giovedì 10 aprile 2014

How to Think About Market Prices

Everything should be made as simple as possible, but not simpler (Albert Einstein)
La regola aurea nell’industria degli investimenti dovrebbe essere il concetto (piuttosto semplice a dire il vero, eppure c’è ancora chi non lo capisce…) che investire vuol dire comprare qualcosa che vale più di quello che si paga. Questo a sua volta richiede di essere in grado di fare una stima - per quanto approssimativa – del valore intrinseco di un asset.
I modelli utilizzati per arrivare a questa stima possono essere ricompresi in due macro-categorie:
-  multipli di una qualche variabile
-  modelli di discounted cash flows (DCF), da quelli più semplici (come il dividend discount model) a quelli più sofisticati (excess return/residual income o Economic Value Added - EVA).

Come detto più volte, il valore intrinseco di qualsiasi attività finanziaria è dato dalle sue caratteristiche fondamentali: i flussi di cassa, la crescita attesa e il rischio, e quindi può essere determinato indipendentemente da qualsiasi informazione su come i mercati stanno al momento prezzando altri strumenti, anche se a volte avere queste informazioni aiuta.

Il DCF è pertanto il metodo teoricamente corretto per calcolarlo, e costruire un DCF per un’azienda su un orizzonte temporale di 5 o 10 anni non è certamente complesso. Il problema, però, è che i risultati sono una funzione diretta delle ipotesi utilizzate per crescita, FCF, re-investimento, tassi di sconto (cost of equity e WACC), etc…, ed anche un’analisi della sensitività ai cambiamenti in queste variabili spesso non aiuta molto.

[Addendum: molti considerano i multipli un metodo di valutazione relativo, anziché assoluto come il DCF. Un multiplo è semplicemente una sorta di scorciatoia per includere in un’unica metrica quelli che potrebbero essere i flussi di cassa futuri, e quindi le ipotesi sulle prospettive dell’azienda sono implicite anziché essere esplicitate in maniera dettagliata come in un DCF. Questo però non vuol dire che il multiplo possa essere estratto dal cilindro: la sua quantificazione deve essere coerente con quelle che sono le variabili chiavi dell’azienda (margini, crescita, re-investimenti, …).]

Avevo pensato di preparare una breve presentazione sui principali modelli di valutazione e sui loro pro e contro. Alla fine mi sono tuttavia accorto che in realtà non utilizzo veramente nessuno di questi modelli più o meno sofisticati per assegnare un valore ad una azienda (quello che invece fa il sell-side con i target price), se non come veloce reality check per controllare qual è la crescita implicita nei prezzi di mercato. Questo perché la natura umana porta a creare modelli che finiscono per conformarsi ad una decisione già presa: se ci piace un’azienda finiremo per adattare le variabili per giustificare un risultato che confermi quello che volevamo (“Playing with numbers you can justify any value” è esattamente il problema principale del DCF). Ed in questo sono confortato dall’affermazione di Charlie Munger, che ha detto più volte che non ha mai visto, in 50 anni di collaborazione, Warren Buffett fare un DCF…

Infine, occorre ricordare che investire è più arte che scienza: questo non vuol dire che conoscere le formule ed i modelli di analisi sia inutile (anzi!). E non vuol dire nemmeno che se non siamo Michelangelo dobbiamo rinunciare a fare stock picking ed accontentarci di investire solo in fondi passivi. Vuole dire piuttosto che occorre saper adattare i modelli e le metriche ad ogni singola azienda anche in base alle nostre proprie caratteristiche, e determinare di volta in volta quali sono le variabili fondamentali da considerare. Così come Van Gogh e Picasso sono diversi da Michelangelo ma sempre illustri nella loro professione, allo stesso modo ci sono molti investitori di successo che utilizzano differenti approcci (anche se quelli migliori condividono alcune caratteristiche, vedi il post su L’investitore perfetto).

