mercoledì 12 marzo 2014

Berkshire Hathaway: commenti al bilancio 2013

Con qualche giorno di ritardo - e dopo dozzine di articoli e commenti su blog e forum vari -, ecco anche alcune mie impressioni sui risultati dell’ultimo anno di Berkshire Hathaway (BRK).

Il punto di partenza per qualsiasi discussione è ovviamente la tradizionale tabella a pagina 2: la variazione annuale nel book value per azione di BRK rispetto alla performance dell’indice S&P500.

La prima cosa che salta agli occhi è che BRK continua ad essere una macchina per fare i soldi: nel 2013 il book value è cresciuto del 18,2% (escludendo alcune poste contabili). Questo può sembrare mediocre rispetto al +32,4% di S&P500, ma è eccezionale per un gigante da $300 miliardi (nonché migliore di molti hedge funds…).

Nell’immagine qui sopra ho evidenziato due periodi. Il primo (in blu) è quello dal 1982 al 1999, caratterizzato dal più lungo mercato bull della storia. Per il modo in cui è strutturata (e per gli stessi principi del value investing), uno si aspetterebbe da parte di BRK una performance migliore del mercato nel lungo periodo, ma non necessariamente in un periodo rialzista. Invece la tabella mostra che BRK ha sottoperformato S&P500 in solo 1 dei 18 anni considerati, e proprio nel 1999, ovvero appena prima dello scoppio della bolla. Anche negli anni migliori (1982, 1983, 1985, 1989, 1991 e 1995-1998), BRK ha fatto meglio del mercato in ogni singolo anno. Molti ricorderanno come Warren Buffett venne accusato di non capire le nuove tecnologie e di essere rimasto “indietro” (la famosa copertina di Barron’s: “What’s wrong, Warren?” del dicembre 1999), ma la realtà è ben diversa, e non solo per quello che successe poi.

Il secondo periodo (evidenziato in verde) comprende invece gli ultimi 5 anni, che sono stati molto positivi per i mercati azionari, in maniera non dissimile da quanto avvenuto alla fine degli anni 1990. In questo periodo, non solo BRK ha sottoperformato in 4 dei 5 anni, ma nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare del fatto che ha fallito, per la prima volta nella sua storia, uno dei test favoriti di Buffett: ovvero avere una performance migliore di S&P500 su un arco di 5 anni, come mostrato nel grafico qui sotto.
 

Se si allunga il periodo fino ad includere il 2000, BRK ha sottoperformato in 6 di questi 14 anni. BRK dovrebbe fare bene nel lungo termine, in particolare molto meglio del mercato in periodi di debolezza economica e leggermente peggio quando i mercati azionari sono euforici. La tabella invece indica che BRK ha fatto meglio quando i mercati sono stati rialzisti ed adesso sta facendo (relativamente) male in mercati agitati ma laterali. Quindi, cosa sta succedendo?

Cercare una risposta a questa domanda ha – per me – poco senso. Cinque anni fa (fine 2008) rappresenta il punto più basso del panico finanziario e la ripresa seguente è stata spinta dalla liquidità immesse nel sistema dalle banche centrali, quindi una situazione che non è destinata a ripetersi di frequente. Ovviamente quello che importa è la performance nel corso del tempo, non in quanti anni BRK sovra- o sottoperforma. Vediamo quindi i rendimenti complessivi in questi due periodi:
 

Quindi, nonostante una performance peggiore in quasi il 50% degli anni, BRK è riuscita a far meglio di S&P500 di 5,9% all’anno (in particolare perché, come ci si aspetterebbe, BRK ha fatto molto meno male negli anni 2002 e 2008). Questo è il numero che conta per un investitore. [NB: di nuovo, questo si riferisce alla crescita del book value per azione, non al prezzo di mercato di BRK]

Leva e rendimenti
Questa analisi ha però stuzzicato la mia curiosità e sono andato a riprendere tutti i bilanci annuali disponibili per vedere se nel passato BRK – che come tutti sanno è una holding/investment company - fosse stata molto più leveraged rispetto al mercato azionario di quanto lo sia oggi (per chi volesse reperire tutte le lettere agli azionisti di BRK dal 1965 al 2012 è disponibile questo libro su Kindle). Consideriamo la seguente tabella:



