venerdì 28 aprile 2017

Brexit: miti e realtà

Lo scorso 29 marzo la Gran Bretagna ha ufficialmente iniziato il processo per uscire dall’Unione Europea: quali potrebbero essere le conseguenze di tipo economico (per ovvie ragioni, considerazioni di tipo politico, culturale, etc… sono al di fuori degli obiettivi del post)? E per piena trasparenza, io ero assolutamente a favore di “Remain”, quindi le mie opinioni potrebbero essere di parte.
[Nota: per semplicità, nel seguito del post Europa indicherà i paesi appartenenti all’Unione Europea]

Una considerazione spesso portata dai sostenitori di Brexit è: “UK è un importatore netto dall’Europa, quindi se non arriviamo ad un nuovo accordo di libero scambio le altre nazioni (Germania in primis) avranno problemi peggiori di noi.
Fonte: fullfact.org/europe/uk-eu-trade/ 

Vista così questa affermazione sembrerebbe corretta, ma come spesso avviene in campo economico la realtà è ben più complessa. È vero che UK ha un significativo deficit commerciale con il resto dell’Europa (indicata con “rEU” nel grafico qui sotto) ma circa il 44% delle sue esportazioni di beni e servizi (£240 miliardi su un totale di £550 miliardi) sono proprio verso i paesi europei. Un non-accordo di scambio metterebbe queste esportazioni a serio rischio.

Importanza degli scambi commerciali tra UK e resto d’Europa 

Fonte: Financial Times. 

Al contrario, è proprio rEU ad avere la mano migliore: se includiamo tutte le transazioni all’interno dell’Europa, UK costituisce solo circa 7%-8% di tutte le esportazioni. In altre parole: gli scambi tra UK ed Europa sono di gran lunga più importanti per gli inglesi che per noi. 

Non solo: è importante anche la composizione di quello che si importa/esporta. Il prodotto più esportato dalla Germania verso UK sono le auto: probabilmente costerebbero di più, ma è ragionevole ritenere che gli inglesi non smetteranno di volere BMW, Audi e Mercedes solo perché non ci sarà più un accordo di libero scambio tra i due paesi.

Al contrario, dal punto di vista di UK la storia è completamente diversa. Secondo i dati del 2015, UK ha esportato beni e servizi per £230 miliardi verso rEU, importando al contempo beni e servizi per circa £290 miliardi, generando un deficit commerciale di £60 miliardi. Ma il settore dei servizi da solo ha generato un surplus di £21 miliardi: questo sottolinea l’importanza dell’industria finanziaria per UK, che potrebbe essere impattata significativamente dalla Brexit. Altra grossa esportatrice è l’industria farmaceutica, per la quale la EU potrebbe rendere la vita più difficile in termini di approvazione di nuove medicine.

Nonostante Theresa May continui a dire che “No deal is better than a bad deal”, un non-accordo sarebbe più deleterio per le esportazioni inglesi verso rEU che per quelle europee/tedesche verso UK.

Il fattore immigrazione
Questo è stato certamente un punto centrale del referendum sulla Brexit, e sicuramente quello più “emotivo”. Dopo un lungo periodo nel quale l’immigrazione da non-EU è stata superiore, negli ultimi anni, complice la crisi in Europa, quella da EU ha ripreso a crescere.

Immigrazione netta per nazionalità in UK

Fonte: fullfact.org. 

L’immigrazione ha avuto tre effetti sull’economia britannica, uno negativo ma due decisamente positivi. Dal lato negativo, l’immigrazione ha fatto crescere l’offerta di lavoratori non specializzati, che ha portato ad un appiattimento dei salari per i lavori più in basso. Dall’altro lato, tuttavia, come mostra questo grafico di Deutsche Bank, questo ha permesso agli inglesi di spostarsi verso lavori più specializzati: in altre parole, l’immigrazione ha permesso agli inglesi di scalare le gerarchie lavorative (Nota: questo vale esattamente anche per Italia, Francia e Germania.)

Crescita cumulata dei lavoratori 

Fonte: Deutsche Bank.

Nella sua forma più basilare, la crescita economica è una funzione di due fattori: la crescita della forza lavoro ed i miglioramenti nella produttività. Vale infatti l’identità:

∆PIL= ∆ forza lavoro + ∆ produttività

Il punto cruciale per la crescita futura di UK è il basso tasso di natalità, un fattore che è molto importante anche in Italia.

Popolazione UK in età lavorativa (in milioni) sotto diverse ipotesi

Fonte: Deutsche Bank.

