giovedì 23 agosto 2018

Spotify (ed altre): servono nuove metriche di valutazione?

Un vecchio detto di Sir John Templeton (“Le quattro parole più pericolose sono: questa volta è differente!”) diventa particolarmente vero quando i bulls cominciano a spingere per l’uso di nuove metriche di valutazione perché i prezzi hanno superato qualsiasi livello possa essere giustificato da quelle più tradizionali. Questo approccio si accompagna infatti spesso ai picchi di frenesia del mercato: “price-to-eyeballs” rimane uno dei migliori ricordi della bolla Internet degli anni 1990…

Con questa premessa, si può tuttavia argomentare che i principi economici di un selezionato numero di aziende (e con questo non intendo assolutamente tutte) siano sostanzialmente differenti da quelli dei business non-digitali: di conseguenza, i loro fondamentali devono essere interpretati – e le loro azioni valutate – con questa differenza ben presente. E quando sono correttamente comprese, diventa chiaro che alcune aziende (ancora una volta, non tutte) possono in molti casi essere ragionevolmente valutate nonostante continuino a perdere enormi quantità di soldi.

In questa fase del ciclo, con le azioni tecnologiche già molto costose, questo potrebbe essere utile, più che per giustificarne l’acquisto, per mettere in guardia contro andare short alcuni titoli a valutazioni apparentemente stratosferiche. Alcuni investitori (ad es. Einhorn) non sembrano averlo compreso, e sono sul punto di far implodere i loro fondi continuando a shortare questi nomi.

La principale differenza tra le attività software/online/basate su app e quelle tradizionali è che Internet ha rimosso praticamente tutte le barriere di tempo e distanza, rendendole in grado di raggiungere istantaneamente il mercato globale con costi marginali aggiuntivi minimi o nulli (e quindi margini lordi incrementali prossimi a 100%). Inoltre, molti di questi settori sono di tipo “winner takes all”, nei quali le prime aziende a diventare dominanti possono monopolizzare i profitti. Le economie di scala non sono certo un concetto nuovo, ma per queste aziende possono assumere dimensioni senza precedenti.

Per un'azienda di software i ricavi ed i profitti crescono in maniera esponenziale, mentre i costi di supporto (ad esempio lo sviluppo dei sistemi tecnologici e di back-end) crescono più linearmente. Questo divergente andamento geometrico fa sì che attività attualmente in perdita - a condizione che possano continuare a scalare esponenzialmente i ricavi - possano potenzialmente raggiungere un punto nel quale la redditività esplode letteralmente verso l'alto. Questo profilo di rendimento è notevolmente diverso dalle imprese industriali o di beni di consumo, dove ricavi e costi si muovono in maniera molto più proporzionale, dato che l'accesso al mercato può essere generalmente incrementato solo gradualmente nel tempo sotto forma di reti di distribuzione fisica, nuove fabbriche, … Inoltre, per queste aziende sono necessari sufficienti livelli di redditività per finanziare gli investimenti necessari per ampliare l'accesso al mercato, mentre in molti casi le imprese tecnologiche sono capital-light e non sono soggette a tali limiti. Infine, una parte significativa dei costi deve essere sostenuta in anticipo (sviluppo del software, così come l’acquisizione dei clienti) ed in gran parte indipendentemente dal livello di profitti generati. Per un’azienda con tali economie di scala, le perdite (contabili) attuali possono essere un indicatore altamente fuorviante del valore del business.

Una metodologia migliore rispetto all’utilizzo di multipli attuali di fatturato, profitti o flussi di cassa, è l’approccio utilizzato dai fondi di venture capital:

  1. Si stimano ricavi/profitti che potrebbero essere ottenuti dopo qualche anno se viene intercettata una determinata percentuale del mercato potenziale totale
  2. Si stima la possibile struttura futura dei costi operativi, e quindi la redditività potenziale a questa data futura
  3. Si determina un multiplo “tradizionale” al quale l’azienda potrebbe trattare una volta raggiunta la maturità
  4. Si stima il tempo necessario per raggiungere questo stato, e si attualizza il valore terminale usando un tasso di sconto realistico
  5. Si includono eventuali aumenti di capitale (e quindi diluzione) necessari per finanziare l'attività finché i flussi di cassa non diventano positivi
  6. Forse l’elemento più importante e frequentemente trascurato, si assegna un peso probabilistico al risultato ottenuto.
A titolo di esempio, prendiamo Spotify (SPOT US): al momento ha una capitalizzazione di $34 miliardi con una liquidità netta di $800 milioni. Nel 2018 dovrebbe generare un fatturato di $5,2 miliardi, con un margine lordo di $1,3 miliardi e perdite operative di $250 milioni (quindi spese operative stimate in $1.550 milioni). Guardandola sotto le metriche tradizionali, SPOT appare molto costosa, trattando ad un EV/sales di 7x e con profitti negativi (ma FCF appena positivi).

