lunedì 16 maggio 2016

Articoli, grafici ed altre cose

Un po’ di materiale che ho raccolto nelle ultime settimane.

Credito
Secondo Matt King di Citigroup, il ciclo del credito è vicino ad un “punto di non ritorno”, non solo per il segmento high yield ma anche per quello investment grade, sia in EUR che (sopratutto) USD.



A conclusioni simili sono arrivati gli analisti di Robeco, secondo i quali le migliori (uniche?) opportunità sono da ricercare nelle obbligazioni corporate dei mercati emergenti.
Questo ultimo punto rimane controverso: i mercati emergenti sono stati tra le migliori asset class da inizio anno, ma resta da decidere se siamo di fronte al trade della decade o piuttosto ad una classica value trap. È il momento di comprare (le valutazioni sono troppo a buon mercato per ignorarle) oppure i fattori negativi (crescita debole, debito in aumento) sono ancora poco compresi e quindi il rischio è sul downside?

Ad una recente conferenza, Bonnie Baha (responsabile Credit Investments di DoubleLine) li ha decisamente inseriti tra le value traps: “Niente è cambiato rispetto allo scorso anno nelle condizioni economiche e finanziarie dei mercati emergenti, nemmeno i prezzi delle commodities, quindi è difficile vedere da dove viene tutto questo ottimismo. 

Mercati azionari
Per cominciare, una tabella da JP Morgan sulle valutazioni attuali: da notare come, con l’ecezione degli US, tutti gli altri paesi trattano a sconto sul book value ma a premio sugli utili (attesi) e sopratutto sui FCF.

Fonte: JP Morgan “Guide to the Markets”, Q2 2106 
Utilizzando invece il solo mercato americano, nel 2015 la performance dell’indice S&P 500 è stata dettata da un gruppo ristretto di aziende: senza le cosiddette FANG (Facebook, Amazon, Netflix e Google), il rendimento dell’indice sarebbe stato negativo.

Cos’altro ha funzionato nel 2015? Le azioni più costose hanno surclassato quelle a buon mercato: le 50 aziende con il P/E più alto hanno avuto una performance di +5,4%, mentre quelle con il P/E più basso hanno fatto -10,9%. Anche growth ha fatto bene: le azioni nel primo decile in termini di crescita hanno registrato un +12,9%, quelle nel quinto decile (crescita più bassa) hanno fatto -5,1%. Le strategie momentum sono andate bene (+2,4%), mentre quelle mean-reversion sono state un disastro (-28,6%): l’esatto opposto di quello che succede su lunghi periodi, infatti negli ultimi 10 anni le strategie di mean-reversion hanno prodotto un risultato annuo di 7,2% mentre quelle momentum di 3,1% [fonte: Vulcan Partners].

E’ quindi arrivato il momento della vendetta del value investing, che è stato fuori moda per quasi tutti gli anni a partire dalla crisi? 


Nelle parole di Joel Greenblatt nella lettera agli investitori dello scorso anno:
“The market this year has put a premium on growth, momentum, companies losing money, passive investing (where money continues to pile into whatever indexes have done well) and money losing IPOs (this is the first time since the late 1990s that over 80% of IPOs are losing money).

In short, the current environment is antithetical to our fundamental approach.

Though we do not know when these conditions will change, our research shows that when the turn comes it is often quick and substantial. As always, we plan to continue with our disciplined process of valuing businesses and managing our portfolio risks. If our strategy worked every day, or month or year and in every market environment, everyone would follow it. Suffice it to say, it doesn’t and we believe they won’t (precisely because of periods just like this one).
Dal punto di vista macro, ad un’altra conferenza Stan Druckenmiller ha invece detto di vendere tutte le azioni: “The conference wants a specific recommendation from me. I guess 'Get out of the stock market' isn't clear enough. Gold remains our largest currency allocation.”