Se UK decidesse di adottare una politica molto restrittiva, lasciando entrare solo un numero minimo e selezionato di immigrati, l’unico modo che rimarrebbe per generare crescita è quello di migliorare la produttività, cosa tutt’altro che semplice. Anche se in maniera inferiore ad altri paesi, UK è comunque una nazione indebitata, e gran parte del nuovo debito è fatto per pagare gli interessi su quello esistente: soldi che potrebbe essere destinati a scopi più produttivi, ma che non si può. Se i trend recenti saranno confermati, nella migliore delle ipotesi la produttività inglese potrebbe aumentare di 1,5%-2% annuo.

L’altro fattore da considerare è l’inflazione, in rapida ascesa dal giorno del voto, ma per la quale nel lungo termine la risposta non è così diretta in quanto dipende dall’intersecarsi delle curve di domanda ed offerta aggregate.

Fonte: Wall Street Journal.

In termini di creazione dei posti di lavoro, una grossa percentuale è andata a cittadini non britannici (ed è questo il fattore emotivo che ha fatto pendere la bilancia verso Brexit): dal 2000 ad oggi solo il 25% dei nuovi posti di lavoro sono andati a britannici (in blu scuro, e molti furono persi nella crisi del 2008), mentre il 35% è andato a persone di altri paesi europei (in grigio) e ben 40% a persone provenienti da fuori Europa (in blu chiaro).

Crescita cumulata dei nuovi posti di lavoro per paese di nascita 

Fonte: Deutsche Bank. 

Minore immigrazione vorrà dire scarsità di lavoratori in alcune industrie, che porterà inevitabilmente a pressioni verso l’alto sui salari. Ci sono tuttavia interi settori dell’economia britannica che sono gestiti quasi interamente da immigrati, e resta da vedere se gli inglesi si faranno persuadere a prendere il loro posto, in quanto si tratta nella maggior parte dei casi di un downgrade (di nuovo, lo stesso vale per Italia, Francia e Germania). Dall’altro lato, minore immigrazione significa anche una riduzione totale della popolazione, che implica minore domanda per beni e servizi con un effetto opposto sull’inflazione. Difficile dire quale potrebbe essere l’impatto netto. 

Un altro modo per vedere la questione è di stimare quale sarebbe il tasso di disoccupazione in UK se negli ultimi anni non ci fosse stata nessuna immigrazione: lo ha fatto di nuovo Deutsche Bank, arrivando ad un assurdo -6%. Ovviamente il tasso di disoccupazione non può essere negativo, ma dà un’idea di quale potrebbe essere stata la pressione sull’inflazione da salari se la Brexit fosse avvenuta nel 2000.  

Disoccupazione, con e senza immigrazione

Fonte: Deutsche Bank

Qualcuno potrebbero obiettare: meno immigrazione = meno disoccupazione e salari più alti, cosa può esserci di male? Niente, ma questo porta nel lungo periodo a maggiore inflazione, e quello che conta è la crescita reale di PIL e salari. Aumentare i salari reali è proprio quello che UK (e molti altri paesi) non sono stati in grado di fare: la riduzione degli standard di vita è stata proprio uno dei fattori che ha spinto al voto sul referendum (ed in maniera simile a portato Trump a vincere in US).

Crescita reale dei salari, 2008-2013

Fonte: Bank of England

Se UK vuole continuare a mantenere la propria economia vibrante, avrà bisogno di un significativo numero di non-britannici, e questo vale per tutti i paesi europei ed anche US: i trend demografici confermano questa affermazione, e questo vale soprattutto per quei lavori che noi non vogliamo più fare (questa è una constatazione, non una discussione sociologica o culturale). 

Dall’altro lato, è evidente che si debba trovare un modo per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori meno specializzati, quella che viene chiamata la classe media. Senza di questo, il gap tra have e have-not nei paesi sviluppati continuerà a crescere, che è quello che sta causando instabilità politica un po’ dovunque.

Chiudere completamente le frontiere in UK o in qualunque altro paese non è però la soluzione: la crescita rallenterebbe e la montagna di debito che tutti i paesi occidentali hanno diventerebbe ancora più insostenibile.

7 commenti:

  1. "Qualcuno potrebbero obiettare: meno immigrazione = meno disoccupazione e salari più alti, cosa può esserci di male? Niente, ma questo porta nel lungo periodo a maggiore inflazione"...nel lungo periodo...forse.
    Quello che è certo è che nel breve i salari reali diminuiscono e la cosiddetta "classe media" evapora. Come dire: vi impoverite nel breve ma vi arricchirete nel lungo periodo. Scontato citare la celebre replica di Keynes.