“All I want for Christmas is a 10% pre-tax earnings yield…”
Se Warren Buffett non usa mai un DCF, come determina il valore intrinseco delle aziende in cui investe? Anche se non molto pubblicizzata, una delle sue metriche preferite è un rendimento degli utili pre-tasse del 10%, o se preferite un multiplo di 10x degli utili pre-tasse (l’utilizzo degli utili prima delle tasse è dovuto al fatto che queste possono variare per molteplici ragioni anche di anno in anno, distorcendo così il trend operativo dell’azienda; inoltre rendono più semplice il confronto tra aziende domiciliate in paesi con diversa tassazione marginale o con operazioni in più nazioni). Per inciso, Ian Cummings e Joseph Steinberg di Leucadia National hanno dichiarato che loro cercano di investire ad un rendimento pre-tasse minimo del 15%: considerando che il loro interesse è principalmente in distressed assets, un margine di sicurezza superiore è pienamente giustificato.

Qualcuno potrebbe obiettare che questa valutazione va bene per un investimento in un’azienda privata (cioè non quotata), perché quando si possiede l’intero business il rendimento pre-tasse del 10% è effettivamente tutto a nostra disposizione, mentre comprando aziende quotate non si riceve in realtà questo 10% ma qualcosa meno proprio a causa delle tasse e delle decisioni del management. Questo è invece proprio l’argomento a favore di questa metrica: agli investitori di tipo value piace determinare il prezzo che un investitore razionale pagherebbe per l’intero business in una transazione privata.

Quanto è ragionevole questo limite? Un multiplo di 10x gli utili pre-tasse con una tassazione normalizzata di 30%-35% si traduce più o meno in un P/E post-tasse di 15x, ovvero il P/E medio dei mercati azionari negli ultimi 100 anni. La proposizione precedente si potrebbe quindi tradurre in pagare un prezzo medio per un business superiore alla media. E questa metrica è indipendente dal livello dei tassi d’interesse (vedi post precedente), perché non stiamo aggiustando le valutazioni, ad esempio alzando il P/E che siamo disposti a pagare oggi perché i tassi sono molto bassi.

Dalla teoria alla pratica
Vediamo dunque come Warren Buffett ha usato questo criterio: non si tratta di esaminare perché è stata scelta una determinata azienda (aspetto fondamentale, ma secondario in questa discussione), quanto piuttosto quali considerazioni sono state fatte riguardo il prezzo da pagare.

Coca-Cola (KO): KO compare per la prima volta nei bilanci di BH nel 1988, e la posizione è stata incrementata nel corso del 1989.

           # azioni       Costo ($’000)    Costo/azione (miei calcoli)   
1988    14.172.500    $592.540          $41,81
1989    23.350.000    $1.023.920       $43,85

Dal bilancio 1988 di KO abbiamo:
   Utili pre-tasse:            $1.582 milioni
   Azioni:                       365 milioni
   Utili pre-tasse/azione: $4,33


Da questo si evince che BH ha pagato nel 1988 (approssimativamente) 9,6x gli utili pre-tasse e 10,1x nel 1989 (sempre sui risultati del 1988). Devo ammettere che dopo aver fatto i calcoli sono rimasto sorpreso: molti value investors hanno sempre considerato l’acquisto di KO come una sorta di investimento nella crescita futura dell’azienda, ed invece è stato fatto ad un prezzo medio che rientra pienamente nella metodologia prima descritta. Buffett non ha pagato un premio per KO perché era un eccellente business, ha piuttosto pagato quello che è disposto normalmente a pagare.

American Express (AXP): un’azienda completamente differente, ma vediamo come rientra nello schema tracciato. L’investimento in AXP è riportato nel bilancio di BH del 1994:

          # azioni        Costo ($’000)    Costo/azione (miei calcoli)   
1994    27.759.941    $729.919          $26,29


Dal bilancio 1994 di AXP abbiamo:
   Utili pre-tasse:             $1.891 milioni
   Utili netti:                   $1.364 milioni
   Azioni:                        496 milioni
   Utili pre-tasse/azione: $3,81   

   Utili netti/azione:       $2,75

In questo caso, BH ha pagato anche meno, ovvero 6,9x gli utili pre-tasse (ed un P/E di 9,6x).

