giovedì 26 settembre 2013

Risk parity



[Questo post riprende quanto già pubblicato nel vecchio blog ad inizio anno, con alcuni aggiornamenti] 

Nel 1996, dopo molti anni come consulente di fondi pensione aziendali, BridgewaterAssociates – oggi uno dei più grandi hedge funds al mondo - lanciò la strategia All Weather [1], basata su un approccio che in seguito sarebbe diventato quello che oggi è chiamata risk parity. Diciassette anni dopo, questa strategia è offerta da varie società di gestione anche ai clienti retail.


L’idea dietro la risk parity è che una allocazione tradizionale basata su quanto investito in ciascuna classe non tiene conto dell’effettivo profilo di rischio di quella classe. Ad esempio, una statistica spesso riportata è che un portafoglio composto al 60% da azioni e 40% da obbligazioni (60/40, com’è tipico nel caso dei fondi pensione americani) ha in realtà circa il 90% del rischio, misurato in termini di volatilità, nella componente azionaria. Il rischio è quindi superiore a quello che l’investitore vorrebbe.

Quello che la strategia originaria di Bridgewater cercava di fare era di utilizzare la leva finanziaria sui rendimenti delle varie classi per avere un profilo di rischio costante attorno al 10%. Utilizzando differenti fonti di beta (esposizione neutrale al rischio di un determinato mercato), per ottenere rendimenti sufficienti nel lungo periodo non era più necessario avere un’elevata esposizione alle azioni. La strategia consisteva infatti nel selezionare gli investimenti in modo che il portafoglio si comportasse bene in ognuna di quattro differenti situazioni economiche: 1) inflazione in aumento, 2) inflazione in diminuzione, 3) crescita sostenuta, e 4) crescita debole. Crescita economica ed inflazione furono scelte perché sono i fattori che meglio spiegano la variazione nei rendimenti delle varie classi, in particolare per i portafogli dei fondi pensione che erano i primi clienti di questa strategia per Bridgewater.

Questa metodologia ha delle solide basi nelle teorie economiche. Purtroppo, al successo segue l’imitazione, e la maggior parte delle strategie oggi offerte sono delle copie scadenti del concetto originario. Le implementazioni più semplicistiche usano infatti le stime storiche di volatilità e correlazione per costruire un portafoglio nel quale il contributo marginale di ogni classe alla volatilità complessiva è lo stesso. Mentre questo è il significato letterale di risk parity (ogni classe contribuisce un ugual ammontare di volatilità), queste strategie non affrontano il problema fondamentale. 

Consideriamo ad esempio la relazione tra azioni ed obbligazioni. Le azioni derivano il loro valore dagli utili/flussi di cassa aziendali e quindi questo è maggiore quando la crescita economica è elevata. Le obbligazioni rappresentano un flusso prefissato di pagamenti e valgono di più quando i tassi d’interesse sono in discesa o in situazioni deflazionistiche. Di conseguenza, quando si ha incertezza sull’andamento dell’economia queste due classi dovrebbero essere negativamente correlate. Utilizzando la leva sui rendimenti obbligazionari per renderli simili a quelli azionari, si può investire lo stesso ammontare nelle due classi ed aspettarsi che il portafoglio sia diversificato rispetto al fattore crescita economica. [Senza leva, si dovrebbe avere un portafoglio 20/80 (20% azioni, 80% obbligazioni) per ottenere la stessa diversificazione, ma con rendimenti attesi nel lungo periodo molto più bassi.] 

Tuttavia, questo approccio non considera che sia le azioni che le obbligazioni sono vulnerabili ad un aumento dell’inflazione [2]. Quindi, se l’incertezza è dovuta alle aspettative sull’inflazione piuttosto che sulla crescita, azioni ed obbligazioni saranno positivamente correlate, ed una stima semplicistica delle correlazioni storiche potrebbe non considerare questo evento. Bridgewater ha più volte sottolineato che per determinare i pesi di ogni classe la strategia All Weather non usa le correlazioni storiche, quanto piuttosto delle previsioni su come le differenti condizioni economiche si riflettono sui prezzi delle attività finanziarie: il portafoglio cerca infatti di essere bilanciato su diversi scenari economici.

