Nell’attesa dell’ufficialità, ho provato a studiare le possibili conseguenze per i mercati finanziari della nuova amministrazione democratica, e di quali potrebbero essere le future relazioni con la Cina.
Queste sono le principali implicazioni che ho identificato, ovviamente il futuro non è mai così semplice e lineare: sono sempre alla ricerca di più colore, quindi correggete pure eventuali errori ed aggiungete altri spunti.
Multi-polarità geopolitica
Come detto, le relazioni tra US e Cina rimangono complicate nonostante il cambio di amministrazione. Dopo aver votato Trump nel 2016, i colletti blu americani sono tornati di nuovo verso i democratici: ma se c’è una cosa sulla quale i “lavoratori” di qualsiasi partito concordano è che sono pagati poco (a tutto vantaggio del capitale), e di questo incolpano principalmente la Cina (anche in Europa).
Anche se non ufficialmente, i due paesi sono di fatto oggi in una Cold War 2.0 che potrebbe segnare la fine di Chimerica. Le tensioni attuali non sono dovute solo all’aggressiva espansione economica e politica della Cina, e nemmeno alle azioni di Trump: il progressivo disinteresse per il cosiddetto “Washington consensus” era evidente anche nelle relazioni internazionali dell’amministrazione Obama e prima ancora in quella Bush.
Dalla fine della Guerra Fredda, le tensioni geopolitiche sono rimaste in secondo piano tra le preoccupazioni degli investitori. Questo perché la caduta dell’Unione Sovietica inaugurò un’era di egemonia americana che è durata oltre tre decadi: il potere economico, commerciale e militare era infatti concentrato sempre più negli US come unica super-potenza. Questo periodo è stato caratterizzato da stabilità e da influenze regionali che non osavano perseguire politiche estere indipendenti per paura di ritorsioni da parte di US: libero commercio e politiche di laissez-faire sono state la norma.
Oggi siamo invece in un periodo di multi-polarità, nel quale il numero di stati in grado di decidere autonomamente le proprie politiche estere è superiore ad uno (uni-polarità) o due (bi-polarità). Quando esattamente ci sia stato questo passaggio è discutibile, ma è abbastanza evidente negli eventi attuali: gli Stati Uniti rimangono la forza militare ed economica preminente, ma la loro sovranità non è più incontrastata. La stessa Unione Europea, seppur frammentata e priva di una struttura di comando militare, sta forgiando la propria strada nelle relazioni internazionali, e laddove i suoi interessi sono in conflitto con quelli degli Stati Uniti sembra disposta ad agire di conseguenza: è successo nella politica industriale (Airbus), nella sicurezza energetica (Nordstream 2) e nelle relazioni con Ucraina, Bielorussia e Turchia. Un mondo multi-polare spinge inoltre verso una maggiore integrazione all’interno dell’Unione Europea, perché con “minacce” in crescita ai confini (Medio Oriente, Russia) le nazioni europee difficilmente potranno seguire la strada dell’uscita scelta da UK.
La preoccupazione maggiore è come questa multi-polarità impatterà le economie globali, in quanto è più difficile raggiungere un equilibrio, un tema poco gradito agli investitori perché comporta incertezza, premi al rischio più alti ed eventi estremi non anticipabili. In particolare nei mercati emergenti e di frontiera, dove molti conflitti che sono rimasti irrisolti e sopiti dall’egemonia americana potrebbero adesso riesplodere.
La conseguenza più diretta è un mondo meno, e non più, globalizzato: non solo le potenze regionali cercano di aumentare la loro sfera di influenza, che è per definizione incompatibile con la globalizzazione, ma soprattutto manca un leader capace di garantire coordinamento economico e stabilità geopolitica. La globalizzazione è, al margine, deflazionistica: un mondo meno globalizzato potrebbe vedere maggiore inflazione.
Se il contesto della politica economica diventerà sempre più politicizzato, quali sono le implicazioni per gli investitori? I settori più direttamente toccati sono: a) commercio; b) investimenti; c) sistemi finanziari internazionali (vedere cosa è successo negli ultimi giorni con la cancellazione dell’IPO di Ant Financial); e d) tecnologia.
È probabile che un mutamento del contesto giuridico e normativo influenzi il raggio d'azione dell'attività degli investitori, una possibile inversione completa della tendenza esistente (l’esempio più eclatante è la proposta di delistare dalle borse americane le aziende cinesi che non rispettano i criteri di bilancio richiesti): i rischi legali degli investimenti in Cina sono in significativo aumento. Cresce anche il rischio reputazionale (la “S” in ESG), sia per le aziende che per gli investitori stessi: negli US sono state approvate leggi che proibiscono ad alcuni fondi pensioni statali di investire in Cina. Arriverei ad azzardare che gli investitori domestici e quelli esteri hanno un costo del capitale molto differente per le stesse attività cinesi, più alto ovviamente per quelli esteri.
