Parlando questa mattina con un amico, mi ha illustrato la sua teoria sulla multi-polarità geopolitica nella quale stiamo vivendo.
Questo mi ha fatto tornare alla mente un articolo che ho scritto quattro anni fa (più precisamente il 6 aprile 2018) in una specie di newsletter che pubblicavo all’epoca con un collega.
Il tema erano i principali trend strutturali che avevano un impatto sui mercati finanziari, contrapposti a quelli di tipo più tattico: questi ultimi sono infatti ciclici per loro natura (determinati dalle condizioni economiche), oppure comportamentali (dovuti alle decisioni degli investitori), e sono di durata breve o media. I trend strutturali sono invece più lunghi e non sono influenzati dalle preferenze degli investitori: si realizzano indipendentemente da quello che questi pensano e fanno.
I trend identificati nell’articolo, in particolare, erano:
- La fine del super-ciclo del debito
- Cambiamenti demografici
- L’ascesa dell’Est ed il declino dell’Ovest
- Multi-polarità geopolitica
- Mean-reversion della ricchezza ed il ruolo della classe media
- Tecnologie disruptive
Riporto qui sotto quanto scritto per il punto #4, non per vantarmi di aver “azzeccato” le previsioni (non ho scritto niente di eclatante che molti altri non avessero già evidenziato, e ad esempio non avevo minimamente previsto una pandemia globale), quanto piuttosto perché è sempre sorprendente constatare come gli investitori siano attratti dalle “novità” ma dedichino poi molto poco tempo a costruire il proprio portafoglio attorno a temi di lungo periodo. Il motivo è probabilmente l’impazienza, perché molte persone trovano difficile guardare oltre il prossimo mese o l’evento corrente.
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Multi-polarità geopolitica (6 aprile 2018)
Dalla fine della Guerra Fredda, le tensioni geopolitiche sono rimaste in secondo piano tra le preoccupazioni degli investitori. Questo perché la caduta dell’Unione Sovietica inaugurò un’era di egemonia americana che è durata due decadi: il potere economico, commerciale e militare si concentrò sempre più negli US come unica super-potenza. Questo periodo è stato caratterizzato da stabilità e da potenze regionali che non osavano perseguire politiche estere indipendenti per paura di ritorsioni da parte di US: libero commercio e politiche di laissez-faire sono state la norma.
Oggi siamo invece entrati in un periodo di multi-polarità, nel quale il numero di stati in grado di decidere autonomamente le proprie politiche estere è superiore ad uno (uni-polarità) o due (bi-polarità). Gli US rimangono (per adesso) la nazione leader, ma hanno comunque dovuto subire il declino nel loro dominio.[1]
Con l’emergere della multi-polarità è più difficile raggiungere un equilibrio, un tema poco gradito agli investitori perché comporta incertezza, premi al rischio più alti ed eventi estremi non anticipabili (“black swan”).
La preoccupazione maggiore per gli investitori è come questa multi-polarità impatterà le economie globali. Gli squilibri macro-economici - ad esempio la combinazione attuale di domanda insufficiente e capacità produttiva in eccesso - possono essere superati o con una politica unilaterale da parte del paese egemone, oppure con un accordo coordinato. In un mondo multi-polare entrambe queste condizioni sono assenti.
Alcune conseguenze:
- Nei prossimi decenni il mondo potrebbe essere meno, non più, globalizzato. Non solo le potenze regionali cercano di aumentare la loro sfera di influenza, che è per definizione incompatibile con la globalizzazione, ma soprattutto manca un leader capace di garantire coordinamento economico e stabilità geopolitica.[2]
- La globalizzazione è, al margine, deflazionistica: un mondo meno globalizzato potrebbe vedere maggiore inflazione.
- I mercati sviluppati dovrebbero avere una crescita più contenuta ma essere più affidabili: molti conflitti che sono rimasti irrisolti e sopiti dall’egemonia americana potrebbero adesso riesplodere, ed in genere si tratta di paesi emergenti o di frontiera.
Non tutte le conseguenze sono necessariamente negative. Ad esempio, nonostante Brexit, un mondo multi-polare spinge verso una maggiore integrazione all’interno dell’Unione Europea: con minacce in crescita ai confini (Medio Oriente, Russia) le nazioni europee difficilmente potranno seguire la strada dell’uscita scelta invece da UK.
[1] Esempi di eventi che fino a qualche anno fa erano considerati inimmaginabili includono: l’annessione della Crimea da parte della Russia; l’espansione militare cinese nel Mar Cinese Meridionale; la scarsa considerazione degli interessi americani in Siria da parte della Turchia; il massiccio ridimensionamento della presenza militare americana in Medio-Oriente.
[2] Si veda ad esempio la guerra commerciale sui dazi in corso in questi giorni tra US e Cina. Questo potrebbe favorire i settori domestici e le economiche più orientate ai consumi interni rispetto a quelle maggiormente orientate alle esportazioni.
PS: per chi fosse interessato all’intero articolo, ho messo qui il pdf completo di quanto scritto 4 anni fa, compresa l’appendice con l’ulteriore suddivisione in alcune micro-tematiche ed aziende che potrebbero beneficiarne. Oggi alcune conclusioni potrebbero essere differenti, quindi come al solito ricordate che questo blog è pubblicato a scopo puramente informativo; fate le vostre ricerche e considerazioni; blah blah blah….
Grazie del pdf, molto interessante proprio perchè non oracolare come invece lo stile Cnbc. Leggo con piacere che la fissa sui salmoni viene da lontano. Comunque battute a parte, io credo che assisteremo ad uno shifting di lungo periodo, da euforia drogata dalla liquidità (anche io ho la mia fissa...) a un sano realismo. 4 Usd trillions dal primavera 2020, e manco hanno ancora cominciato a drenare. Molto perplesso sull'immobiliare (occidentale), di solito parte tutto da lì .
RispondiEliminaI miei grandissimi complimenti. Un ottimo articolo, lungimirante e complimenti anche per il blog, ben fatto ed interessante (molto migliore del mio che faccio pure fatica a "mantenere")
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