    "la crescita rallenterebbe e la montagna di debito che tutti i paesi occidentali hanno diventerebbe ancora più insostenibile."
    Quale crescita? E poi a chi viene distribuita l'ulteriore eventuale ricchezza creata.
    Quale debito? Pubblico o privato? Il Giappone convive ottimamente col suo debito pubblico e un'immigrazione inesistente.
    Mi sembra un articolo fumoso che non convince sulla bontà delle sue tesi.

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    1. 1) Mi sembra di aver detto proprio questo: quello che gran parte dei paesi occidentali non riesce a fare è proprio aumentare i salari reali. E non ho detto da nessuna parte che l’inflazione nel lungo periodo farà “arricchire”.
      2) La crescita del PIL, alla quale facevo riferimento come data dalla somma delle variazioni nella forza lavoro e nella produttività. A chi venga distribuita l’eventuale ricchezza creata è un argomento che esula da quanto detto in questo post.

      È vero che in economia sono spesso portate avanti teorie opposte e contradditorie (non è una scienza esatta come la fisica), ma mi sembra che lei voglia forzare le sue opinioni su quello che ho scritto senza averne compreso bene il senso. Il Giappone "convive" con il suo debito, ma deve fare anche i conti con una popolazione in rapido invecchiamento (anche più dell'Italia) ed una crescita non certo eccezionale.

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  2. Forse è vero, non ho compreso bene il senso ma anche lei non mi pare abbia letto con attenzione...dov'è esattamente che sosterrei che l'inflazione nel lungo periodo faccia arricchire?
    In ogni caso c'è stato un periodo di tempo che va dal dopo guerra fino agli anni '70 in cui i salari reali sono cresciuti costantemente, non è esattamente vero che la gran parte dei paesi occidentali non riesce a farli crescere, diciamo magari che ha cambiato idea (o che sono cambiate le idee) in tal senso per motivi che forse le sono noti o forse no.
    Non sono io che forzo le opinioni; vorrei solo che se fa un articolo in cui sostiene delle tesi spieghi nel dettaglio le sue posizioni pro o contro in maniera limpida e non genericamente sottintendendo la positività o meno di un fatto come fa continuamente la stampa (falsamente) economica. Ogni fatto economico è un vantaggio per alcuni e uno svantaggio per altri; questo è un fatto, lei da che parte sta? Ad esempio, dire "Chiudere completamente le frontiere in UK o in qualunque altro paese non è però la soluzione" è una frase che semplicemente non ha senso a meno che non indichi chiaramente quali sono svantaggi e svantaggi e per chi sono. Continua dicendo che il Giappone "convive" con il suo debito ...Anche qui, che significa una "crescita non certo eccezionale". Se per lei la crescita è un fatto positivo, come pare, direi che a chi viene distribuita tale ricchezza è particolarmente importante altrimenti di cosa stiamo parlando? Se la ricchezza in più viene distribuita fra pochi o pochissimi non interessa più sapere se c'è o non c'è perché comunque interesserà solo questi pochi.

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    1. La ringrazio per le spiegazioni: contrariamente a quello che si potrebbe pensare, critiche ed opinioni opposte sono le benvenute, soprattutto se mi aiutano a trovare eventuali falle nei mie ragionamenti.