US Bancorp (USB): la banca appare per la prima volta tra gli investimenti nel 2006, ma gli acquisti potrebbero essere cominciati anche prima e la posizione essere stata raggruppata con altre in “Others”. BH ha poi incrementato l’investimento nel 2007 ed ancora nel 2013.

          # azioni        Costo ($’000)    Costo/azione (miei calcoli)   
2006    31.033.800    $969.000          $31,22
2007    75.176.026    $2.417.000       $32,15
2013    96.117.069    $3.002.000       $31,23

Dai bilanci di USB abbiamo:

          Utili pre-tasse (ml)    Azioni (ml)        Utili pre-tasse/azione
2006    $6.912                     1.804                $3,83

2007    $6.282                     1.758                $3,57
2013    $7.990                     1.849                $4,32   

Quindi nel 2006 BH ha pagato 8,1x gli utili pre-tasse ed alla fine del 2007 il costo medio è stato di 9,0x. Gli ultimi acquisti sono stati fatti nel 2013, quando USB ha trattato in un range di 7,4x-9,5x gli utili pre-tasse di quell’anno.

Lubrizol: questa è un’acquisizione che porta alla memori ricordi non troppo positivi (il caso di insider trading di David Sokol), ma dal punto di vista strettamente finanziario è stata un altro successo. BH ha acquisito l’intera azienda per un controvalore di $135 ad azione nel 2011. L’anno precedente i risultati di Lubrizol erano stati:

   Utili pre-tasse:             $1.004 milioni
   Azioni:                        68,8 milioni
   Utili pre-tasse/azione:  $14,59

Al prezzo di acquisto di $135 si traduce in un multiplo di 9,3x gli utili pre-tasse.

Burlington Northern (BNI): la maggiore acquisizione di BH, è un’operazione che all’epoca ha fatto storcere il naso a molti commentatori. In questo caso l’analisi va divisa in due parti: la prima quando BH ha cominciato ad investire in BNI, e la seconda quando ha acquisito l’intera azienda.

La prima divulgazione dell’acquisto di BNI è del 2007: ma nella lettera agli azionisti del 2006 Buffett aveva anticipato che vi erano due investimenti (per un totale di $1,9 miliardi) che non erano dettagliati perché BH stava continuando a comprare, quindi è probabile che abbia iniziato una posizione in BNI già nel 2006.

          # azioni        Costo ($’000)    Costo/azione (miei calcoli)   
2007    60.828.818    $4.731.000       $77,78

E questi sono i numeri per BNI:

          Utili pre-tasse (ml)    Azioni (ml)       Utili pre-tasse/azione
2006    $2.960                     365                  $8,11
2007    $3.000                     359                  $8,36

dai quali si ricava che BH ha pagato tra 9,3x e 9,6x gli utili pre-tasse. Voilà!

Come tutti sappiamo, BH è poi salita al 100% nel 2009 (la transazione è stata formalmente completata ad inizio 2010) tramite un’offerta di acquisto delle rimanenti azioni al prezzo di $100. Anche se i risultati del 2009 non erano ancora noti quando è stata annunciata l’offerta, si era quasi a fine anno e quindi si sapeva più o meno qual era la situazione:

   Utili pre-tasse:            $3.368 milioni
   Azioni:                       348 milioni
   Utili pre-tasse/azione: $9,68

Quindi BH ha offerto circa 10,3x gli utili pre-tasse del 2009. Molti ritenevano che BH avesse sovrapagato per questa acquisizione, perché il prezzo finale era del 30% superiore al costo medio di un paio di anni prima, ma in realtà Buffett ha di nuovo pagato più o meno quanto voleva.

IBM: altra acquisizione, del 2011, molto pubblicizzata e oggi molto discussa e controversa.  