Tuttavia, una metodologia alternativa indica la possibilità che l’azienda sia ancora sottovalutata. SPOT ha un business model straordinariamente scalabile e sta emergendo come “il” leader in un settore il cui mercato potenziale a lungo termine potrebbe rivelarsi una frazione non immateriale dell’intera popolazione mondiale (assumendo che lo streaming a pagamento diventi il mezzo con il quale la maggior parte dei consumatori accedono alla musica). In assenza di collusione tra le etichette discografiche, un margine lordo di 25% dovrebbe rivelarsi sostenibile, perché la maggior parte dei costi di vendita è costituita dalle royalties pagate agli artisti, e le principali etichette discografiche sono tra gli azionisti di SPOT (anche se alcuni hanno approfittato della quotazione per uscire, vedi Sony e Warner Music). Infine, man mano che le dimensioni e la posizione dominante aumentano, l’accesso alla sua piattaforma di distribuzione diventerà tanto importante per le etichette discografiche quanto sarà per SPOT avere i diritti dei loro artisti per continuare ad attrarre ascoltatori: SPOT potrebbe finire per rappresentare la maggior parte dei ricavi dell'industria musicale e quindi abbandonarla potrebbe comportare una grave perdita di entrate e quote di mercato per l'etichetta in questione, che rischierebbe la defezione dei suoi principali artisti.

Oggi SPOT ha 83 milioni di abbonati paganti: come leader di mercato in un settore in crescita esponenziale ipotizziamo che possa raggiungere 1 miliardo di abbonati tra qualche anno, pari a circa il 13% della popolazione globale. Oggi il costo dell’abbonamento premium è di $9,99 al mese: supponiamo che tra promozioni ed altro ogni utente spenda $100 all'anno (nota: $100 tra 10/15 anni saranno una spesa “inferiore” a $100 oggi, e quindi SPOT potrebbe aumentare i prezzi). Questo si trasforma in un fatturato potenziale di $100 miliardi, ovvero $25 miliardi in margine lordo.

Come potrebbero evolversi i costi operativi durante questa crescita? È probabile (ma non certo) che crescano a un ritmo molto più lento del fatturato date le enormi economie di scala associate ai costi di supporto. Supponiamo che crescano di 3 volte fino a circa $5 miliardi: ciò porterebbe ad un EBIT potenziale di $20 miliardi, e profitti di $15 miliardi al netto delle imposte medie.

In questa data futura, l’azienda sarebbe matura e molto redditizia e potrebbe comandare un P/E di 20x, per una capitalizzazione di $300 miliardi, ovvero circa 9x quella attuale. Inoltre, vista la liquidità attuale, le perdite in diminuzione ed i FCF leggermente positivi, sembra improbabile che siano necessari aumenti di capitale per finanziare la crescita. [Nota: questo sembra essere proprio il punto che quelli che sono long Tesla sottostimano]. Come contraltare, ignoriamo qualsiasi flusso di cassa positivo che potrebbe essere generato prima del nostro anno terminale.

Quanto ci vorrà per raggiungere 1 miliardo di utenti? Ai tassi di crescita attuali (40% annuo), poco più di 7 anni; diciamo che la crescita rallenterà e ci vorranno 10 anni (+28% annuo). Scontato al 15% porta ad un valore presente di $75 miliardi.

Infine, dobbiamo anche valutare le probabilità di questo scenario positivo, perché non è certo garantito. SPOT è in competizione con giganti come Apple Music e Amazon, ed è possibile che non sia in grado di differenziarsi sufficientemente nel lungo termine, in particolare se Amazon iniziasse a regalare musica gratuitamente al suo crescente esercito di membri Prime (contrattare con le etichette discografiche e sviluppare proprie playlist basate su algoritmi non è complicato, e toglierebbe a SPOT qualsiasi possibilità di “bloccare” i propri clienti).  Apple rappresenta una minaccia minore in quanto la maggior parte degli smartphone globali sono Android, sebbene possa contare sulla disponibilità di spesa dei suoi fan.

