mercoledì 22 gennaio 2020

Grafici, tabelle ed altre considerazioni sparse

Qualche dato interessante raccolto recentemente.

Dal punto di vista dei mercati azionari, il 2019 non è stato un anno “eccezionale”: rendimenti superiori a 30% si sono verificati 25 volte dal 1872, più o meno una volta ogni sei anni. Anni molto negativi (peggiori di -20%) sono stati molto più rari.







Secondo un’analisi di Credit Suisse, nella decade appena conclusa S&P 500 ha prodotto un rendimento annuo composto (con dividendi reinvestiti) di 13,6% rispetto a risultati negativi nella decade precedente. Questo grafico mostra come oltre metà del rendimento sia venuto dai fondamentali (7,4% su 13,6%), mentre meno di un quinto è stato dovuto all’espansione dei multipli (2,2%); il restante contributo è stato di dividendi e buybacks.
Nota: I rendimenti non vanno sommati ma “composti” per ottenere i valori mostrati.
Come ben sappiamo, questa performance è stata determinata soprattutto dal settore tecnologico:

Di nuovo, però, non è stato solo una questione di valutazioni (=multipli), ma anche e soprattutto di fondamentali: tech è cresciuta più rapidamente e con margini superiori.

Quello che resta da determinare è cosa potrebbe accadere nella prossima decade: se assumiamo che la crescita globale sarà 3% annua, che margini e multipli rimarranno ai livelli attuali (questa è una grossa assunzione: entrambi potrebbero espandersi ulteriormente, ma anche contrarsi visto l’elevato punto di partenza) e che dividendi e buyback apporteranno lo stesso contributo (altra ipotesi azzardata: per un motivi psicologici le aziende preferiscono riacquistare azioni in un mercato in salita – e quindi costoso – piuttosto che quando i prezzi crollano), la performance attesa si riduce a 6,6%. [Mettete pure i vostri valori preferiti nell’equazione.] Decente e con ogni probabilità meglio delle obbligazioni, ma meno della metà di quanto fatto nell’ultima decade.

Per meglio mettere questi risultati in prospettiva, nell’ultima decade gli US hanno emesso $11 trilioni di debito pubblico per generare $7 trilioni di crescita del PIL. In altre parole, ogni $1 di crescita è venuto grazie a $1,5 di debito aggiuntivo.

Ma il mercato è costoso oppure no?
Confrontando le metriche attuali con la storia di S&P 500, la risposta è “sicuramente si”: ci sono stati pochi periodi nei quali il mercato è stato così costoso. [Ma erano diversi anche fattori come tassi d’interesse, inflazione, …: è sempre bene ricordarlo.]
Mentre è vero che nelle valutazioni è sempre meglio usare metriche realizzate, è anche bene essere consapevoli che i mercati reagiscono maggiormente a cambiamenti nelle aspettative sul futuro. E da questo punto di vista lo scorso anno è stato “atipico”: un aumento significativo dei prezzi (e dei multipli) nonostante una revisione al ribasso delle attese sugli utili. All’inizio del 2019, i profitti attesi per le aziende nell’indice S&P 500 erano equivalenti a 174 punti, portando quindi ad un P/E forward inferiore alla media di lungo periodo (14x). Gli utili effettivi sono stati 6% più bassi, a 163 punti, e nonostante questo l’indice ha guadagnato +29% (solo prezzo), per un P/E finale di 20x.
Nota: la variazione molto positiva degli utili nel 2018 è stata dovuta alla riduzione delle tasse.
Questo re-rating (+5,4x in termini di punti di P/E) è tra i maggiori mai registrati nelle ultime due decadi. Nel 2009 (+6,6x) si partiva da una base di utili molto bassa e da previsioni che erano ancora negativamente influenzate dagli effetti della crisi: con il senno di poi, l’espansione è stata pienamente giustificata. Nel 1998 il re-rating fu dovuto alle aspettative ridicole sul boom tecnologico, che si protrassero nel 1999 e portarono all’eccessivo P/E di 30x, al quale seguirono 3 anni di rendimenti negativi. Altri significativi re-rating sono in genere avvenuti con attese di crescita degli utili più ragionevoli.

