- Frodi vere e proprie / aziende con contabilità aggressiva (Enron, WorldCom, Parmalat, …)
- “Booms that go bust” accompagnate da eccessiva leva finanziaria (telecom negli anni 1990, subprime, …)
- Declini secolari, spesso dovuti ad obsolescenza tecnologica, che diventano value traps (Pagine Gialle, …)
- Valutazioni insostenibili
Per una veloce sintesi dei benefici e dei rischi si possono leggere questi due recenti articoli di Whitney Tilson: 10 Reasons To Short e 12 Reasons Not To Short. Per chi fosse interessato ad approfondire ulteriormente, anche se un po’ datato la bibbia è The Art of Short Selling di Kathryn Staley.
David Einhorn / Greenlight Capital
Uno dei migliori short sellers è senz’altro David Einhorn, basta ricordare le sue “battaglie” contro Allied Capital e Lehman Brothers. Tuttavia negli ultimi 18 mesi il suo fondo ha avuto una performance terribile: -17% (cumulato) rispetto a +21% per S&P 500, un fatto che ha generato un’enorme attenzione da parte dei media, alcuni esempi qui e qui.
Lungi da me criticare un investitore con il track record di Einhorn e fare accuse gratuite come nel primo articolo (la sua passione per le pennichelle pomeridiane), ma credo che la sua “caduta” sia dovuta a fattori ben più banali, ovvero una combinazione di errori di giudizio, il rischio inerente nello short selling ed in parte sfortuna.
I primi due elementi si ricollegano direttamente al post precedente: non è che al momento non ci siano azioni sopravvalutate da shortare, piuttosto ci sono molti modi di perdere soldi anche se alla fine si ha ragione sui fondamentali e sulla valutazione (un elemento che già di per se è difficile da identificare con precisione).
Molti hedge funds enfatizzano la loro bassa esposizione netta ai mercati, ad esempio affermando di essere solo 20% net long. Ma questa metrica sottostima in maniera significativa il livello di rischio del fondo: la realtà è che spesso hanno un’esposizione gross di 150%-200% (ed oltre), ovvero una leva di 1,5x-2x, che come sempre amplifica qualsiasi errore.
I presunti benefici della riduzione del rischio di un fondo long/short si basano sull’assunzione implicita che la correlazione azionaria su differenti settori/fattori/stili rimarrà sempre positiva: è invece assolutamente possibile e tutt’altro che raro perdere contemporaneamente sia sulle posizioni long che su quelle short. In molte situazioni - la bolla dot.com ma anche negli ultimi anni - interi segmenti del mercato vanno giù (soprattutto quelli value/cheap) mentre altri vanno su (soprattutto growth/bubble). Se si ha un fondo con una esposizione lorda di 200% con significativi disallineamenti settoriali quando le correlazioni si invertono, allora si può finire rapidamente in un mare di guai.
Inoltre, data la loro natura, il risultato più probabile nel medio periodo per le azioni value è che continuino a sottoperformare, mentre per le azioni hyped è che continuino a sovraperformare (stiamo parlando in termini puramente probabilistici: prima o poi ogni trend si inverte). Questo è infatti il motivo per il quale le azioni value diventano cheap sfidando i dettami della market efficiency (per lo meno nella definizione tradizionale di “azioni con problemi”), perché questa anomalia è difficile da sfruttare in maniera pratica per gli investitori istituzionali.
Gran parte della miglior performance di value vs. growth si realizza in dosi concentrate quando avvengono rapide inversioni, come nel periodo 2000-2002 quando il NASDAQ crollò di 80%. Molti dei migliori investitori value passano spesso considerevoli periodi sottoperformando gli indici di mercato. Di conseguenza, un fondo long value / short growth è quasi certo che causerà ricorrenti mal di testa: anche se funziona su lunghi orizzonti, ci sono quasi matematicamente periodi occasionali nei quali si è a serio rischio di far implodere il proprio fondo.