Anche con la nuova amministrazione Biden, il detto “Don’t fight the Fed” potrebbe essere sostituito con “Don’t fight the State Department”.
Queste sono le principali implicazioni che ho identificato, ovviamente il futuro non è mai così semplice e lineare: sono sempre alla ricerca di più colore, quindi correggete pure eventuali errori ed aggiungete altri spunti.
- Ci sono ancora da decidere i due seggi senatoriali in Georgia, che andranno al ballottaggio in gennaio, ma è molto probabile che rimarranno entrambi Repubblicani, o almeno uno dei due: quest’ultimi manterranno quindi la maggioranza al Senato
- Se invece andassero entrambi ai Democratici i seggi sarebbero 50/50: in caso di parità in una votazione è decisivo il voto del Vice-Presidente degli US – in questo caso Kamala Harris – che è anche Presidente del Senato ma che non ha diritto di voto se non proprio in situazioni di parità
- La prima conseguenza di un Senato controllato dai Repubblicani è che per almeno i primi due anni non ci sarà alcun aumento della tassazione aziendale: dopo la riduzione da 35% a 21% fatta da Trump, i rumours indicavano l’intenzione di Biden di rialzarla verso 27%-28%
- Ci sarà un ulteriore stimolo fiscale, ma inferiore a quanto discusso fino ad oggi: probabilmente $1-1,5 trilioni anziché $2 trilioni, anche per la possibilità di avere a breve un vaccino efficace
- Non ci riprenderà la guerra commerciale con la Cina e soprattutto l’Europa, ma le relazioni con la Cina rimangono molto complicate (vedi sotto)
- Ci sarà maggiore focus sulla regolamentazione dei mercati finanziari, anche se il prossimo Segretario del Tesoro non sarà Elizabeth Warren. Possiamo anche ragionevolmente escludere che sarà un altro banchiere: si è parlato di Jamie Dimon di JP Morgan per i suoi legami con Barack Obama, ma difficilmente i Democratici metteranno un altro amico delle banche
- Ci sarà anche maggiore attenzione ai temi “green”: Biden ha promesso tra i suoi primi atti di rientrare nell’accordo di Parigi sul clima
- I democratici sono pro-UE (da sempre sono favorevoli ai governi delle “élite” rispetto all’umore del popolo) e contro la Brexit: UK può ancora ottenere un accordo commerciale con gli US, ma nonostante i legami storici tra i due paesi non è una priorità per Biden e ci vorrà probabilmente più tempo (ancora 3-4 anni?)
- Potenzialmente, i Democratici potrebbero avere una posizione più dura sui monopoli delle grandi aziende tech: ma dall’altro lato la Silicon Valley è da sempre uno dei principali finanziatori del partito democratico
- Paesi che sono contenti della vittoria di Biden: Canada, Francia / Germania (tutta UE in generale), Iran, Giappone, Messico, Corea del Sud
- Paesi che non sono contenti: Brasile, Russia, Arabia Saudita, Turchia, Emirati Arabi, Israele, Regno Unito
- A seconda di chi lo chiedete: Cina
Multi-polarità geopolitica
Come detto, le relazioni tra US e Cina rimangono complicate nonostante il cambio di amministrazione. Dopo aver votato Trump nel 2016, i colletti blu americani sono tornati di nuovo verso i democratici: ma se c’è una cosa sulla quale i “lavoratori” di qualsiasi partito concordano è che sono pagati poco (a tutto vantaggio del capitale), e di questo incolpano principalmente la Cina (anche in Europa).
Anche se non ufficialmente, i due paesi sono di fatto oggi in una Cold War 2.0 che potrebbe segnare la fine di Chimerica. Le tensioni attuali non sono dovute solo all’aggressiva espansione economica e politica della Cina, e nemmeno alle azioni di Trump: il progressivo disinteresse per il cosiddetto “Washington consensus” era evidente anche nelle relazioni internazionali dell’amministrazione Obama e prima ancora in quella Bush.
