lunedì 22 dicembre 2014

Le mie previsioni sul petrolio (ed alcune considerazioni sul settore)

Mi dispiace deludere chi è stato attirato dal titolo, ma non ho la minima idea di dove sarà il prezzo del petrolio tra un mese o un anno. C’è però una buona notizia: non lo sanno nemmeno tutti quelli che vi dicono invece cosa succederà esattamente!

In questi giorni si leggono infatti commenti, interviste ed interventi di dozzine di persone che si sono improvvisamente scoperte esperti di petrolio e geopolitica che predicono che presto tornerà a $100/barile oppure resterà a $50 per sempre. Cercando qua e là si possono trovare le previsioni di alcuni analisti che erano effettivamente negativi: uno di questi, molto quotato, è Ed Morse di Citigroup, che aveva espresso le sue opinioni ribassiste nel 2012, 2013 ed all’inizio del 2014. Ma anche lui aveva previsto un obiettivo di “soli” $75. 

La conclusione più logica è che nessuno di quelli che abitualmente fa queste previsioni si aspettasse un calo così repentino: sarei quindi molto cauto nel stare a sentire chiunque dica di sapere cosa succederà adesso. E non mi interessano le teorie di cospirazioni tra Arabia Saudita, US e Russia.

La mia opinione è che la situazione attuale sia la conseguenza di una combinazione dell’aumento dell’offerta (con il petrolio sopra i $100 molti progetti di esplorazione sono redditizi; e nazioni/aziende indebitate devono pompare più greggio per far fronte alle loro passività quando i prezzi scendono) e traders che sfruttano il momentum. Ma è un’opinione come un’altra, non ho nessuna prova che sia effettivamente così.

Un prezzo basso è positivo per l’economia?
Anche se non si ha nessuna idea di dove il prezzo del petrolio possa andare, è comunque importante cercare di capire quali sono le possibili conseguenze se dovesse rimanere così basso. Al contrario dell’oro, il petrolio è infatti necessario al funzionamento dell’economia globale.

L’idea comune è che un prezzo basso sia un bene per i consumatori: se si spende meno alla pompa di benzina si hanno più soldi per acquistare altre cose, che dovrebbe essere positivo per l’economia. Ma, un momento: non si è detto fino ad oggi che il peggior problema per la ripresa dell’occidente è proprio la deflazione? Quindi perché la deflazione attraverso i prezzi del petrolio dovrebbe adesso essere un bene? C’è forse una deflazione buona ed una deflazione cattiva? Pur non essendo un economista, ho i miei dubbi che un prezzo del petrolio basso sia in ogni caso favorevole per nazioni indebitate che hanno problemi deflativi. Bisognerebbe conoscere bene la relazione tra prezzo della benzina e tassazione in ogni paese per capire se uno stato ne beneficeranno o meno.

Un altro aspetto: gran parte dei petrodollari sono stati riciclati negli ultimi anni nel mercato azionario. Non solo i paesi del Medio Oriente, ma anche ad esempio il fondo sovrano norvegese (Government Pension Fund Global gestito da Norges Bank) oggi è uno dei maggiori investitori in moltissime aziende europee, comprese le small-cap.

Petrolio ed aziende del settore energetico
Chiaramente, tutte le aziende legate al petrolio stanno soffrendo in questi giorni: anche se ci sono business con un’esposizione maggiore (E&P, rigs) e minore (storage), l’intera industria non è certo felice dopo un calo del 50% in pochi mesi.

Il P/E del settore energetico in UK è oggi di 10x, in Europa è a 9x e negli US appena superiore (alcuni paesi come la Russia sono anche molto più bassi), valori simili a quelli toccati nel 2008-2009. Molte di queste aziende oggi sembrano estremamente attraenti se confrontate con il recente passato, ma occorre fare attenzione. Se si guarda a EV/EBIT storici come fatto in questo blog, bisogna ricordare che i multipli passati sono calcolati su un prezzo di $100/barile e non di $60 come oggi.

