In senso stretto, “Priceless: the hidden psychology of value” non è un libro sugli investimenti (dello stesso autore preferisco Fortune’s formula), quanto piuttosto una panoramica su come le persone reagiscono alla variabile più persuasiva che esista (il prezzo, appunto) e sulle strategie messe in atto da casino, supermercati, esperti di marketing, etc…, per massimizzare i profitti. Molte delle considerazioni contenute nel libro possono però essere estese dai mercati dei beni fisici ai mercati finanziari.
La base di partenza è quello che gli psicologi chiamano coherent arbitrariness, ovvero l’idea che i consumatori non sanno esattamente quanto qualcosa dovrebbe costare in senso assoluto, ma sono piuttosto influenzati e guidati dalle variazioni relative.
Questo porta alla conseguenza che spesso le preferenze dei consumatori ed i loro prezzi “interni” non sono coerenti. Ogni valutazione soggettiva può essere rivelata con una contrattazione: quando mi viene offerto qualcosa che sembra un affare, lo confronto con il mio prezzo interno e decido se accettare o meno. Praticamente tutta la teoria economica classica è basata su questa semplice premessa: “ogni cosa ha un prezzo”, e questi prezzi determinano le azioni di ciascuno di noi.
Il libro riporta dozzine di esperimenti, dai più semplici ai più complessi, che dimostrano chiaramente come questa assunzione sia in realtà sbagliata, per lo meno come modello generale di comportamento per le persone reali. Gli psicologi hanno ampiamente dimostrato un’enorme ambiguità: le persone non sono capaci di determinare prezzi che sono coerenti con quello che vogliono o con le scelte che fanno. Uno dei casi più noti, dimostrato da Tversky e Kahneman, è quello dell’ancoraggio (“anchoring”): un valore iniziale (“ancora”, qualsiasi essa sia) serve come riferimento mentale e punto di partenza per stimare una quantità sconosciuta.
Molto interessanti questo esempio riportato nel libro: avete a cena degli amici e decidete di aprire una bottiglia di Chianti. Questa bottiglia fa parte di una cassa comprata qualche tempo fa sul mercato dei futures (esistono veramente!), per la quale avete pagato €20 a bottiglia. Quel raccolto si è poi rivelato molto buono ed oggi lo stesso vino costa €75 a bottiglia. Thaler e Shafir [*] hanno posto ad un gruppo di amanti del vino questa semplice domanda: “Quale delle seguenti risposte rappresenta in maniera più corretta quello che ritenete sia il costo del vino che state per bere?”
a) Niente, perché l’ho pagata mesi fa e potrei non ricordare nemmeno il prezzo esatto
b) €20, perché è quanto ho speso all’epoca
c) €20 più interessi (per includere il “costo opportunità”)
d) €75, perché è quanto costerebbe comprarla oggi
e) Meno €55, perché ho un vino da €75 ma l’ho pagato solo €20
Posta in questo modo, non ci sono risposte giuste o sbagliate. Gli economisti invariabilmente scelgono la risposta d): il costo di qualsiasi cosa è quanto serve per riprodurla adesso, quanto si è pagato non ha alcuna rilevanza (per gli economisti i prezzi storici sono un non-sense). La risposta b) è invece naturale per i contabili, perché i metodi per valutare le rimanenze utilizzano proprio il prezzo pagato: un supermercato deve sapere quanto è costato quello che ha in magazzino. La risposta e) capovolge completamente l’argomento, risultando in un costo negativo per un vino invece eccellente! (Sia gli economisti che i contabili potrebbero avere un infarto a questa affermazione…)
La risposta degli economisti, d), è stata data solo dal 20% degli intervistati, mentre le più comuni sono state a) ed e) con percentuali rispettivamente del 30% e 25%. La maggioranza delle persone si è ancorata sui prezzi passati (“dimenticare” quanto pagato significa prendere come riferimento un prezzo di €0).
E questo avviene giornalmente nei mercati finanziari: quello che si dovrebbe guardare è il prezzo corrente rispetto al valore intrinseco (che, come detto precedentemente, non siamo molto bravi a determinare), mentre il livello del prezzo un mese o un anno fa non dovrebbe avere alcuna rilevanza.
[*] Shafir, E. - Thaler, R. H. “Invest now, drink later, spend never: the mental accounting of advanced purchases”, working paper, Graduate School of Business University of Chicago (1998).
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