Se attribuiamo a SPOT una probabilità del 50% di raggiungere gli obiettivi precedenti e, per semplicità, una probabilità del 50% di fallire completamente (cioè non esiste uno stato intermedio di successo parziale), arriviamo ad una capitalizzazione di $37-38 miliardi, non distante da quella attuale. Si può giocare con una qualsiasi delle suddette variabili, regolando la probabilità di successo, gli abbonati terminali, il tempo necessario per arrivarci, il tasso di sconto o i margini operativi, per arrivare a differenti stime (per chi volesse farlo, il mio spreadsheet molto semplificato è disponibile qui: basta modificare le celle arancioni).

Una valutazione esatta di SPOT o se avrà successo o meno non è il punto centrale di questo post. Piuttosto il fatto che gli elementi chiave della valutazione hanno molto poco a che fare con i profitti attuali, e molto di più con la probabilità di successo, il bacino di abbonati ed il tempo necessario ad arrivarci: basta ridurre il tasso di crescita degli abbonati al sempre rispettabile 20% annuo e la valutazione scende a $15 miliardi. Questo evidenzia perché i mercati non prestano molta attenzione alla redditività di breve termine di queste aziende ed invece (appropriatamente) si focalizzano sulle tendenze degli utenti paganti e dei margini di profitto lordi. Non è che i costi di supporto siano irrilevanti: è che sono un driver molto meno importante nella valutazione a lungo termine. Questo è il motivo per il quale vediamo alcuni titoli schizzare verso l’alto in risposta a trend di crescita degli abbonati favorevoli (ad esempio, Netflix all'inizio di quest'anno), anche se gli utili a breve termine mancano le aspettative. [Nota: ovviamente vale anche all’opposto: crolli in conseguenza di crescita degli abbonati inferiore alle attese, sempre Netflix qualche mese dopo.]

Comprendere questo quadro è importante, in particolare se si è interessati ad andare short aziende che sembrano costose secondo le metriche basate sugli utili correnti. Einhorn è uno di questi investitori, e ha davvero bisogno di capire queste cose il più presto possibile e chiudere i suoi disastrosi “bubble basket shorts” che stanno rovinando il suo track record. Il fatto che non comprenda quanto sopra è evidente non solo nei nomi che ha scelto di shortare (Amazon, Netflix, Tesla), ma soprattutto nei suoi commenti nelle lettere trimestrali, dove continua ad esprimere sconcerto sul perché questi titoli continuino a salire nonostante le costanti perdite. Non ha capito il punto!

Se uno sia ottimista ed interessato ad andare lungo su SPOT o altri titoli simili, è una questione completamente diversa: ma attenzione ad andare short contando su un prossimo crollo perchè non ci sono utili. 

18 commenti:

  1. Un parere su Tesla? Io non vedo motivi per paragonarla ad Amazon, Spotify, Netflix.!

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  2. Tesla è citata perché è nel basket short di Einhorn.

    È differente dalle altre ma non troppo: anche in questo caso il driver della valutazione è il numero di auto che riuscirà a produrre e vendere (oltre ai margini su ognuna di queste). La differenza principale, come detto nel post, è che Tesla necessita di massicci investimenti per arrivare al “valore terminale”, al contrario di Spotify ed altre (ma non tutte: anche Netflix ha bisogno di investire continuamente in contenuti).

    Io non credo personalmente molto a Tesla, per svariati motivi tra i quali il comportamento di Musk, ma è comunque un titolo difficile da shortare solamente sulla valutazione elevata: non per motivi tecnici ma per le considerazioni precedenti.

    Poi ovviamente le conclusioni per ognuno di questi titoli (più Google, Baidu, Tencent, Alibaba, …) possono essere diverse.

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  3. OK, infatti a mio avviso Tesla non differisce molto dagli altri produttori di auto e decisi di shortarla per molteplici cause (che ora non elenco perché sono trite e ritrite).
    E' l'unica azienda che sto shortando, convinto che porterà i libri in tribunale (e il pricing dell'obbligazione è abbastanza allineato a questa visione). Al momento sono comunque "vittima" di questa esuberanza irrazionale (short da 260 di media) e mi rendo conto dei rischio che tale irrazionalità possa anche aumentare nel breve/medio periodo. PEr questo ho mantenuto l'importo dell'operazione abbastanza basso.