Il problema è sempre lo stesso: P/E e EV/EBIT, per quanto utili, non sono la stessa cosa della componente più importante nelle valutazioni, ovvero i cash flows. Con gli utili non si pagano i dividendi e nemmeno si fanno gli investimenti necessari. Quello che permette di fare tutto questo sono proprio i cash flows, che per le aziende energetiche sono spesso inferiori ai profitti anche quando il prezzo del petrolio è elevato. In una nota recente, Jeremy Grantham di GMO riassume questo punto in maniera esemplare: nel 2013 l’industria petrolifera ha speso $700 miliardi (rispetto a $250 miliardi nel 2005) per trovare nuove riserve che alla produzione attuale coprono appena 4 mesi e mezzo. Le industrie energetica e mineraria devono spendere enormi risorse solo per mantenere i livelli di produzione attuali, e questo incide in maniera significativa sulla produzione di cash flows (e questo vale anche per tutte le aziende attive nello shale gas).

Detto questo, un’azione che è crollata del 50% o più sembra un’opportunità irresistibile per un investitore value. Questo è tuttavia il classico caso di “fast thinking”, la reazione di “trying to catch a falling knife”. Un vero investitore deve invece essere sicuro che il valore (non il prezzo!) sia rimasto più o meno stabile.

Per giustificare un investimento in azioni legate al petrolio basandosi sulla redditività storica, bisogna infatti assumere che due cose accadano contemporaneamente:

  1. il prezzo del petrolio risalirà
  2. le aziende saranno in grado di generare i margini di profitto del passato
Si tratta quindi di due “scommesse” in una. Soprattutto per aziende capital-intensive, il secondo punto non segue automaticamente il primo (ammesso che anche questo si realizzi): se il ciclo attuale di bassi prezzi dovesse rivelarsi più lungo di quello che ci si aspetta, molti progetti di sviluppo verranno cancellati perché non più economici, e tutto quello che è collegato agli investimenti delle aziende energetiche sarà in guai seri.  

Un trader può semplicemente speculare su un rimbalzo e controllare ogni giorno come va. Ma per un investitore è necessario essere sicuri che l’investimento scelto sia soggetto a mean-reversion. Per le aziende capital-intensive e con molto debito, il rischio è che le migliori opportunità d’investimento si materializzeranno più avanti quando gli azionisti attuali saranno stati spazzati via (come nel caso di OW Bunker). Sia Blackstone che Oaktree hanno detto recentemente che stanno guardando al settore, e sono sicuro che oltre a loro tutti i grandi fondi di private equity/distressed investments stanno già contattando banker esperti.

Potenziali opportunità
È possibile che il ciclo attuale porti il settore Oil & Gas al classico momento di “Eureka!”, in maniera simile a quello che è successo per altre industrie che erano abituate a spendere enormi quantità di soldi. Ad esempio, la recente crisi ha portato le assicurazioni a ridurre le spese per far crescere i propri business, perché si sono accorte che non ottenevano rendimenti sufficienti su questi investimenti. Oppure i retailers, che attaccati dalle vendite online hanno smesso di crescere costruendo nuovi, inutili punti vendita. Forse anche l’industria energetica si accorgerà che spendere per mantenere appena la produzione attuale non ha molto senso (economico). A quel punto i cash flows dovrebbero migliorare e queste aziende diventare delle migliori proposizioni, anche se questa disciplina verrà a scapito di minore produzione futura.

Le migliori occasioni al momento sono investimenti in “danni collaterali”, come aziende non energetiche in paesi che invece dipendono dal petrolio. La Norvegia è sicuramente un paese che adesso è divenuto ancora più interessante del solito, perché la sua stabilità ed i suoi fondamentali la mettono al riparo da ulteriori problemi. Lo stesso si può dire del Canada, anche se la situazione di molti E&P nel paese non è così rosea (ad esempio, Talisman Energy era scesa del 75% prima di essere “costretta” a vendersi a Repsol). La Turchia e la lira turca sono state colpite in maniera massiccia dalla crisi del rublo perché la Turchia è uno dei principali partner commerciali della Russia; ma è anche un paese importatore netto di petrolio e questo dovrebbe portare ad una diminuzione delle spinte inflazionistiche.