#chartcrime: è l’ora di investire in commodities!
Per evidenziare come questo sia il momento perfetto per investire in commodities vengono spesso presentati grafici come questo: tutte le volte che sono state così sottovalutate rispetto a S&P 500, le commodities hanno poi portato a performance eccellenti.

Indipendentemente dalla vostra opinione (questo potrebbe invero essere un ottimo momento per investire in materie prime in quanto Mr. Market le sta completamente ignorando), questo grafico rientra a pieno diritto in #chartcrime: FT-Alphaville ha vari articoli sull’argomento, soprattutto con riferimento alle cripto-valute.

In primo luogo, il confronto è fatto tra un indice total return (S&P GSCI Total Return CME) ed uno price return (S&P500): già questo è in partenza contrario al buon senso. Più importante, il rendimento di lungo periodo degli indici su commodities (ovvero i veicoli utilizzati dalla maggioranza degli investitori) ha ben poco a che fare con i prezzi delle materie prime sottostanti, quanto piuttosto con la forma della curva dei futures (contango/backwardation): da quando la Fed ha dati attendibili (1992) un paniere di commodities globali è più che raddoppiato di prezzo mentre GSCI Total Return è appena positivo (lo so, la composizione è differente ma è per dare un’idea). La divergenza (che per chiarire è sia positiva che negativa) è ancora più marcata dal 2000, ovvero da quando è stato possibile per tutti investire facilmente in materie prime via indici.

A parte questo: perché mai i prezzi delle commodities dovrebbero avere qualcosa a che fare con il rendimento di azioni large cap? Una bassa correlazione con le azioni non è una delle (molto presunte) attrattive portate a favore di un investimento in materie prime?

Forse è veramente il momento di comprare Deutsche Bank
Per la prima volta da quando Bloomberg ha dati, Deutsche Bank non ha nessuna raccomandazione di BUY: l’ultima a cambiarla è stata recentemente Morningstar. Anche se la domanda più interessante da fare è: chi sono quel circa 70% di analisti che aveva un BUY nel 2013?!?

“La fine è vicina!”
Un barometro dell’andamento delle operazioni di venture capital è crollato di quasi 40% dal picco di giugno scorso: il volume di transazioni è diminuito di 24% mentre il valore delle realizzazioni è sceso di 35%.

Per chi si ostina a voler leggere l’andamento macroeconomico in questo e simili indicatori, questo è un utilissimo articolo su come prevedere tutte le variabili economiche necessarie a decidere la propria strategia. Se, tuttavia, questo dovesse malauguratamente portare a previsioni errate e doveste giustificare i movimenti giornalieri dei prezzi, usate questa ruota per attribuire la colpa a qualcun altro. 

Infine, questo riassume in maniera eccellente l’atteggiamento attuale di molti investitori…

 

2 commenti:

  1. Bello questo articolo.
    Io comunque quando guardo ai rendimenti delle obbligazioni mi pare che gli indici azionari siano regalati.

    Per esempio questa prelibatezza XS1753042743 (EIB 2048) al prezzo di 124,81 con cedola 1,5%, ha rendimento negativo a 28 anni (se contiamo anche il bollo titoli).
    È possibile che tra 30 anni gli utili delle aziende del DJI, SP500, MSCI Europe, FTSE All World siano più bassi di oggi?
    Tutto può accadere, ma la probabilità credo sia davvero bassa.

    Discorso diverso purtroppo per il P/E che potrà essere molto più basso di oggi.
    Supponiamo che gli utili crescano solo il 3% (metà del 6% medio annuo dell'SP500). Tra 28 anni gli utili saranno cresciuti del 129%.
    Se anche il P/E dell'SP500 tornasse a 15 dai 25 attuali è solo un 40% in meno.

    Il total return price only dovrebbe essere il 37% (€1000x2,29x(1-0,4)), cioè un CAGR dell'1,13%, oltre i dividendi che si percepirebbero ogni anno.

    Ah e il bond della EIB stava a 105 un anno fa. I mercati saranno anche irrational, ma qui siamo davvero alla follia.

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    1. corretto: su un orizzonte di 30 anni non conviene quasi mai investire in obbligazioni (a meno che il punto iniziale non sia caratterizzato da tassi alti che ci aspetta diminuiscano).

      Quel titolo EIB e simili in genere sono comprati da assicurazioni o fondi pensione che devono "hedgare" (in termini di tassi d'interesse) passività con scadenze lunghe.

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