          # azioni        Costo ($’000)    Costo/azione (miei calcoli)   
2011    63.905.931    $10.856.000      $169,87

L’anno precedente l’investimento IBM ha riportato i seguenti risultati:
   Utili pre-tasse:            $19.723 milioni
   Azioni:                       1.287,4 milioni
   Utili pre-tasse/azione: $15,32

che si traducono in un prezzo medio di acquisto di 11,1x (se invece si utilizzano i risultati del 2011, ovvero utili pre-tasse di $17,50, il multiplo scende a 9,7x).

Munich Re: BH ha investito anche in aziende europee, come ad esempio nel 2010 in Munich Re (la conversione in euro è fatta al tasso medio dell’anno).  

           # azioni       Costo ($’000)    Costo (€’000)    Costo/azione (miei calcoli)   
2010    19.259.600    $2.896.000        €2.185.322       €113,47

I risultati di Munich Re nel 2009 sono stati:
   Utili pre-tasse:             €3.828 milioni
   Azioni:                        194,7 milioni
   Utili pre-tasse/azione:  €19,66

BH ha di nuovo pagato soltanto 5,8x gli utili pre-tasse (6,8x se consideriamo come base dell’analisi il 2010).

Sanofi: altro investimento in Europa, fatto in diverse fasi tra il 2007 ed il 2009.

          # azioni        Costo ($’000)    Costo (€’000)    Costo/azione (miei calcoli  
2007    17.170.953    $1.466.000        €1.071.060       €62,38
2008    22.111.966    $1.827.000        €1.248.200       €56,45
2009    25.108.967    $2.027.000        €1.457.400       €58,04

Riassumendo i risultati di Sanofi in questi tre anni abbiamo:

          Utili pre-tasse/azione    Multiplo utili pre-tasse
2007    €4,75                           13,1x
2008    €4,98                           11,3x
2009    €5,71                           10,2x

I primi acquisti sono stati fatti ad un multiplo leggermente superiore a quello desiderato, ma approfittando della riduzione dei corsi di mercato nel 2008 e 2009 BH ha oggi un prezzo medio di costo perfettamente in linea con quanto atteso.

Ricapitolando
Coca-Cola (1988/1989):                    9,6x - 10,1x
American Express (1994):                 6,9x
US Bancorp (2006/2007):                  8,1x - 9,0x
US Bancorp (2013):                          7,4x - 9,5x
Lubrizol (2011):                               9,3x
Burlington Northern (2006/2007):      9,3x - 9,6x
Burlington Northern (2009):              10,3x
IBM (2011):                                     9,7x - 11,1x
Munich Re (2010):                            5,8x - 6,8x
Sanofi (2007-2009)                          10,2x (complessivo)
Wal-Mart (2005, non dettagliata):     10,3x - 12,9x
Wells Fargo (2005, non dettagliata):  9,0x

Ho escluso dalla lista l’ultima grande acquisizione, quella di Heinz, perché la struttura della transazione è diversa e Buffett ha sottolineato come non avrebbe proceduto senza il coinvolgimento di 3G.

Questa lista non è ovviamente completa, ma rende bene l’idea di come Buffett pensi in termini di valutazioni, sia che si tratti di comprare un’intera azienda o soltanto una parte di questa sul mercato. Quello che emerge è come tutti gli investimenti siano stati fatti attorno ad un multiplo di 10x gli utili pre-tasse (spesso anche inferiore), nonostante queste aziende operino in business molto diversi tra loro, con differenti rendimenti, margini, necessità di investimenti, etc… Anche l’acquisizione di BNI, per la quale molti pensavano che BH avesse sovrapagato, è in realtà assolutamente nella media.

“To invest successfully, you need not understand beta, efficient markets, modern portfolio theory, option pricing or emerging markets. You may, in fact, be better off knowing nothing of these. That, of course, is not the prevailing view at most business schools, whose finance curriculum tends to be dominated by such subjects. In our view, though, investment students need only two well-taught courses - How to Value a Business, and How to Think About Market Prices” (Lettera agli azionisti, 1996)
Naturalmente, non si può pensare di valutare e prezzare qualsiasi cosa a 10x gli utili pre-tasse: bisogna anche (e soprattutto) capire le dinamiche del business sottostante e come questo potrà evolvere. I criteri di selezione di Warran Buffett sono più che noti:
a)  un business che comprende
b)  prospettive di lungo termine favorevoli
c)  gestito da un management competente ed onesto
d)  acquistabile ad un prezzo ragionevole

Se si sostituisce il punto d) con “prezzo inferiore a 10x utili pre-tasse”, questa metrica diviene una sorta di benchmark da utilizzare nelle decisioni di investimento: non significa necessariamente che nel corso del tempo otterremo un rendimento del 10%, ma è piuttosto una sorta di limite massimo da considerare in termini di valutazione.

