[Una serie di post, al momento ne prevedo 4, per analizzare i mercati attuali attraverso le lenti del passato]
Tutti ricordiamo il tech crash del 2000-2002, e gli studiosi di finanza anche il mercato ribassista del 1973-1974; ma probabilmente non molti conoscono il crash del 1970, quando a partire da aprile in sole 5 settimane molti titoli tecnologici crollarono di 80% e più, con S&P 500 che scese di 19% e l’indice Dow Jones di 13% (all’epoca il settore “industriale/manufatturiero” ancora dominava l’economia e le borse americane).
Electronic Data Systems (EDS) di Ross Perot scese da $162 a $24 (-85%); Control Data fece -83%; Mohawk Data -84%; Sperry Rand -72%; NCR -64%; University Computing crollò da $186 a $13 (-93%); Data Processing Financial da $92 a $6 (-93%). Tutti nomi che oggi nemmeno ricordiamo o sappiamo cosa facessero: in quel periodo tech significava soprattutto calcolatori e grossi mainframe computer. Ma crollarono anche nomi più noti come Polaroid (-64%), Texas Instruments (-57%) e General Instruments (-83%), mentre IBM perse “soltanto” 42%. E la situazione fu altrettanto negativa per le conglomerate molto famose all’epoca: Litton Industries scese da $104 a $15 (-86%), Ling-Temco-Vaught da $135 a $7 (-95%) e Levin-Townsend da $67 a $3 (-96%).
Perché questo crollo in un periodo nel quale tutti compravano computer? Almeno nel caso di EDS, l’andamento del prezzo non fu dovuto a cattive notizie sull’operatività della società, che al contrario erano tutte straordinariamente positive: l'utile per azione del 1969 era stato più del doppio di quello del 1968, e il primo trimestre del 1970 - un periodo di recessione economica – mostrava un aumento dei profitti del 70% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Sicuramente anche all’epoca c’erano eventi politici ed economici esterni (guerra del Vietnam, inflazione, …), ma la risposta più semplice è sempre la stessa: l’eccessiva euforia aveva portato le valutazioni delle aziende tecnologiche nella stratosfera per poi farle tornare sulla terra. Il P/E medio dei titoli tecnologici nel 1969 era infatti di 114x (il picco per EDS fu di 352x), rispetto ad una media di 16x per i titoli nell’indice Dow Jones.
Secondo un’analisi post-mortem pubblicata in Dun's Business Review, il “mito della crescita” aveva portato gli investitori a ritenere che tassi di crescita annuali del 30% o più sarebbero potuti continuare, nonostante l’evidenza empirica che crescere di 25% l’anno su periodi di 20 anni sia molto, molto difficile. E nonostante questo, anche all’epoca gli analisti giustificavano questi P/E con “equities in the new, growth industries could be expected to outperform the market as a whole”.
Tutti ricordiamo il tech crash del 2000-2002, e gli studiosi di finanza anche il mercato ribassista del 1973-1974; ma probabilmente non molti conoscono il crash del 1970, quando a partire da aprile in sole 5 settimane molti titoli tecnologici crollarono di 80% e più, con S&P 500 che scese di 19% e l’indice Dow Jones di 13% (all’epoca il settore “industriale/manufatturiero” ancora dominava l’economia e le borse americane).
Electronic Data Systems (EDS) di Ross Perot scese da $162 a $24 (-85%); Control Data fece -83%; Mohawk Data -84%; Sperry Rand -72%; NCR -64%; University Computing crollò da $186 a $13 (-93%); Data Processing Financial da $92 a $6 (-93%). Tutti nomi che oggi nemmeno ricordiamo o sappiamo cosa facessero: in quel periodo tech significava soprattutto calcolatori e grossi mainframe computer. Ma crollarono anche nomi più noti come Polaroid (-64%), Texas Instruments (-57%) e General Instruments (-83%), mentre IBM perse “soltanto” 42%. E la situazione fu altrettanto negativa per le conglomerate molto famose all’epoca: Litton Industries scese da $104 a $15 (-86%), Ling-Temco-Vaught da $135 a $7 (-95%) e Levin-Townsend da $67 a $3 (-96%).
Perché questo crollo in un periodo nel quale tutti compravano computer? Almeno nel caso di EDS, l’andamento del prezzo non fu dovuto a cattive notizie sull’operatività della società, che al contrario erano tutte straordinariamente positive: l'utile per azione del 1969 era stato più del doppio di quello del 1968, e il primo trimestre del 1970 - un periodo di recessione economica – mostrava un aumento dei profitti del 70% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Sicuramente anche all’epoca c’erano eventi politici ed economici esterni (guerra del Vietnam, inflazione, …), ma la risposta più semplice è sempre la stessa: l’eccessiva euforia aveva portato le valutazioni delle aziende tecnologiche nella stratosfera per poi farle tornare sulla terra. Il P/E medio dei titoli tecnologici nel 1969 era infatti di 114x (il picco per EDS fu di 352x), rispetto ad una media di 16x per i titoli nell’indice Dow Jones.
Secondo un’analisi post-mortem pubblicata in Dun's Business Review, il “mito della crescita” aveva portato gli investitori a ritenere che tassi di crescita annuali del 30% o più sarebbero potuti continuare, nonostante l’evidenza empirica che crescere di 25% l’anno su periodi di 20 anni sia molto, molto difficile. E nonostante questo, anche all’epoca gli analisti giustificavano questi P/E con “equities in the new, growth industries could be expected to outperform the market as a whole”.
Il campo dei miracoli di Pinocchio vince sempre sul pensiero razionale, bisogna accettarlo quando - come me - si è fuori da un mercato bullish come il tech.
RispondiEliminaOggi il denaro più che mai non sa dove andare e perciò va ovunque, anche sul non finanziario. Non importano i multipli.
Io però non vedo alcuna voglia di drenare la liquidità, credo invece si agirà svalutando il dollaro per inflazionare il debito e dare una mano agli emergenti.
Per me criptovalute (speculazione pura, sul nulla secondo me) e oro sono brillanti anche perchè visti anche come hedging sul dollaro. secondo Lei?
è una possibilità, ma quando dici "credo invece si agirà svalutando il dollaro", chi è il soggetto? Gli US? Perchè dovrebbero dare una mano alla Cina?
EliminaCon il dollaro debole (e presunta inflazione monetaria), cripto-valute e oro possono essere un hedge per USD (per oro i dati storici mostrano che in realtà non è così): ma questa tesi non può essere valida per tutte le altre valute, se USD si svaluta EUR/GBP/JPY/... si rivalutano
sì intendevo gli Usa.
RispondiEliminaL'elephant in the room è il debito globale; o qui e là lo azzeri (e voglio vedere) o prima o poi devi farci i conti.
Secondo me una moderata svalutazione USD farebbe bene anche alla valuta Cinese: moderata anche perchè i cinesi sono i primi compratori di Tbond.
Avrebbe l'effetto di un ennesimo QuantitativeEasing ma senza doverne parlare, perchè politicam sarebbe improponibile.