Prima del 1998 gli investimenti azionari erano 1,2x-1,3x il valore dell’equity (BRK usava cioè una leva di 1,2-1,3:1): se si assume che i mercati azionari salgono del 10% all’anno nel lungo periodo, con questa leva il solo portafoglio investimenti offre un ROE di 12%-13% agli azionisti. Se ci aspettiamo che Warren Buffett e Charlie Munger riescano a fare anche meglio, diciamo 15% annuo dagli investimenti, ecco un ROE di 18%-20% prima di considerare tutte le altre aziende controllate da BRK. Da questa angolazione, non sorprende che BRK abbia sovraperformato S&P500 in un mercato rialzista.

Con l’acquisizione di General Re nel 1998, la leva è scesa drammaticamente attorno a 0,4x-0,6x perché è aumentato il valore dell’equity. È vero che General Re ha contribuito un significativo ammontare di flottante (float), ma per le restrizioni imposte nel settore assicurativo parte di questo deve essere investito in liquidità ed obbligazioni. È quindi abbastanza logico che BRK abbia sottoperformato S&P500 negli ultimi 5 anni di mercato bull. Questo fatto è perciò negativo per quello che riguarda i rendimenti futuri? Per chi ricerca un investimento azionario a leva in una struttura come questa, probabilmente si.

Questo rapporto è tuttavia fuorviante. BRK ha spesso aumentato nel corso del tempo la propria quota di partecipazione in alcune aziende, come ad esempio in GEICO e BNSF. Fa una qualche differenza che BRK possegga solo parte delle azioni (riportate nel portafoglio investimenti) piuttosto che tutta l’azienda (e quindi questa sia considerata una controllata che non è inclusa nel portafoglio investimenti)? Dal punto di vista contabile, si; in termini economici, assolutamente no, non vi è alcuna differenza. Ignorando per il momento altri fattori (come i vantaggi fiscali di possedere un’intera azienda, l’efficienza nell’allocazione del capitale, …), l’unica differenza è che GEICO, BNSF ed altre società non sono adesso riportate in bilancio a valori di mercato (marked-to-market), e quindi in un mercato rialzista l’aumento del loro valore non viene riflesso nello stato patrimoniale come invece accade alle azioni quotate. Ma il loro valore economico è sempre lì.

Un modo di ovviare a questo inconveniente potrebbe essere di includere il book value di tutti i business non assicurativi come parte dell’equity. Il segmento “Railroads, Utilities and Energy” ha un equity di circa $83 miliardi; il segmento “Manufacturing, Services and Retailing” di $54 miliardi; ed il segmento “Finance and Financial Products” di $7 miliardi. Il portafoglio azionario del segmento Insurance è di $115 miliardi, ai quali vanno aggiunti i $12 miliardi sotto la voce Other (le preferreds in Wrigley, Dow Chemical e Bank of America, oltre ai warrant della stessa Bank of America) ed i $12 miliardi in Heinz (parte dell’investimento è equity, parte è equity-like). Abbiamo così un totale complessivo degli investimenti di tipo azionario di $283 miliardi ($83 + $54 + $7 + $115 + $12 + $12). Rispetto a $225 miliardi di equity, la vera leva finanziaria è di nuovo ~1,3x.

Di nuovo, a parte qualche vantaggio nel controllare tutta l’azienda, non dovrebbe fare differenza possederla tutta o solo parte di essa. Nel corso del tempo entrambe apporteranno benefici agli azionisti a seconda di quanto cresce il loro valore intrinseco; ma nel secondo caso (azioni quotate), i valori saranno proni ad aumenti/decrementi drammatici secondo l’umore di Mr. Market. Ignorando la possibile volatilità, il profilo rischio/rendimento di BRK è lo stesso del 1994.
Le dimensioni del flottante assicurativo, investito in cash ed obbligazioni, hanno spinto invece molti a considerare BRK molto meno rischiosa (definizione da prendere con le molle…), e quindi meno attraente che nel passato. Spesso si sente dire: “Perché Buffett continua a sedere su tutta quella liquidità? Possibile che non trovi niente di meglio in cui investirla?”. Ma l’aumento del flottante e del portafoglio obbligazionario non significa che BRK usi oggi meno leva: semplicemente, c’è stato uno spostamento da una preponderanza di investimenti in azioni quotate ad una in aziende private. Per inciso, questa argomentazione riflette in pieno l’affermazione di Buffett che il valore intrinseco di BRK è di gran lunga superiore al suo book value (e che la crescita del book value sottostima la crescita del valore intrinseco).