Infine, avere delle posizioni short significa rinunciare ad uno dei principali fattori che contribuiscono al successo di lungo periodo di una buona strategia value: la capacità di aspettare e, in maniera selezionata, fare average down. Supponiamo di entrare in una posizione lunga per il 2% del fondo a €100: se il prezzo scende di 50%, possiamo semplicemente continuare a tenerla ed aspettare. È vero che al momento abbiamo sbagliato, ma la posizione si riduce via via in termini percentuali, e la pressione a vendere diminuisce, anziché aumentare. Si può pertanto aspettare, e magari fare average down. Se investo un altro 2% del portafoglio quando è scesa a €50, si avrà una posizione che pesa per 3% a valori di mercato (4% a valori di costo) ad un prezzo medio di €66. Se torna anche solo al valore iniziale di entrata di €100, si sarà realizzato un guadagno di 50% che contribuisce +2% alla performance del portafoglio. [Questo è un esempio molto semplificato, dove l’unica cosa che cambia all’interno del portafoglio è la posizione in questione.]
Le dinamiche di una posizione short sono completamente differenti. Se vado short per il 2% del portafoglio quando l’azione è a €100 e questa raddoppia fino a €200, adesso ho una posizione che pesa per il 4% del portafoglio. [Le due posizioni sono inversamente equivalenti: una diminuzione di 50% da €100 a €50 richiede un guadagno di 100% per tornare a €100; ed un aumento di 100% da €100 a €200 richiede una perdita di 50% per tornare a €100.] La posizione è raddoppiata anziché dimezzarsi: questo è un problema serio e non posso dormire tranquillo ed aspettare, perché considerazioni di risk management mi porteranno probabilmente a coprire l’esposizione, trasformando quella che potrebbe essere una perdita temporanea solo sulla carta (assumendo che la mia tesi sia alla fine corretta) in una perdita permanente di capitale.
In aggiunta, non si può fare average down (o meglio, average up). Se investo un ulteriore 2% del portafoglio nello short, avrò una posizione di 6% ad un costo medio di €133: un ulteriore raddoppio del prezzo mi porterebbe ad una posizione di 12% (mentre nel caso di una posizione lunga una ulteriore riduzione di 50% mi porterebbe da 3% a 1,5%). Questo crea un rischio inaccettabile.
L’elemento centrale nel successo delle strategie di value investing (comunque definite) è la capacità di investire da una posizione di forza, non di debolezza, ed essere in grado di mantenere la rotta quando il mercato si muove contro di te, mentre il rischio per uno short seller di ritrovarsi compratore forzato è molto reale. È esattamente questo che è successo ad Einhorn negli ultimi anni, e ha anche contribuito alla chiusura del fondo di Whitney Tilson. La loro esperienza evidenzia un problema strutturale dei fondi long/short focalizzati unicamente sulle valutazioni: se si gestisce un fondo long-only (senza posizioni short) che investe solo nelle azioni più cheap, di tanto in tanto si sottoperformerà il mercato, ma si può continuare l’attività e prima o poi si dovrebbe recuperare la performance perduta (e molto di più) quando il ciclo gira. Ma se si è long le azioni che vanno giù ed allo stesso tempo short quelle che vanno su, con una leva di 2x o oltre, l’impatto sui rendimenti può essere rovinoso e permanente – anche se alla fine si ha ragione.
Einhorn e Tilson sembrano aver trascurato questo rischio: le fat tails sono particolarmente importanti quando si va short. Gran parte della divergenza negli ultimi anni è stata dovuta al ciclo economico, ma anche giustificata dal fatto che nell'ultimo decennio si è registrato un livello record di disruption, vera o percepita. Aggiungiamo i bassi tassi d’interesse e non è difficile capire come sia stato facile finanziarsi per queste aziende, che continuano a perdere soldi ma possono continuare a crescere e rubare quote di mercato agli incumbents. Alcune industrie hanno effettivamente subito l’impatto, con fatturati ed utili in declino (gli esempi più lampanti sono i retailer ed i media); in altri casi, le aziende tradizionali hanno continuato a postare risultati soddisfacenti (ad esempio nel settore automobilistico), e le paure di disruption hanno semplicemente portato alla contrazione dei multipli. General Motors ne è l’esempio, ed è infatti la principale posizione lunga di Einhorn: accoppiata allo short su Tesla, ad oggi è stata molto costosa (oltre ovviamente agli short su business altamente scalabili come Amazon o Netflix).
