il denaro (M), la velocità del denaro (V) ovvero la velocità con cui le persone spendono il denaro, il livello generale dei prezzi (P) e la quantità di beni e servizi prodotti (Q). Se la velocità del denaro fosse rimasta costante i risparmiatori si sarebbero accorti che il loro patrimonio non vale veramente 100 ma diciamo ad esempio indicativamente 40. Fino a che punto la velocità può scendere? Io credo fino ad una situazione di stallo (crisi di liquidità come nel 2008-2009) oppure finché il mercato non prende coscienza del reale valore della moneta e comincia a chiedere ad un tratto prezzi più alti. Quindi più che supporre che la Banca Centrale Europea decida di portare istantaneamente i tassi d’interesse a 3%, e che l’inflazione europea rimanga vicino a zero bisognerebbe supporre che i produttori comincino d'un tratto ad aumentare significativamente i prezzi di beni e servizi e di conseguenza la Banca Centrale Europea si veda costretta ad incrementare i tassi d'interesse.
RispondiEliminaAlcuni dei punti da te citati:
Elimina- “in una situazione normale l'incremento della quantità di moneta sul mercato genera inflazione e l'inflazione riduce il valore reale del risparmio”: questa è la versione monetarista dell’inflazione, proposta da Milton Friedman.
- “è scesa progressivamente la velocità di circolazione della moneta”: verissimo, non ho i dati per l’Europa ma qui ci sono quelli per gli US, dove si può vedere che non è mai stata così bassa: https://fred.stlouisfed.org/series/M2V
- “supporre che i produttori comincino d'un tratto ad aumentare significativamente i prezzi di beni e servizi”: questo è difficile da fare in periodi di bassa crescita economica, ma è esattamente quello che Fed/BCE hanno tentato di spingere: il problema è che la liquidità immessa non si è riflessa nei prezzi di beni/servizi ma si è scaricata soprattutto sulle attività finanziarie, facendone aumentare il valore
- Il paradosso di tassi al 3% ed inflazione immutata era per assumere un aumento REALE del 3%: se aumenta anche l’inflazione il rendimento reale è immutato e non cambia nulla (per aziende, investitori, famiglie, gestori, …)
Ammetto di non sapere quale sia la soluzione ottimale: quello che volevo dire nel post è che non è così semplice alzare i tassi d’interesse senza avere un effetto (a volte positivo, a volte negativo) su altre variabili.
Grazie mille per il commento