Purtroppo le persone cercano sempre una scorciatoia. A molti non piace la leva finanziaria, a maggior ragione oggi; e non gli piace pensare a fondo a come strutturare una strategia, e quindi usano la volatilità storica e le stime sulle correlazioni per determinare i pesi di ogni classe. Questo finisce per dare un maggior peso a quelle classi che esibiscono bassa volatilità, e poco peso a quelle con elevata volatilità, che spesso risulta in una concentrazione in una singola classe (tipicamente le obbligazioni). Il rischio diviene di avere certamente bassa volatilità, ma rendimenti bassi o negativi: il portafoglio 20/80 come sopra determinato in una strategia di risk parity naïve è estremamente esposto ad un rialzo dei tassi d’interesse. In fondo, una linea retta in costante discesa ha volatilità nulla… 

Il problema di fondo è che la volatilità non è una (buona) misura del rischio: Bridgewater considera il significato economico di volatilità come una guida per determinare il livello di leva finanziaria nel portafoglio, ma non un fattore nella gestione del rischio. Questo è invece proprio quello che molti fondi non capiscono ed usano la volatilità sia per il livello della leva (quindi basso o nullo) che per il risk management.

Inoltre, questo processo di utilizzare la volatilità e le correlazioni per determinare i pesi nel portafoglio implica che i rendimenti delle varie classi sono un’approssimazione lineare dei fattori di rischio. Questa è una imprecisione, perché i rendimenti delle varie classi sono dinamici ed una funzione non-lineare dei fattori economici sottostanti. Nel caso di azioni ed obbligazioni, ad esempio, la correlazione (che è una misura statistica, non una caratteristica implicita dei mercati) varia nel tempo tra positiva e negativa a seconda del fattore economico prevalente in quel momento. Creare un’allocazione basata su volatilità e correlazioni può portare il portafoglio ad essere troppo esposto ad una classe, e quindi ad avere successo in una singola, specifica condizione economica.

L’idea originaria della risk parity era di costruire un portafoglio che fosse egualmente esposto ai principali rischi economici (crescita ed inflazione). Oggi purtroppo questo concetto è stato frainteso come uguale contributo alla volatilità, ovvero una strategia che da troppo peso alla componente obbligazionaria. I fondi oggi disponibili sul mercato hanno fatto molto bene nel 2011, quando l’elevata allocazione ai titoli di stato sicuri ha dato ottimi risultati, ma meno bene nel 2012 (quando sono andate bene le azioni) e nel 2013 (quando invece gli aumenti anche contenuti dei tassi d’interesse hanno colpito soprattutto le obbligazioni). Poiché gli intermediari spingono quello che si vende meglio - e non quello che avrebbe senso - gli eccellenti risultati dei backtest sono presentati come dovuti alla strategia in sé, piuttosto che all’allocazione alle obbligazioni negli ultimi anni [3].

Purtroppo, una strategia di questo tipo è vulnerabile sia alla crescita dell’inflazione che dei tassi d’interesse: esattamente l’opposto di una metodologia di risk parity. 

[1] Per chi fosse interessato, la storia completa di questa strategia può essere scaricata qui. 
[2] L’argomento molto spesso usato che le azioni sono una buona copertura contro l’inflazione non è assolutamente corretto: alcune lo sono, molte altre no. Soprattutto, tutte le azioni sono vulnerabili ad aumenti dell’inflazione inattesa. 
[3] Vari studi hanno inoltre dimostrato come il periodo di analisi influisce in maniera preponderante sui risultati del backtest di una strategia, e questo vale anche nel caso della risk parity. Ad esempio, per il mercato americano la risk parity ha avuto un rendimento cumulato superiore ad altre strategie nel periodo 1926-2010 (ma non dopo aver contabilizzato i costi di transazione!); ma nel periodo del dopoguerra una semplice strategia di 60/40 avrebbe avuto dei risultati migliori. [Fonte: Anderson – Bianchi -  Goldberg: “Will my risk parity strategy outperform?”, Financial Analysts Journal, 2012]

Nessun commento:

Posta un commento