Più in generale, le sue considerazioni sono state:

“Nel 1981, il tasso nominale sui treasuries a 5 anni era del 15%, e quello reale del 5%. E’ stato l’inizio del mercato rialzista, perché gli assets erano a prezzi di saldo e le politiche brutali di Paul Volcker hanno obbligato ad una completa ristrutturazione.
  Se queste sono state le condizioni ideali per il maggior mercato rialzista di sempre, come è possibile che l’esatto opposto, ovvero la situazione attuale, sia anch’essa positiva? Non passa settimana senza che ci sia qualcuno che magnifica le virtù delle azioni solamentre perché non ci sono alternative migliori.
  Non soltanto le valutazioni erano convenienti nel 1981, ma anche la leva era metà di quella attuale. La capacità del credito di sostenere la crescita economica era possibile. La risposta delle autorità alla crisi del 2008 ha invece impedito un vero de-leveraging, e la leva è addirittura aumentata! In maniera ironica, questo è proprio quello che i banchieri centrali vogliono.
  […] Se la Fed utilizzasse gli stessi dati di Volcker e Greenspan, i tassi dovrebbero essere oggi attorno a 3%."
“Quelli che sostengono queste politiche monetarie continuano a chiedere: dov’è l’evidenza di mal-investimenti? Eccola: la crescita negli utili operativi ha raggiunto il picco 5 anni fa ed oggi è addirittura negativa, anche se la leva finanziaria ha continuato ad aumentare.    
“E se questo non è abbastanza, guardiamo all’uso del debito nel ciclo corrente. Mentre negli anni 1990 il debito fu utilizzato per costruire Internet, il debito oggi è usato per financial engineering, non investimenti produttivi.”
“Se stiamo prendendo a prestito dal nostro futuro, il mercato dovrebbe trattare a sconto, non a premio rispetto alle valutazioni storiche. È completamente differente dal 1981, quando il mercato era ad un P/E di 7x, gli utili depressi, i tassi d’interesse pronti per essere ridotti e la produttività in aumento; oggi siamo invece a 18x utili gonfiati, produttività in diminuzione e nessun aiuto dai tassi d’interesse.
Nel frattempo, in Cina…
Sempre da Druckenmiller nella stessa conferenza:

“In risposta alla crisi, la Cina ha intrapreso un programma di stimolo da $4 trilioni. Purtroppo, è stato quasi tutto destinato alle infrastrutture, aggravando la sovracapacità dal lato investimenti.
  Nel 2012 eravamo già preoccupati dagli assets delle banche; bene, in questi 4 anni il credito è cresciuto del 70% del PIL, ovvero dell’intero ammontare dell’economia brasiliana. E questo enorme aumento nel credito disponibile è stato accompagnato da una riduzione della crescita nominale da 12%-15% a 5%-6%. Il sospetto è che gran parte del credito sia finito ad aziende insolventi. 
  Il risultato è che nel periodo pre-stimolo occorreva $1,5 per generare $1 di PIL, mentre oggi ce ne vogliono $7. L’analogia più recente sono gli US a metà degli anni 2000, quando il debito necesssario a generare $1 di PIL aumentò da $1,5 a $6 durante la mania del sub-prime.”
Considerazioni simili da parte di Deutsche Bank: lo stimolo attuale impresso dalle autorità cinesi è molto meno efficace di quello del 2009, quando il credito dispnibile e l’aggregato monetario M2 aumentarono nella stessa proporzione. L’enorma differenza che vediamo oggi suggerisce invece che lo stimolo economico non si è trasformato in maggiori prestiti a famiglie ed aziende, quanto in speculazioni per sostenere le bolle in molti assets finanziari. 
Questo ha reso l’intero sistema più vulnerabile (NPL non dichiarati), esattamente come accadde in Thailandia e Corea prima delle crisi del 1997. Possono passare anche anni prima che questi rischi si materializzino, ma vale sempre la frase di Rudiger Dornbusch: “In economics, things take longer to happen than you think they will, and then they happen faster than you thought they could.”
Altre cose intressanti
Questo grafico riporta la provenienza per paese dei fatturati delle aziende incluse nell’indice S&P500, e rimanda ad un argomento già trattato, ovvero se è conveniente o meno coprire l’esposizione valutaria, soprattutto per gli investimenti azionari.

Infine, una considerazione di John Pelan, che gestisce il family office di Michel Dell, nell’ultima newsletter Graham & Doddsville della Columbia Business School:
“If you look at what investors want today, I call it the Holy Grail: liquidity, transparency, high returns, low volatility, and group validation. The question is this: Is this goal achievable? Does it make sense? The only person I can think of who consistently gave you this is Madoff”

2 commenti:

  1. Well done, Matteo! Finalmente un blog di informazione finanziaria fatto con approccio da analista...qui su Internet sembrano tutti "superesperti" di finanza e scrivono un mucchio di cacchiate. Ti seguo volentieri!! Un saluto Alessandro

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