A questi, tuttavia, vanno aggiunte altre due decisioni, che usando il gergo tennistico potremmo chiamare unforced errors: entrambe nel settore finanziario, che dovrebbe essere il pane di Einhorn, hanno contribuito alla performance negativa (almeno per il momento: in futuro potrebbe aver ragione lui).
Brighthouse Financial
Brighthouse Financial (BHF US) è stato il suo principale investimento nel 2017, così descritto nella lettera ai clienti di Greenlight:
“BHF was spun out of MetLife and was formerly most of MetLife’s U.S. Retail business, selling annuities and life insurance. BHF appears to be a traditional spin-off – an underperforming and unloved part of a larger, more successful company. The tone of the spin-off road show was noticeably downbeat, with management advancing a business plan that does not sound particularly exciting for shareholders. Notably, despite very conservative capitalization and high risk-based capital levels, the base expectation calls for no capital return until 2020. The result is a valuation of just 56% of book value and 6.4x 2018 EPS estimates.”C’erano in effetti molte cose che attiravano in BHF: è uno spin-off; il management ha elevati incentivi a migliorare il rendimento del business; è in un settore opaco e complesso; non ci sono prospettive di restituzione del capitale fino al 2020, ed è quindi ignorata dagli investitori che preferiscono una gratificazione immediata; e soprattutto trattava ad un P/BV di 0,56x.
Nel periodo degli acquisti di Greenlight BF trattava attorno a $60, mentre oggi è scesa a $42 ed Einhorn si è sorpreso di come sia potuta diventare ancora più cheap.
In realtà la spiegazione non è troppo complicata: BHF è nel business delle assicurazioni vita di lungo periodo (“long-tailed insurance”), soprattutto le cosiddette variable annuities. Per una banca, l’elemento cruciale è la qualità dei suoi assets (prestiti ed altri titoli finanziari): le banche hanno problemi quando questi investimenti perdono valore perché le loro controparti non possono rimborsarli. Per le assicurazioni, soprattutto quelle con polizze a lunga scadenza, il punto centrale sono invece le liabilities: i loro investimenti hanno in genere un basso rischio (obbligazioni corporate e governative), ma le loro passività sono molto più incerte e dipendono dai tassi di sconto ed altre assunzioni. Un’assicurazione riceve infatti i premi dai clienti e li investe finché non deve pagare le polizze; i guadagni vengono soprattutto dalla differenza tra il rendimento degli investimenti e la valutazione delle passività future. E sono proprio le assunzione utilizzate per quest’ultime che vanno scrutinate: se sono troppo aggressive, anni di eccellenti utili contabili possono essere spazzati via in futuro da maggiori accantonamenti a riserve.
Guardando la slide 24 della presentazione agli analisti, possiamo vedere come BHF potrebbe non essere sufficientemente conservativa:
Per il business di variable annuities (VA) assumono un rendimento annuo di lungo periodo dalle azioni di 8,5% (spiegato nella nota 2: il valore di 6,5% è ottenuto bilanciandolo con il rendimento atteso delle obbligazioni di 3,5%). Questo è abbastanza aggressivo: se si assume un rendimento inferiore (ad esempio 4%), il valore presente crolla precipitosamente, perché queste polizze offrono rendimenti in linea con l’andamento dei mercati ma con dei minimi garantiti (i.e, il valore delle “promesse” aumenta e riduce i guadagni futuri). La riduzione di valore è approssimativamente uguale all’eccesso del book value sulla capitalizzazione di mercato: aggiustando per questo fattore la sottovalutazione su P/BV sparisce.