      1. Non ho detto che lei ha detto che l’inflazione farà arricchire nel lungo periodo. Ho detto che non l’ho affermato io.
      2. L’affermazione che la maggior parte dei paesi occidentali non riesce a far crescere i salari reali si riferiva all’ultimo grafico del post, che copre il periodo 2008-2013 (gli ultimi dati “precisi” che ho trovato). Il periodo dal secondo dopo-guerra agli anni 1970 è stato ben diverso da quello attuale.
      3. Sulla frase “Chiudere completamente le frontiere in UK o in qualunque altro paese non è però la soluzione” mi sembrava che la mia posizione fosse chiara: l’immigrazione (in UK ma anche in altri paesi che soffrono di bassa natalità ed invecchiamento) è una risorsa che aiuta a mantenere quella porzione di crescita del PIL (la forza lavoro) che altrimenti sarebbe negativa. Vorrei però precisare che non è una gara a chi ha ragione: queste sono le mie opinioni, altri possono sostenerne di diverse ed argomentarle in maniera efficace.
      4. Che la crescita economica – a livello aggregato – sia un fattore positivo mi sembra che sia un’affermazione che mette d’accordo molti. Su a chi vada questa crescita ne avevo discusso in un post precedente (http://mrmarketmiscalculates.blogspot.it/2017/03/macro-post-usd.html, grafico verso la fine con titolo: “Exhibit 1: Capital vs labor”). Il suo punto sulla distribuzione a pochi o a molti è assolutamente corretto, ma le ho già detto che è una discussione che va oltre i contenuti di questo post: non volevo cercare di risolvere tutti i problemi economici attuali, molto più modestamente era una discussione sulle (possibili) conseguenze della Brexit e come alcuni dei temi centrali nel voto UK sono differenti da come sono stati presentati.
      5. Infine, sempre su questo punto, le conclusioni dicono esplicitamente: “Dall’altro lato, è evidente che si debba trovare un modo per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori meno specializzati, quella che viene chiamata la classe media. Senza di questo, il gap tra have e have-not nei paesi sviluppati continuerà a crescere, che è quello che sta causando instabilità politica un po’ dovunque.” Anche qui mi sembra abbastanza chiaro come la penso.

      Se invece i temi non sono chiari, allora è colpa mia.

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    2. Vede, quello che mi infastidisce, e lo dico con affetto perché in generale i suoi articoli sono molto interessanti sono le "imprecisioni" e l'ineluttabilità di un processo, quello economico che sembra indipendente dalla natura umana.

      Al punto 2 dice che "la maggior parte dei paesi occidentali non riesce a far crescere i salari reali" ma il verbo è sbagliato e la verità è che non vuole, e non vuole, proprio perché impegnato nell'attaccarli.

      Al punto 3 dice anche che l'immigrazione è una risorsa ma deve ammettere che con tutto il suo invecchiamento la popolazione giapponese ne può fare tranquillamente a meno. Anzi. La mancanza di manodopera a basso costo obbliga ad investire in tecnologie che possano sostituirla (forse non a caso il Giappone è il paese più avanzato) e questo evita la pressione sui salari dei più poveri.
      La differenza fra un paese povero ed uno ricco dice "Chang" nei sui libri è spesso un efficace controllo dell'immigrazione; come si possa far passare quest'ultima per una risorsa ...
      Se veramente si volesse mantenere il PIL basterebbe che lo stato spendesse di più: semplice e diretto. Se si volesse evitare l'invecchiamento della popolazione s'incentiverebbero le nascite del proprio paese evitando di chiamare in causa l'immigrazione come una panacea.

      Lo stato se vuole può. Ma se questo deve sottostare regole, primo fra tutti l'euro fatti apposta per attaccare il mondo del lavoro come sta facendo probabilmente da sempre la UE, ben difficilmente si riuscirà a ridurre le differenze di reddito tra ricchi e poveri. Come dicevo l'obiettivo è in effetti il suo opposto e i successi da questo punto di vista sono sotto gli occhi di tutti ...primo fra tutti la Grecia.

      La Brexit a parte le catastrofiche conseguenze che i britannici stanno sperimentando (!!!) ...è un messaggio lanciato al cuore di quei poteri che dominano attualmente in Europa e nel mondo occidentale.

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    3. Bene, le diversità di opinione sono il sale di ogni discussione.

      Mai pensato che il processo economico sia ineluttabile ed indipendente, anzi da sostenitore della finanza comportamentale penso che sia vero l’esatto contrario. Ma anche in economia valgono delle formule, identità, restrizioni, etc… dalle quali non si può prescindere.

      Sui salari reali (anche se sono ripetitivo): mi sono limitato a riportare i dati che ho trovato per un periodo specifico e che dimostra che i salari reali non sono cresciuti. Non sono andato ad approfondire le cause: se per lei sono i governi che non vogliono farlo, d’accordo. Per me le cause sono più numerose e complesse.

      Sul Giappone ammetto di non essere un esperto, ma è vero che riesce a convivere con bassissima immigrazione e che aumenta la produttività via investimenti tecnologici (esattamente quello che dicevo nel post: se non c’è variazione nella forza lavoro la crescita può venire solo da miglioramenti produttivi). Per quello che so è anche una questione sociale/culturale, con le aziende molto più interessate al “benessere” dei dipendenti di quello che predica il capitalismo sfrenato di stampo anglosassone. Il rovescio della medaglia è però la bassissima redditività delle aziende giapponesi.

      Molti suoi punti sono di carattere più politico che economico (anche se le due cose sono spesso correlate). Sull’immigrazione e sull’euro abbiamo visioni opposte, e questo è più che lecito.