12 commenti:

  1. ciao Matteo,
    quindi, a differenza di quanto indicato nel post precedente, nel caso della metodologia di Buffet il tasso di sconto non viene considerato?
    Michele C.

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    1. Il tasso di sconto influenza il valore presente dei flussi futuri, quindi più è basso e più questi flussi valgono oggi. Questo entra nei calcoli sia del DCF che nella determinazione dei multipli. Chi usa modelli come il CAPM per determinare a quale tasso scontare i FCF di un’azienda ha come variabile principale il tasso risk-free, e quindi oggi ha valori più bassi  un valore presente più alto.

      Ma qui finisce la discussione di tipo accademico. Un discorso completamente diverso è dire di essere disposti a pagare un multiplo superiore perché al momento i tassi sono bassi (che implica che quando salgono sono disposto a pagare meno? Probabilmente): questo dipende dalle preferenze individuali.

      Dall’analisi degli investimenti di BH si deduce che finisce per pagare (più o meno) sempre gli stessi multipli pre-tasse, anche se questo è la conseguenza del processo decisionale, non il punto di partenza. Altri investitori preferiscono un FCF yield superore al rendimento dei titoli del tesoro a lungo termine.

      Non è che il tasso di sconto non viene considerato da Buffett, è ben conscio che ricevere un €1 tra un anno o tra 20 anni sono proposizioni diverse. Piuttosto, ha fatto capire che lui come tasso di attualizzazione utilizza il rendimento atteso sui Treasury a 10 anni, ma quello che dovrebbe essere nel lungo periodo, non quello che è di anno in anno (quindi attorno a 6%). Quello che non cambia è il valore intrinseco di un’azienda se oggi i Treasury sono al 2% e domani al 5%.

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    2. a) come hai ottenuto con AXP il risultato " 6,9x gli utili pre-tasse (ed un P/E di 9,6x) " ?
      b) quindi detta regola è " comperare con un rendimento degli utili pre-tasse del 10% " ?

      ciao


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    3. Per AXP il multiplo è semplicemente il rapporto tra il costo medio di acquisto ($26,29) e gli utili pre-tasse per azione ($3,81).

      Non è una "regola", perchè di per sè non garantisce un sufficiente rendimento futuro. E' piuttosto un modo di pensare riguardo ai prezzi di mercato. Il primo passo è sempre identificare una buona azienda; il secondo è decidere quanto siamo disposti a pagare per quell'azienda. Per me la caratteristica principale è essere disciplinati, ad es. aspettare che il prezzo sia attorno a 10x (o qualsiasi altra metrica si preferisca: dividend yield, FCF yield, ...)

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  2. Da questa citazione di Warren Buffett sembrerebbe che applichi un tasso di sconto pari al rendimento atteso del Treasury americano a 30 anni (pari a circa il 7% )

    “In a world of 7% long-term bond rates, we’d certainly want to think we were discounting the after-tax stream of cash at a rate of at least 10%. But that will depend on the certainty that we feel about the business. The more certain we feel about the business, the closer we’re willing to play. We have to feel pretty certain about anything before we’re even interested at all. But there are still degrees of certainty. If we thought we were getting a stream of cash over the thirty years that we felt extremely certain about, we’d use a discount rate that would be somewhat less than if it were one where we expected surprises or where we thought there were a greater possibility of surprises.”

    Quali sono le tue opinioni in merito?

