martedì 11 maggio 2021

Inflazione: “Where profits go to die?”

Dopo averla minacciata per svariati anni come lo spauracchio dei mercati finanziari, l’inflazione è finalmente tra di noi – soprattutto nelle commodities di base - anche se dalle statistiche ufficiali non sembrerebbe (ed il motivo è semplice).
Più che i numeri, sono importanti le parole delle aziende: tutte stanno aumentando i prezzi dei loro prodotti, a partire in particolare da quest’estate. [Tutti i commenti sono presi dalle rispettive ultime earnings call trimestrali.]

Kimberly-Clark
Clorox
Unilever
Nestlé
Procter & Gamble
Colgate-Palmolive
3M
Kellogg
General Mills
Newell Brands
Church & Dwight
Spectrum Brands
Whirlpool Corp
È vero che quando questi consumer staples aumentano i prezzi ai consumatori finali non li “restituiscono” quando le condizioni sottostanti migliorano (i.e., non riabbassano i prezzi quando i prezzi delle materie prime diminuiscono), ma è tutto da vedere quanti clienti finali saranno disposti a pagarli.

A tutti quelli che vi dicono che l’inflazione è positiva per le azioni, fate presente che al contrario la storia suggerisce che quando l’inflazione si muove al di sopra delle media di lungo periodo i rendimenti azionari (per lo meno in aggregato) ne risentono.

4 commenti:

  1. Illuminante leggere il tuo post del 2014, che mi era sfuggito.
    Soprattutto l'ultima parte sui margini operativi quando aumenta l'inflazione; si capisce che è un contesto difficile anche per l'impresa incapace di trasferire tutti gli extracosti al cliente, non solo per chi investe.

    In un decennio di sbornia da debito e di valutazioni off charts è un salutare "back to basics", tanto per ricordarci come il rischio azionario dell'investitore sia intrinsecamente legato al rischio di impresa della società quotata stessa.

    E questo comprende i debiti a leverage che più o meno tutti hanno contratto in buona o meno buona fede dei CEO.
    Con questi prezzi molte delle quotate "sexy" a me paiono più degli Hedge fund che imprese "Vanilla".
    Sono anni che Buffett fa poco o nulla; mi pare abbia circa un 145 bln da usare. Chissà se li userà lui o il suo successore tra qualche anno.

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  2. Se per caso lo sa, quali settori azionari (banche, reit, ecc.) o quali factors (value, small, momentum, quality, lowvol, ecc.) performano mediamente meglio in periodi di inflazione crescente?
    Grazie

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    1. Otto, la domanda sui factors me l’hai già fatta: l’unico studio che ho trovato è questo di MSCI (https://www.msci.com/www/blog-posts/factors-in-focus-impact-of/02114302295), quelli che dovrebbero fare bene sono Low Vol, Quality e Value (ma la definizione di Value è quantomeno opinabile)

      Per i settori la risposta è banale: tutti quelli dove le aziende possono passare gli aumenti di costo (sia nelle materie prime che nei salari) ai clienti finali. Quindi molti consumer staples (vedi sopra); real estate (non tutti però: qui entreranno in gioco anche le conseguenze di Covid); industriali di nicchia; farmaceutici/prodotti medici.
      Le banche faranno bene se i tassi nominali aumenteranno più dell’inflazione (i loro bilanci sono fatti di prestiti ed obbligazioni, che perdono valore con l’inflazione).
      Nel settore software l’inflazione non è in genere un fattore (se non attraverso il tasso di sconto): in genere è più importante quanto necessario è il servizio per il cliente / possibili alternative.
      Per le utilities è mix: in genere le bollette sono collegate all’inflazione, ma hanno anche massicci capex.

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