Altri esempi che potrebbero essere interessanti includono le società di distribuzione del petrolio (non le raffinerie) o le aziende di infrastrutture come storage e natural gas grids, che guadagnano sul volume indipendentemente dal prezzo. Attenzione invece alle linee aeree che sono rimbalzate in alto nelle ultime settimane: il carburante è la componente maggiore dei loro costi ed indubbiamente nel lungo periodo beneficeranno di prezzi più bassi, ma nel breve potrebbero avere dei problemi di liquidità sui loro enormi hedge. Se un’aerolinee usa contratti forward per bloccare il costo del carburante, adesso devono offrire più collaterale alle loro controparte, perché questi contratti sono oggi enormemente negativi in termini di mark-to-market.

I mie consigli:

  • ignorate le previsioni sul prezzo del petrolio da parte di chi non aveva previsto la situazione attuale (essenzialmente: tutti!)
  • evitate tutte quelle situazioni che sono overleveraged, a meno che non vogliate fare trading di breve
  • cercate di capire quali parti del vostro portafoglio hanno un’esposizione (diretta o indiretta) al petrolio ed in quale direzione, e domandatevi se siete a vostro agio con questa esposizione
  • non abbiate fretta, fate in modo che la parte “slow thinking” del vostro cervello assuma il controllo: le migliori opportunità arriveranno tra qualche tempo

2 commenti:

  1. ciao Matteo,

    sicuramente il tuo è un buon consiglio, pensare due volte è sempre meglio che pensarci una volta sola, ma ...
    Indubbiamente così come non era previsto il crollo del petrolio era ancora meno previsto che arrivasse a tali bassi livelli. E' vero che nessuno sa quando risalirà ma a meno di non trovare altre migliori fonti energetiche da qui a qualche anno (che volendo fare i complottisti già ci sono) non c'è dubbio che tornerà almeno a livelli che sono nella media degli ultimi anni. Negli anni '70 successe il contrario e il picco del petrolio l'abbiamo passato (shale gas a parte). Ovviemente sono considerazioni tagliate con l'accetta, ma non credi che una piccola scommessa diciamo con un tempo sufficientemente lungo (5 anni) possa essere facilmente vinta?

    a presto

    Antonio

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  2. Purtroppo negli investimenti non c'è niente di "facile" ("Investing is simple, but non easy" - Warren Buffett).

    Riguardo la teoria del “peak oil”, non sono affatto un esperto geologo, ma sono in molti a sostenere che sia sostanzialmente sbagliata: non solo lo shale gas, ma anche maggiore efficienza nelle estrazioni hanno aumentato la produzione e la disponibilità di petrolio. Leggendo qualche ricerca negli ultimi giorni (se ne trovano di tutti i tipi…), ho trovato che la capacità produttiva è oggi di 101 milioni di barili/giorno, a fronte di una domanda attuale di 92,5 milioni di barili. Lo stesso FMI ha appena detto che la domanda è inferiore di 800,000 barili/giorno rispetto a quanto stimato solo 6 mesi fa. Se lo squilibrio è dalla parte della domanda (e non dell’offerta) anche attendere che l’Arabia Suadita/OPEC riducano la produzione non aiuterà molto.

    Sicuramente con un orizzonte temporale sufficientemente lungo la "scommessa" dovrebbe avere un payout positivo, ma non si tratta di una opzione gratis, né tanto meno garantita. Su cosa eventualmente comprare, le majors del settore (Exxon, Shell, ENI, etc…) non mi fanno particolarmente impazzire, ma questa è una mia opinione personale. Ma soprattutto non mi piace fare un investimento che darà risultati soddisfacenti solo nel caso si avveri una specifica situazione macroeconomica (il prezzo del petrolio prima o poi risalirà).

    I prezzi attuali non sono ancora a livello distressed da darmi sufficiente margine di sicurezza: in molti segmenti del settore Oil&Gas i multipli oggi sono più bassi di qualche tempo fa, ma sono scesi soprattutto perché è sceso il numeratore (prezzo). Il problema è cosa succederà quando scenderà anche il denominatore (utili, fcf, o altro).

    Detto questo, sono sempre alla ricerca di nuove idee ed opinioni discordanti, quindi qualsiasi suggerimento è ben accetto!

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