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  3. NEl mio post precedente quando parlavo di un treasury rate di circa il 7% intendevo il valore normalizzato considerando un campione utile di osservazione relativo ad un arco temporale di circa 30 anni

    Di seguito inserisco ulteriori citazioni di buffett sul tasso di sconto applicato al fine di poter avere un quadro piu completo per eventuali osservazioni:

    “We use the risk-free rate merely to equate one item to another. In other words, we’re looking for whatever is the most attractive. In order to estimate the present value of anything, we’re going to use a number. And, obviously, we can always buy government bonds. Therefore, that becomes the yardstick rate.”

    “In order to calculate intrinsic value, you take those cash flows that you expect to be generated and you discount them back to their present value – in our case, at the long-term Treasury rate. And that discount rate doesn’t pay you as high a rate as it needs to. But you can use the resulting present value figure that you get by discounting your cash flows back at the long-term Treasury rate as a common yardstick just to have a standard of measurement across all businesses.”

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    1. Non credo ci sia molto da aggiungere, tutto assolutamente da sottoscrivere.

      La sua prima citazione viene dal meeting di BH del 1998, nel quale Buffett ha anche detto: "We don’t discount the future cash flows at 9% or 10%; we use the U.S. treasury rate. We try to deal with things about which we are quite certain. You can’t compensate for risk by using a high discount rate."
      Questa è l'essenza di questo approccio, in diretto contrasto con ad esempio il CAPM.

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  4. L obiettivo dell inserimento si queste citazioni era capire se anche voi deducevate che Buffett sconta i flussi di cassa certi ad un tasso di sconto pari a circa il 7% che dovrebbe essere il rendimento medio del trentennale governativo americano.

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  5. L inserimento di queste citazioni era quello di capire se anche voi deducete che Buffett sconta i flussi di cassa certi ad un tasso di sconto di circa il 7% che dovrebbe essere il rendimento medio del trentennale governativo americano

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    1. non credo abbia mai detto esattamente cosa sconta e a quale tasso, ma 6%-7% mi sembra ragionevole. Comunuqe, per quanto influenzi la stima del valore intrinseco, un investimento non può essere un affare se i flussi sono scontati al 6% e sopravalutato se scontati al 7%.

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  6. Matteo io recentemente ho letto un libro , IL METODO WARREN BUFFETT, potresti spiegarmi a parole semplicissime come calcola il valore delle aziende il nostro Guru? non ho capito come sconta il tasso sui buoni del tesoro decennali.Grazie

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    1. Bella domanda, ma non credo che ci sia una risposta diretta e definitiva.

      Conosco il libro di Hagstrom ma non l’ho mai letto.

      Buffett ha spiegato più e più volte come approccia ogni investimento che fa, ma ogni volta è leggermente diverso per le caratteristiche peculiari dell’azienda. Questo è quello che dovrebbero fare tutti: una banca non si valuta come un supermercato, e dire semplicemente “Compro quando il P/E è inferiore a 12x o il P/BV inferiore a 1x” è stupido.

      Il punto di partenza è che il valore intrinseco di qualsiasi cosa (azienda, obbligazione, immobile, …) è dato dal valore presente dei flussi che si possono ottenere nel corso della sua vita utile. Per un’obbligazione è quasi banale determinarlo; per un’azienda molto meno, perché si devono fare svariate assunzioni sui flussi che si potranno ottenere e su quale tasso utilizzarli per scontarli al valore presente.

      Per semplificare al massimo, l’approccio di Buffett è:
      - Primo passo (fondamentale!): cercare di capire il business (qualità, margini, rendimenti del capitale, livello del debito, moat, …) e dove potrebbe essere tra 10 anni
      - Secondo: scontare quelli che lui definisce “owner earnings” (una versione dei flussi di cassa) ad un tasso che nel passato ha indicativamente identificato come il rendimento “normalizzato” sui Treasury decennali (ovvero circa 6%-7%). Usa questo tasso perché se è “ragionevolmente” sicuro dei FCF che potrà ottenere li sconta ad un tasso considerato privo di rischio.

      Detto così sembra semplice, in realtà richiede anni di esperienza e di pratica.

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