      Su altri due punti sono più dubbioso:
      1) “Se veramente si volesse mantenere il PIL basterebbe che lo stato spendesse di più: semplice e diretto.”: in parte vero, ma è proprio il nocciolo del problema attuale. Con gli stati sempre più indebitati la politica fiscale non è più una leva efficace di politica economica, e tutto il lavoro è stato lasciato alla politica monetaria.
      2) “Se si volesse evitare l'invecchiamento della popolazione s'incentiverebbero le nascite del proprio paese evitando di chiamare in causa l'immigrazione come una panacea.”: anche questo mi sembra un “desiderata”, non si incentivano le nascite semplicemente dicendo “fate più figli”, e non basta nemmeno aiutare la formazione delle famiglie (mutui prima casa, etc…). Il calo delle nascite nei paesi occidentali è più un fatto di cambiamenti culturali.

      Detto questo, grazie mille per le sue opinioni: non vorrei però ridurre la discussione a “Ho ragione io!”, “No, ho ragione io!”

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    4. Se come concorda il processo economico non è indipendente dalla volontà umana allora concorderà anche che buona parte dell'economia sia in effetti politica intesa come compromesso di interessi opposti ed opinioni discordi. A questo riguardo è utile tornare a dire che visti gli interessi opposti in gioco occorre dichiarare apertamente da che parte s'intende stare per arrivare ad argomentare la difesa o meno di una certa questione.
      Io sostengo che l'euro abbia causato l'impoverimento della classe media a vantaggio dell'elite dominante, e quindi vede, se si difendono gl'interessi dell'elite l'euro diventa un fatto positivo. Al contrario se si difendono gli interessi della maggioranza la questione sulla difesa della moneta unica si fa più interessante e dal mio punto di vista molto problematica.
      Sarei molto curioso di sapere come difende la posizione riguardo all'euro ma questo esula dal dibattito sulla Brexit.

      Voglio invece soffermarmi sui due punti in dubbio.

      Il primo come dice è in parte vero e probabilmente (e qui mi spiace di tonarci sopra) non è completamente vero proprio a causa dell'euro. Se lo stato (parlo di stato all'interno dell'unione europea) decidesse di spendere di più o diminuisse le tasse sarebbe soggetto proprio a qualcuna di quelle formule, identità o restrizioni che causerebbero un aumento del debito estero con gli effetti nefasti cui la Grecia ha sperimentato in massima misura, perché molto brevemente se i miei cittadini hanno più potere d'acquisto le importazioni aumentano e questi ultimi s'indebitano. La politica monetaria non può nulla per correggere questo fenomeno: non all'interno dell'unione monetaria.

      Il secondo punto ha un "Se" davanti proprio perché non è detto sia un "desiderata"; personalmente non vedo nulla di male in una società di anziani e di robot, per andare all'eccesso e per tornare al Giappone. Sono sicuro anch'io che non s'incentivino le nascite dicendo "fate più figli", ma indubbiamente ci sono coppie che si fermano al primo o spesso rimandano la scelta di averne proprio perché non saprebbero come camparli o non avrebbero tempo da passare con loro visto che ci voglio due stipendi per tirare avanti decentemente. Per quest'ultimi un sostegno sullo stipendio certo andrebbe nella direzione voluta. L'immigrazione è una soluzione sì, ma non per per quella parte di popolazione che vive di lavoro e quindi quasi tutti.
      Ecco che tramite il secondo punto si torna al nocciolo della questione che è quello economico e che si riallaccia al primo punto.

      Non ho mai affermato "ho ragione io", ma una volta dichiarato "da che parte si sta" probabilmente ci sono ragionamenti più validi di altri per sostenere la bontà di certe tesi e si può progredire verso conclusioni che si rifanno alla logica e al buon senso. Se invece non si dichiara quali sono i propri obiettivi o qual'è il modello di società che si ha in mente qualsiasi affermazione può essere indifferentemente valida o no.

      La grande mistificazione attualmente presente è quella di far passare l'economia come un meccanismo cui l'uomo può poco oppure che se lo corregge rischia solo di fare danni.
      La verità è un'altra e si rifà ai rapporti di forza che esistono fra classi sociali con interessi contrapposti.
      Voglio citare a questo proposito Warren Buffet che ha sulla questione economica una visione molto chiara ed onesta pur stando dalla parte opposta: "La lotta di classe esiste e l'hanno vinta i ricchi!"

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