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    1. Sono sostanzialmente d’accordo, magari Tesla vale zero o giù di lì, ma è difficile che vada in bancarotta: è sempre possibile che arrivi qualcuno (i soliti sauditi o la Softbank di turno) che fanno un aumento di capitale o magari mettono i soldi per fare il buy-out a $420. Ci sono più soldi che buoni gestori, per questo è uno short rischioso…

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    2. Come non detto: ho appena visto che ha deciso di "rinunciare" al buy-out (https://www.bloomberg.com/news/articles/2018-08-25/tesla-to-remain-public-at-request-of-shareholders-musk-says), anche perchè gli conviene che rimanga pubblica

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    3. Di Tesla ne ha parlato anche Giovanni Tamburi nel suo libro (molto bello!) Prezzi e Valori; anche a suo parere le quotazioni di Tesla non avevano senso, lui investì invece molto in FCA (e col senno di poi ha fatto un buon affare). A proposito, hai letto il libro di Tamburi? A me è piaciuto molto

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    4. Non sono grande conoscitore di Tesla ma a ben guardare manca(cherebbe) un elemento cardine per una valutazione a multipli stratosferici: winner takes all. Non sarà l’unico player a produrre l’auto elettrica, abbiamo compreso che ci stanno andando tutti. E fare auto non sarà un’esclusiva di un solo player. Vero che svilupperà il business “batterie” ma anche li immagino complicato essere monopolista o quasi.

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  4. caro matteo, credo che su spot tutto si giochi sull'analisi del vantaggio competitivo. E un analisi del genere sembra essere più una scommessa che altro.. forse è in grado di dare fare una valutazione più un esperto di settore che un analista finanziario. Che ne pensi? Certo attraggono i rendimenti da capogiro di queste società, ma la ricerca di buone società nei mercati europei, come stai facendo, credo sia una scelta intelligente, di sicuro più al riparo dai cigni neri

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    1. Non potrei essere più d’accordo: i migliori investitori (per lo meno quelli value) sono più business analyst (capiscono i vantaggi competitivi, i margini, il capitale da investire, cosa può andare e bene e soprattutto cosa potrebbe andare male) che equity analyst (che si focalizzano invece sul DCF o i multipli…).

      Ovzon mi dispiace ma non la conoscevo, la metto nella lista delle cose da guardare ma non posso garantire che arriverò a farmi un’opinione. Comunque anche Spotify, anche se quotata al Nasdaq, è svedese.

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    2. ti sei fatto un'opinione?

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    3. una società allo stato embrionale come ovzon non saprei come poterla valutare

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    4. mi spiace non ho avuto tempo, ma non credo di poter aggiungere molto perchè non rientra nel mio circolo di competenza.

      un modo per partire per fare una valutazione può essere quello del venture capital descritto sopra: dal mercato potenziale (TAM, total addressable market), capire la quota raggiungibile, i prezzi applicabili, la struttura dei costi e da li arrivare agli utili potenziali. Poi applicare un multiplo che si ritiene coerente ed attualizzarli ad oggi.

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  5. seguo comunque la svedese ovzon, molto meno sotto i riflettori di mercato

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  6. se mi dai una tua opinione mi farebbe piacere

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  7. Buongiorno Matteo,

    GDS Holding e' una data center business che opera in Cina quotata sul nasdaq.

    E' stata recentemente attaccata da Blue Orca Capital (ex Glaucus) per acquisizioni strapagate e frodi contabili ( a detta di Blue Orca).

    Il prezzo e' andato da $45 a $20 intraday e ora tratta a $35. (MC attuale: $4.3b)

    Premesso che il settore data centre e' molto sexy, la valutazione di GDS e' a dir poco fuori controllo nonostante le news.
    Il mercato sembra fregarsene della quantita' di debiti e della mancanza di FCF e la prezza a 50x EV/ adj ebitda.

    Penso che sia un caso interessante e se ti e' capitato di darci un occhiata mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi.

    Buona giornata

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    1. Come detto varie volte, mi piacerebbe sapere tutto di tutto ma so che questo non è possibile.

      Non ho nessun vantaggio competitivo ad andar ad analizzare un’azienda cinese senza conoscere alcunchè del mercato locale, dei proprietari, del management, etc…, a maggior ragione per andare short.

      Conosco Blue Orca, non metto in dubbio che abbiano fatto le loro analisi ed abbiano (probabilmente) ragione, ma “not my cup of tea”.

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  8. All good,

    Ci ho provato, grazie per la risposta.

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