Dalla fine della Guerra Fredda, le tensioni geopolitiche sono rimaste in secondo piano tra le preoccupazioni degli investitori. Questo perché la caduta dell’Unione Sovietica inaugurò un’era di egemonia americana che è durata oltre tre decadi: il potere economico, commerciale e militare era infatti concentrato sempre più negli US come unica super-potenza. Questo periodo è stato caratterizzato da stabilità e da influenze regionali che non osavano perseguire politiche estere indipendenti per paura di ritorsioni da parte di US: libero commercio e politiche di laissez-faire sono state la norma.
Oggi siamo invece in un periodo di multi-polarità, nel quale il numero di stati in grado di decidere autonomamente le proprie politiche estere è superiore ad uno (uni-polarità) o due (bi-polarità). Quando esattamente ci sia stato questo passaggio è discutibile, ma è abbastanza evidente negli eventi attuali: gli Stati Uniti rimangono la forza militare ed economica preminente, ma la loro sovranità non è più incontrastata. La stessa Unione Europea, seppur frammentata e priva di una struttura di comando militare, sta forgiando la propria strada nelle relazioni internazionali, e laddove i suoi interessi sono in conflitto con quelli degli Stati Uniti sembra disposta ad agire di conseguenza: è successo nella politica industriale (Airbus), nella sicurezza energetica (Nordstream 2) e nelle relazioni con Ucraina, Bielorussia e Turchia. Un mondo multi-polare spinge inoltre verso una maggiore integrazione all’interno dell’Unione Europea, perché con “minacce” in crescita ai confini (Medio Oriente, Russia) le nazioni europee difficilmente potranno seguire la strada dell’uscita scelta da UK.
La preoccupazione maggiore è come questa multi-polarità impatterà le economie globali, in quanto è più difficile raggiungere un equilibrio, un tema poco gradito agli investitori perché comporta incertezza, premi al rischio più alti ed eventi estremi non anticipabili. In particolare nei mercati emergenti e di frontiera, dove molti conflitti che sono rimasti irrisolti e sopiti dall’egemonia americana potrebbero adesso riesplodere.
La conseguenza più diretta è un mondo meno, e non più, globalizzato: non solo le potenze regionali cercano di aumentare la loro sfera di influenza, che è per definizione incompatibile con la globalizzazione, ma soprattutto manca un leader capace di garantire coordinamento economico e stabilità geopolitica. La globalizzazione è, al margine, deflazionistica: un mondo meno globalizzato potrebbe vedere maggiore inflazione.
Se il contesto della politica economica diventerà sempre più politicizzato, quali sono le implicazioni per gli investitori? I settori più direttamente toccati sono: a) commercio; b) investimenti; c) sistemi finanziari internazionali (vedere cosa è successo negli ultimi giorni con la cancellazione dell’IPO di Ant Financial); e d) tecnologia.
È probabile che un mutamento del contesto giuridico e normativo influenzi il raggio d'azione dell'attività degli investitori, una possibile inversione completa della tendenza esistente (l’esempio più eclatante è la proposta di delistare dalle borse americane le aziende cinesi che non rispettano i criteri di bilancio richiesti): i rischi legali degli investimenti in Cina sono in significativo aumento. Cresce anche il rischio reputazionale (la “S” in ESG), sia per le aziende che per gli investitori stessi: negli US sono state approvate leggi che proibiscono ad alcuni fondi pensioni statali di investire in Cina. Arriverei ad azzardare che gli investitori domestici e quelli esteri hanno un costo del capitale molto differente per le stesse attività cinesi, più alto ovviamente per quelli esteri.
Anche con la nuova amministrazione Biden, il detto “Don’t fight the Fed” potrebbe essere sostituito con “Don’t fight the State Department”.
Non c'ho capito una mazza, sembrano le previsioni di Nostradamus, però ok, la seguo sempre.
RispondiEliminadai Otto, un po' di geopolitica va studiata per cercare di capire come si muovono i mercati!
Eliminaciao Matteo, ricordo tu avevi delle TITLIS un tempo - te le stai riguardando in questo periodo visto che hanno corretto parecchio?
RispondiEliminaSe ti riferisci a BETT (Bergbahnen Engelberg-Truebsee-Titlis) è ancora in portafoglio: i ricavi sono stati ovviamente decimati (niente turisti/sciatori), ma gli assets rimangono lì. Se è sopravvissuta a due guerre mondiali, sopravviverà anche al Covid.
EliminaAttenzione: alcuni siti non hanno aggiornato i prezzi, a marzo c’è stato uno split.
Si mi riferivo a quella. Peccato riportino solo in tedesco. Cosa ne pensi della valutazione corrente?
Eliminache l'andamento del prezzo dipenderà in maniera diretta da quando sarà disponibile un vaccino, ma per me non è un problema
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