venerdì 6 settembre 2013

Una veloce valutazione degli asset managers



Se vi piacciono uno o più fondi di una società di gestione, non investite in quei fondi, piuttosto direttamente nelle azioni della società, se è quotata!”. Questa affermazione dovrebbe essere valutata da tutti gli investitori, in particolare quelli interessati alle azioni. Il motivo principale è che quasi sempre queste società hanno una miriade di fondi che coprono le varie classi d’investimento, offrendo quindi una sorta di diversificazione naturale (se la diversificazione è una delle caratteristiche che ricercate in un investimento). In secondo luogo, anche se una strategia può non andare bene in un determinato periodo (pensate ad esempio ai fondi obbligazionari quando i tassi d’interesse sono in rialzo), la società continua ad incassare le commissioni di gestione - non certo trascurabili - in qualsiasi condizione di mercato.

Di asset managers tradizionali ve ne sono decine, spesso con pochissime differenze tra di loro. Tipicamente sono specializzati nei mercati sviluppati e nelle classi tradizionali (azioni ed obbligazioni piuttosto che commodities, real estate, infrastrutture, …), elemento che riflette la natura molto conservativa dei loro clienti. Inoltre, praticamente tutti questi gestori non dimostrano una particolare abilità nel sovraperformare il mercato in maniera consistente. Tutti loro oggi soffrono della inarrestabile concorrenza degli ETF che, in media, hanno performance non dissimili ma a costi inferiori.

Date queste considerazioni ed i risultati degli ultimi anni, molti pronosticano un futuro gramo per la maggior parte dei gestori attivi, ma è innegabile come anche società medie continuino a prosperare, soprattutto dal punto di vista del business. Questo la dice lunga sulla potenza di fuoco dei loro team di sales & marketing, e sull’attrazione irrinunciabile delle commissioni di vendita per promotori finanziari, private bankers e brokers vari! È sorprendente come milioni di risparmiatori continuino a pagare commissioni di ingresso/uscita ed altri caricamenti per investire in fondi comuni, non solo in Italia ma in gran parte del mondo.

Vediamo quindi come analizzare i fondamentali delle società di gestione. La prima, e probabilmente più importante, metrica di valutazione è sicuramente il prezzo come percentuale delle masse gestite (assets under management o AuM). Tradizionalmente questo rapporto è stato un indicatore molto accurato del valore di una società, in particolare in situazioni di M&A: gli acquirenti non sono infatti interessati a margini e profitti, quanto piuttosto agli AuM che stanno comprando. Questo può sembrare strano, ma pensate alle dinamiche di un bravo gestore che ne compra uno più scarso: ovviamente il primo deve essere in grado di mantenere le masse gestite dal secondo, ma ha già il suo back-office, il suo team di ricerca e di vendita, etc… e può rapidamente migliorare i rendimenti dei portafogli ed i margini di profitto. Quello che l’acquirente sta realmente comprando sono in effetti gli attivi dei clienti, che generalmente tendono a rimanere con un gestore a meno di performance disastrose. Quindi non solo il gestore più bravo può ottenere risparmi dal lato dei costi combinando le funzioni operative (sinergie da costi), ma ha anche la possibilità di fare cross-selling con i prodotti delle due società (sinergie da ricavi).

Inoltre gli asset managers hanno un modello di business ben strutturato: commissioni di 1%-2% (alle volte di più) delle masse gestite più 10%-20% come incentivo alla performance è una proposizione che è andata avanti per secoli (il modello “2/20”, ovvero 2% del portafoglio e 20% della performance, può sembrare eccessivo ed introdotto negli ultimi anni dagli hedge funds, ma esisteva già nell’impero romano ed a Babilonia). A differenza di molti altri business, i gestori non devono competere sul prezzo da caricare ai propri clienti: decisamente una bella vita! E questo business ha altri inerenti vantaggi. Per cominciare, richiede molto poco capitale per funzionare: non si deve investire in fabbriche e macchinari e nemmeno in scorte di beni. Tutto quello che serve è un ufficio e pochi dipendenti, quindi i costi sono relativamente fissi e non aumentano in maniera lineare con l’espandersi dell’attività. Una volta che il gestore riesce a raccogliere le masse da gestire, i ricavi nel medio periodo sono molto prevedibili e beneficiano di enormi economie di scala: il costo aggiuntivo di passare da €100 milioni a €1 miliardo in gestione è assolutamente marginale.

Qual è quindi un prezzo ragionevole o uno sconto sufficiente rispetto agli AuM? Nella mia esperienza, i gestori tradizionali trattano in genere ad un prezzo compreso tra 1,5% e 3% degli AuM, mentre i gestori alternativi comandano un premio di 7% ed oltre degli AuM. Molti gestori hanno oggi una combinazione di strategie, quindi una media delle due valutazioni è possibile. Ad esempio, a novembre 2010 Royal Bank of Canada ha acquisito BlueBay Asset Management, specializzato in un mix di fixed income ed investimenti alternativi, per £963 milioni, pari a 3,75% degli AuM in gestione all’epoca. [Un’ultima nota: nonostante i fattori positivi sopra elencati, gli asset managers rimangono un geared play sull’andamento del mercato. Se un gestore ha uno o due anni negativi, viene impattato in tre modi: 1) gli AuM diminuiscono per gli scarsi rendimenti del portafoglio; 2) gli AuM diminuiscono per i riscatti dei clienti; e 3) il sentimento degli investitori porterà probabilmente a dare una minore valutazione agli AuM rimasti.] 