Non solo: oltre ai fattori appena discussi che sono rilevanti per tutte le assicurazioni di questo tipo, BHF ha anche problemi specifici. Nel suo stato patrimoniale metà del book value è rappresentato da “deferred policy acquisition costs”, ovvero costi sostenuti nella sottoscrizione di nuove polizze che sono capitalizzati in quanto afferiscono (e produrranno valore) negli anni futuri. Se i tassi d’interesse continuassero a salire ed i clienti cancellassero le loro polizze più velocemente di quanto previsto, questi “assets” potrebbero essere soggetto a marcati impairments.
Assured Guaranty
Un caso molto simile, ma stavolta dal lato short, è Assured Guaranty (AGO US), un assicuratore di municipal bonds come MBIA che implose nel corso della crisi. Einhorn ha presentato la sua tesi ribassista lo scorso 23 aprile: quel giorno l’azione trattava a $35 e dopo la sua presentazione scese a $33, me nel corso della giornata risalì di nuovo ed oggi tratta attorno a $42.
La tesi di Einhorn è che AGO ha assicurato molte delle obbligazioni di Porto Rico, che sono in default, ma ha fatto accantonamenti solo per il 20% della sua esposizione nominale ($1 miliardo vs. $5 miliardi di esposizione) con i bond che trattano a 25 cent. Appena il mercato avesse riconosciuto questa “furbata contabile”, l’azione sarebbe crollata.
Questo, tuttavia, non considera un elemento abbastanza ovvio: il book value di AGO è circa $60 e l’azione trattava a $35, quindi già “scontata” di $25 (P/BV era 0,6x). Con 110 milioni di azioni in circolazione, il mercato assumeva già perdite complessive di $2,8 miliardi ($25 x 110 m); e poiché queste sono deducibili a fini fiscali, ad una tassazione marginale di 25% le perdite pre-tasse ammontano $3,7 miliardi. In altre parole, il mercato stava già scontando ulteriori $3,7 miliardi in “riserve”: aggiungiamo $1 miliardo già accantonato, ed il totale di $4,7 miliardi è molto vicino all’esposizione nominale. C'è anche un altro fattore tecnico: le garanzie di AGO non possono essere accelerate, interessi e nominale sui bond in default sono tipicamente ripagati in 20-30 anni ed AGO ha ampia liquidità per evitare una bancarotta improvvisa.
Il mercato stava già prezzando lo scenario peggiore ed era già al corrente del rischio nei bilanci di AGO. Se aggiungiamo che l’economia di Porto Rico è in leggero miglioramento e che i suoi bond hanno recuperato dalla presentazione di Einhorn, è facile comprendere perché da quel giorno il prezzo sia aumentato anziché crollare.
Conclusione
La spiegazione della performance di Einhorn negli ultimi due anni non è dovuta al fatto che ha perso il tocco magico o alle sue “eccentricità” (come sottointeso in uno degli articoli iniziali), quanto piuttosto ad errori non forzati, che sono però inspiegabili per un investitore famoso per l’attenzione ai dettagli ed abituato ad investigare situazioni complicate, soprattutto dal punto di vista contabile.
Potrebbe tornare ai fasti passati? Assolutamente si, personalmente lo ritengo un investitore ben superiore alla media: se il settore tecnologico dovesse schiantarsi di botto i suoi short porterebbero ad una drammatico inversione di tendenza nella performance (a condizione che non lo mettano fuori gioco prima, ad esempio con la continua emorragia di assets da parte di clienti che se ne vanno). L’alternativa potrebbe essere di riconvertirsi a gestore long-only, dove le sue qualità di stock picker potrebbero fare la differenza.
Quello che dovrebbe fare, comunque, è essere più trasparente nell’ammettere i suoi errori: da molti è giudicato infatti testardo, e la sua reputazione non lo proteggerà ancora a lungo se le sue uniche spiegazioni sono: “Le posizioni, sia lunghe che corte, continuano ad andarmi contro, non capisco perché ma prima o poi avrò ragione, fidatevi”.
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