martedì 20 gennaio 2015

Hedge funds: dolcetto o scherzetto?

Una delle notizie più discusse del 2014 è stata la decisione di California Public Employees Retirement System (CalPERS) di eliminare tutti i suoi investimenti in hedge funds. La notizia è interessante per vari motivi, non tutti ovvi.

Per cominciare, il termine hedge funds (così come alternative investments), oggi significa tutto e niente. La terminologia tecnica nei mercati finanziari è infatti spesso usata in maniera impropria, per dare un’apparenza migliore ad un prodotto e confondere le idee. “Hedge fund” è usato come eufemismo di “schema alternativo di ricompensa”, non di strategia di investimento: si tratta appunto di una struttura per compensare in maniera eccessiva i gestori di molti prodotti che invece possono essere facilmente replicati con strategie passive a costi molto più contenuti.

Nota: le stesse considerazioni valgono per i cosiddetti fondi “absolute” o “total return”, che non sono una strategia quanto piuttosto il risultato desiderato. Active e unconstrained sono stili di investimento: vuol dire che la costruzione del portafoglio non è limitata alle caratteristiche di un benchmark di riferimento, ma che il gestore è libero di ricercare le opportunità migliori dovunque essi siano. Absolute return vuol dire invece che il gestore si prefigge di generare rendimenti positivi in ogni situazione di mercato, utilizzando una varietà di tecniche. Total return è ancora diverso, in quanto significa - o per lo meno dovrebbe significare - che il gestore cerca di massimizzare il rendimento totale, spesso assumendosi maggior rischio e quindi incorrendo alle volte anche in rendimenti negativi. Un fondo absolute return dovrebbe avere minor volatilità e drawdown di uno total return.

Nota alla nota: mi piacerebbe che una delle tante SGR che hanno aggiunto fondi absolute/total return alla loro gamma di prodotti (più per questioni di marketing e perché di moda che per reali capacità…) mi spiegasse perché, se questi fondi sono così superiori, continuano a proporre anche le altre strategie a benchmark. Così come i gestori di ETF smart beta dovrebbero spiegare perché continuano a proporre anche gli ETF (inferiori?) a capitalizzazione…

Tornando a hedge funds/alternatives, ci sono sicuramente alcune strategie che possono essere implementate in maniera efficace solo in una struttura “locked-up” di lungo periodo: real estate, infrastrutture, esplorazioni petrolifere, private equity, portafogli concentrati di small/micro-cap, activist, … Si tratta tipicamente di investimenti illiquidi, che necessitano di conoscenze specifiche, dove la dimensione dell’investimento può non essere facilmente scalabile e che quindi giustificano (almeno a priori) fees più elevate. Ed infatti CalPERS continua ad investire in moltissime di queste strategie, un fatto che tuttavia non sembra aver ottenuto molto spazio sui giornali.

Quello che dozzine di hedge funds hanno invece dimostrato è che fare trading su titoli azionari ed obbligazionari liquidi, andando sia long che short con l’obiettivo di offrire “un rendimento competitivo in mercati rialzisti e migliore in mercati ribassisti (o comunque rendimenti non correlati con i mercati)” non è così semplice come sembra, che sia misurato al netto delle commissioni o meno. In aggiunta, molte delle strategie proposte possono essere replicate con versioni anche semplici di una asset allocation bilanciata che persino i promotori finanziari riescono a fare (alle volte…). Se a questo aggiungiamo un ulteriore livello di costi per i fondi di fondi/multi-manager, ed ecco che l’inutilità di queste strutture cresce in maniera esponenziale.

Inoltre, la storia dei mercati dimostra anche come l’ingresso massiccio di investitori istituzionali (ad esempio fondi pensione come CalPERS) in una particolare strategia sia il segnale dell’inizio della fine della sovraperformance di quella asset class. Questo è un problema reale: grosse masse monetarie tendono spesso ad essere dal lato sbagliato delle decisioni di asset allocation proprio per la difficoltà di spostarle da un investimento all’altro e del tempo necessario a prendere le decisioni. Nel momento in cui queste masse arrivano, l’opportunità potrebbe già essere sparita o comunque molto ridotta.

Tutta questa introduzione per arrivare ad un articolo - pessimista ma assolutamente accurato - intitolato “The rise and fall of performance investing” di Charles Ellis. Per chi non volesse leggerlo tutto, i punti salienti sono:

  • Nei mercati finanziari ci sono oggi un’enorme mole di dati, informazioni, tecnologia, persone intelligenti e troppi soldi che inseguono l’elusivo alpha, rendendola quindi più difficile da ottenere che nel passato
  • I costi dell’industria degli investimenti sono troppo elevati rispetto al valore aggiunto che producono
  • Strutture passive a basso costo sono facilmente disponibili e dovrebbero essere utilizzate più spesso di quello che sono (questo ricorda quanto detto da Warren Buffett nella sua ultima lettera agli azionisti)
  • L’industria degli investimenti, sia dal lato dei gestori che da quello dei clienti, è una costruzione precaria: incentivi sbagliati, elevato turnover dei portafogli e l’ossessione con il breve periodo sono tutti fattori che rinforzano “The loser’s game” (altro famoso articolo di Charles Ellis)
  • Il problema principale rimane, oggi come sempre, il nostro comportamento: rimaner fedeli ad un processo di investimento è difficile, e la tendenza umana di cercare qualcosa di nuovo e (si spera) migliore è spesso controproducente.
Pur non sposando in pieno la tesi sui fondi passivi (o meglio: non sono completamente d’accordo con l’uso fatto oggi degli ETF, che sono visti non come alternativa low-cost per una pianificazione di lungo periodo, ma piuttosto come strumenti per fare market timing), sono invece concorde con tutto il resto.

Un’ultima considerazione sul concetto di hedge fund. L’industria degli investimenti è famosa per stimolare e provocare aspettative utopistiche negli investitori, proponendo una sorta di Sacro Graal come soluzione a qualsiasi necessità. Ma un fondo che impiega una qualche strategia di hedging avrà tendenzialmente una performance inferiore ad un indice in una situazione di mercato molto rialzista. La proposta principale di un fondo hedge serio dovrebbe essere proprio di generare rendimenti non correlati con il resto del mercato, che in termini assoluti staranno a metà strada tra le performance delle azioni e delle obbligazioni (si spera con drawdown inferiore). [Esistono ovviamente anche fondi e strategie che mirano a rendimenti più elevati, ma in genere non sono caratterizzati da una volatilità contenuta come invece molti ricercano.]

Per chi è interessato proprio ad investimenti non correlati i fondi absolute return che fanno solo market timing tra una classe e l’altra NON sono la soluzione migliore: oltre ad essere costosi per il reale valore aggiunto rispetto ad un semplice portafoglio bilanciato, se pensate che faranno soldi a palate in ogni situazione di mercato vi conviene leggere qui.

Una soluzione migliore è di ricercare vere strategie non correlate, spesso di lungo periodo, che investono in attività non facilmente investibili in altri modi: la mia opinione personale è che alcuni fondi chiusi (closed-end / investment trust, anch’essi già discussi in passato e sui quali ritornerò) possano meglio soddisfare questa esigenza.

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