Per quanto imperfetto in altre situazioni, la seconda metrica da esaminare è il prezzo/fatturato (P/sales o P/S). Dal punto di vista di un’azienda, soprattutto in caso di acquisizione, non importano molto gli utili della società target o la loro crescita, quanto piuttosto le vendite (oltre ovviamente a margini e free cashflows). Questo perché il focus è sul presente della società acquisita, in quanto il suo futuro sarà determinato da quello che la società acquirente farà di essa. Ed il P/S cattura relativamente bene queste considerazioni, aggiustato – se necessario – per il livello dei margini operativi.

Osservando la storia dei mercati e le operazioni di M&A, si può vedere che in media un margine operativo di 10%-12% è ricompensato con un multiplo P/S di 1x. Ovviamente ogni caso è diverso e si trovano molteplici aziende che trattano a multipli superiori o inferiori, e spesso questo è più che giustificato (ad esempio dal livello di debito). Quando i margini si espandono, lo stesso fa il multiplo P/S, ma in maniera accelerata, simile all’espansione del multiplo P/E per aziende a rapida crescita: un margine operativo del 40% può significare facilmente un multiplo P/S di 6x ed oltre. Dato il modello di business degli asset managers, questi hanno un margine operativo tipicamente compreso tra 20% e 40%, e quindi mi aspetterei di vederli trattare con un P/S compreso tra 2x e 5x.

Ok, fatte queste considerazioni, quali sono le opportunità disponibili? La tabella che si apre cliccando il link sottostante riassume le principali caratteristiche di alcuni asset managers europei ed americani (più due asiatici) per una rapida comparazione delle valutazioni:


La lista non comprende tutti i gestori quotati, ho fatto piuttosto una scelta tra quelli più conosciuti e con determinate caratteristiche:


  • ho escluso tutte le società con bassa capitalizzazione (inferiore a €50 milioni), ad esempio vari gestori alternativi;
  • ho escluso quelle società che oltre alla gestione hanno anche altre attività: il tipico esempio sono banche ed assicurazioni, per le quali la divisione di asset management è importante ma il cui valore di mercato dipende in larga parte dall’andamento dell’attività principale;
  • ho escluso le società di private equity (KKR, Blackstone, Apollo, Carlyle, Fortress, 3i, Partners Group, Onex, etc) anche se alcune di loro sono presenti nel settore degli hedge funds, soprattutto con strategie del credito: non solo il loro business model è diverso e di conseguenza le loro valutazioni causerebbero una distorsione, ma le azioni disponibili sono spesso nella forma di units nella società operativa, con i soci fondatori che detengono ancora il controllo complicando di molto l’analisi (in futuro potrei tornare sopra quest’argomento).


Tutte le valutazioni sono fatte sulla base dell’enterprise value, ovvero al netto di cassa e debito: il valore di Mkt cap nelle ultime colonne è pertanto dato da: [Capitalizzazione di mercato – liquidità/investimenti + debito] 

Alcune considerazioni che si possono trarre dalla tabella. In primo luogo, la maggior parte di queste società ha una posizione finanziaria positiva, ovvero liquidità ed investimenti superiori al debito. In termini geografici, l’Europa continentale non presenta gestori indipendenti quotati, con le eccezioni dell’italiana Azimut e della svizzera GAM: questo perché i gestori preferiscono rimanere privati (soprattutto quelli alternativi), ma principalmente perché il mercato europeo è ancora dominato dalle SGR di emanazione bancaria ed assicurativa. La lista si riduce infatti ai giganti anglosassoni presenti in tutto il mondo ed in maniera massiccia anche in Italia.


In termini di valutazione, i multipli medi e mediani rientrano nel range indicato precedentemente (con i gestori tradizionali che trattano ad un leggerissimo sconto rispetto a quelli alternativi), ma con un’enorme dispersione: il rapporto tra capitalizzazione ed AuM varia infatti da un minimo di 0,4% ad un massimo di quasi 12%. Parte di questa variabilità è spiegata dal tipo di strategie e dal mix di fondi gestiti: le azioni hanno commissioni maggiori delle obbligazioni; real estate ed infrastrutture hanno commissioni superiori alle azioni. Escludendo le due società canadesi IGM e CI Financial (che non sono puri asset manager ma offrono anche altri servizi), rimangono alcune valutazioni - sia troppo basse che troppo elevate – difficili da giustificare. 

Conclusioni

Un buon investimento è quello che identifica un tema interessante; un ottimo investimento è quello in una società che sfrutta questo tema, ha un passato solido ed un prezzo attuale attraente. Nel caso degli asset managers le mie preferenze sono decisamente per:
a) gestori che sfruttano quei temi di lungo periodo che ritengo migliori, in particolare mercati emergenti/di frontiera e distressed assets (soprattutto in Europa, anche se questi investimenti sono accessibili principalmente attraverso società di private equity, non trattate in questo post);
b) un’azienda ben gestita e con un track record di eccellenza;
c) un prezzo conveniente rispetto agli AuM e – preferibilmente – un consistente surplus di liquidità.

Per chi fosse interessato ad un investimento in un gestore, la selezione dovrebbe quindi concentrarsi su identificare una grande storia, una grande azienda e un grande prezzo. Questa combinazione può trasformare significativamente la relazione tra rischio e rendimento. Se si sbaglia uno di questi tre attributi, gli altri due ci salveranno probabilmente da un disastro. Azzeccateli tutti e tre e vedrete accelerare il rendimento dell’investimento.


2 commenti:

  1. Ciao,

    potresti ripristinare il link relativo a "Tabella valutazioni asset managers "?

    grazie

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    Risposte
    1. quella tabella è molto vecchia, cosa ti serve esattamente?

      Oppure ne trovi una più aggiornata qui: http://mrmarketmiscalculates.blogspot.it/2015/11/asset-managers-italian-job.html

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