Questo concetto è ripetuto in una forma simile a pag. 7 della lettera agli azionisti:

While Charlie and I search for elephants, our many subsidiaries are regularly making bolt-on acquisitions. Last year, we contracted for 25 of these, scheduled to cost $3.1 billion in aggregate. These transactions ranged from $1.9 million to $1.1 billion in size. Charlie and I encourage these deals. They deploy capital in activities that fit with our existing businesses and that will be managed by our corps of expert managers. The result is no more work for us and more earnings for you. Many more of these bolt-on deals will be made in future years. In aggregate, they will be meaningful.

Last year we invested $3.5 billion in the surest sort of bolt-on: the purchase of additional shares in two wonderful businesses that we already controlled. In one case – Marmon – our purchases brought us to the 100% ownership we had signed up for in 2008. In the other instance – Iscar – the Wertheimer family elected to exercise a put option it held, selling us the 20% of the business it retained when we bought control in 2006.
Queste ultime due acquisizioni hanno aggiunto circa $300 milioni all’utile pre-tasse di BRK: al netto della liquidità ricevuta ($800 milioni), il costo è stato di 9x gli utili pre-tasse, perfettamente in linea con i multipli che Buffett ha spesso detto essere disposto a pagare (generalmente non più di 9x-10x gli utili prima delle tasse).

Come investire
Infine, come tutti gli anni, la lettera agli azionisti include alcune riflessioni sugli investimenti in generale (pag. 17 e 18). Niente di nuovo, semplicemente la ripetizione di concetti espressi varie volte nel passato: si tratta tuttavia di nozioni che, per la loro semplicità, andrebbero affisse all’ingresso di qualsiasi banca e SGR…

You don’t need to be an expert in order to achieve satisfactory investment returns. But if you aren’t, you must recognize your limitations and follow a course certain to work reasonably well. Keep things simple and don’t swing for the fences. When promised quick profits, respond with a quick “no.”

Focus on the future productivity of the asset you are considering. If you don’t feel comfortable making a rough estimate of the asset’s future earnings, just forget it and move on. No one has the ability to evaluate every investment possibility. But omniscience isn’t necessary; you only need to understand the actions you undertake.

If you instead focus on the prospective price change of a contemplated purchase, you are speculating. There is nothing improper about that. I know, however, that I am unable to speculate successfully, and I am skeptical of those who claim sustained success at doing so. Half of all coin-flippers will win their first toss; none of those winners has an expectation of profit if he continues to play the game. And the fact that a given asset has appreciated in the recent past is never a reason to buy it.

With my two small investments, I thought only of what the properties would produce and cared not at all about their daily valuations. Games are won by players who focus on the playing field – not by those whose eyes are glued to the scoreboard. If you can enjoy Saturdays and Sundays without looking at stock prices, give it a try on weekdays.

Forming macro opinions or listening to the macro or market predictions of others is a waste of time. Indeed, it is dangerous because it may blur your vision of the facts that are truly important. (When I hear TV commentators glibly opine on what the market will do next, I am reminded of Mickey Mantle’s scathing comment: “You don’t know how easy this game is until you get into that broadcasting booth.”)

My two purchases were made in 1986 and 1993. What the economy, interest rates, or the stock market might do in the years immediately following – 1987 and 1994 – was of no importance to me in making those investments. I can’t remember what the headlines or pundits were saying at the time. Whatever the chatter, corn would keep growing in Nebraska and students would flock to NYU.

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