lunedì 4 novembre 2013

C’è un sufficiente margine di sicurezza in un investimento obbligazionario?



Le strategie di risk parity sono state tra gli investimenti preferiti dagli investitori negli ultimi anni (vedere anche il post relativo). L’attrazione di queste strategia è che sono molto flessibili perché permettono al gestore di scegliere la volatilità del portafoglio secondo l’appetito per il rischio dei clienti. Quindi un portafoglio con un obiettivo di volatilità di 10% utilizzerà la leva per aumentare l’esposizione alle obbligazioni e sottopeserà invece le azioni.


Queste strategie hanno fatto molto bene in una situazione di diminuzione dei tassi d’interesse, mentre non è chiaro come si comporteranno se e quando i tassi dovessero cominciare ad aumentare. Affinché le strategie di risk parity funzionino, occorre infatti assumere che mantenere il rischio del portafoglio sotto controllo equivalga a generare dei buoni rendimenti (aggiustati per il rischio). Ma gestire il rischio non è lo stesso che gestire i rendimenti. La volatilità non ha un segno positivo o negativo, e quindi non considera la direzione dei mercati. Una strategia che guarda esclusivamente al rischio utilizzerà la leva su un asset con bassa volatilità sia che il suo prezzo stia andando verso l’alto sia che vada verso il basso.

Gli ultimi 30 anni sono stati caratterizzati da uno dei più lunghi mercati azionari rialzisti (gli ultimi 10 anni un po’ meno); ma anche – e soprattutto – dal maggior mercato obbligazionario rialzista, con rendimenti positivi senza soluzione di continuità. Questa potrebbe non essere la situazione in futuro.

Per vedere cosa potrebbe accadere, scomponiamo il rendimento delle obbligazioni in due componenti: le cedole e la variazione di prezzo data da cambiamenti nei tassi d’interesse. Il rendimento dato dalle cedole può essere approssimato dallo yield attuale (y) moltiplicato il tempo (t) di possesso del titolo. La variazione di prezzo può invece essere approssimata dalla duration (D).
Nel caso di un aumento dei tassi, occorre che le cedole siano sufficienti a compensare la riduzione nel prezzo del titolo. Ne consegue che lo yield e la duration determinano una sorta di limite alla velocità con cui possono salire i tassi d’interesse prima che l’obbligazione cominci a produrre una perdita complessiva.
Maggiore è lo yield iniziale, maggiore è la velocità alla quale i tassi devono aumentare per generare una perdita. La duration, invece, riduce questa velocità, ed infatti i titoli a lunga scadenza (=maggiore duration) perdono valore anche per variazioni ridotte dei tassi.

La tabella sottostante mostra questi limiti di velocità per alcune tipologie di investimenti obbligazionari (sia singoli titoli che indici). 
Fonte: Bank of America Merrill Lynch. 

Il limite di velocità è minuscolo per i titoli sicuri come quelli tedeschi: basta che il loro rendimento aumenti anche di solo 1bp/mese per cancellare il rendimento positivo dato dalle cedole. I titoli corporate (ed a maggior ragione quelli high yield o dei mercati emergenti) o quelli di paesi meno sicuri come l’Italia hanno un limite maggiore dato il loro rendimento attuale superiore e (spesso) bassa duration. Tuttavia, per la maggior parte dei titoli obbligazionari basta un piccolo aumento dei tassi d’interesse per avere rendimenti negativi.
Fonte: Bank of America Merrill Lynch. 

I numeri nella tabella qui sopra si riferiscono ad un aumento immediato ed istantaneo nei tassi d’interesse. Per aumenti graduali, le cedole delle nuove emissioni si adegueranno ai maggiori tassi ed il rendimento totale delle obbligazioni ritornerà ad essere positivo: anche se si dovesse superare il limite di velocità il rendimento delle obbligazioni non sarebbe negativo per sempre (inoltre, per le obbligazioni corporate e simili occorre considerare anche l’andamento dello spread, che potrebbe muoversi in maniera opposta rispetto alla variazione dei tassi d’interesse). Ed ovviamente questo problema non riguarda coloro che comprano singoli titoli e li detengono fino a scadenza. 

Ma quanto appena discusso avrà un impatto per chi investe in fondi ed ETF obbligazionari, che sono basati (implicitamente o esplicitamente) su indici costruiti su regole predeterminate, e di conseguenza sono soggetti ad acquisti/vendite a seconda del tunnover dei vari titoli nel benchmark stesso. Ad esempio, un ETF di titoli governativi che comprende solo bond con scadenza tra 5 e 10 anni sarà costretto a vendere quei titoli la cui scadenza residua è scesa sotto i 5 anni. Il turnover di questi titoli negli indici significa che si può effettivamente generare un rendimento totale negativo.

Nessun commento:

Posta un commento